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Zoomafie: quelle bestie delle ‘ndrangheta

Zoomafie: quelle bestie delle ‘ndrangheta

La Calabria delle scommesse clandestine e dei canili dove gli animali vivono come in un lager. Il giro d’affari che fa gola alla criminalità organizzata e comune

Claudio Cordova

29 Aprile 2022

«Con l’archeomafia, rubano il nostro passato, la nostra storia. Attraverso l’ecomafia, rubano il nostro futuro, l’avvenire della terra. Con la zoomafia, rubano il nostro presente, razziando la pietas che supera i confini di specie, rendendoci empaticamente sterili, indifferenti alla sofferenza degli altri individui del nostro stesso regno animale. Ambiente, animali umani e no: tutti vittime del morbo mafioso». Si esprime così Ciro Federico Troiano, criminologo e attivista che ogni anno cura il Rapporto Zoomafia per la Lav, con la collaborazione della Fondazione Antonino Caponnetto.

Il lockdown non ha fermato la zoomafia

Neanche il lockdown del 2020 ha fatto crollare il fenomeno dei reati contro gli animali. «I traffici legati allo sfruttamento degli animali, rappresentano un’importante fonte di guadagno per i vari gruppi criminali che manifestano una spiccata capacità di trarre vantaggio da qualsiasi trasformazione del territorio e di guadagnare il massimo rischiando poco», è scritto nell’ultimo rapporto redatto da Troiano.

Le mafie riescono a ottimizzare ogni cosa per i propri profitti: «A livello internazionale, la criminalità organizzata dedita ai vari traffici a danno degli animali si distingue per la sua capacità di agire su scala internazionale, per il suo orientamento al business, per la capacità di massimizzare il profitto riducendo il rischio. Tali traffici sono il simbolo, al pari delle altre mafie, della società globalizzata»,  si legge ancora nel Rapporto Zoomafia.

Il mercato ittico

Le capitanerie di porto calabresi sono tra le più attive nel contrasto agli illeciti riguardanti il materiale ittico. I controlli e i sequestri si susseguono. E, ovviamente, sono molto più intensi durante la stagione estiva.

In riferimento alla pesca e commercio del cosiddetto “bianchetto” si legge nel Rapporto Annuale sul controllo della pesca in Italia”: «Nell’anno 2020 l’attività di repressione posta in essere dagli uomini della Guardia Costiera delle Direzioni Marittime di Bari, Reggio Calabria, Catania, e Palermo contro gli illeciti in materia di pesca e commercializzazione illegale di prodotti ittici sottomisura di sardine cosiddetto “bianchetto”, hanno consentito di interrompere una rete di commercializzazione di questo prodotto, che a bordo di automezzi isotermici partivano dalla Puglia e dalla Calabria ionica per raggiungere le località della bassa Calabria e della Sicilia dove tale prodotto riscuote un forte apprezzamento».

Non si tratta di argomenti interessanti solo per i “fanatici” dell’animalismo. Perché questi crimini consentono enormi guadagni: «L’attività di controllo ha consentito di rilevare 157 violazioni e sequestrare oltre tredici tonnellate di prodotto ittico illegalmente detenuto o commercializzato elevando sanzioni amministrative per circa 614 mila euro» – si legge ancora nel Rapporto.

Il fenomeno in Calabria

E si susseguono le operazioni antibracconaggio. Spesso anche all’interno di aree protette. Nel mese di gennaio 2020 c’è stato un servizio antibracconaggio a ridosso dell’area dello stretto di Messina. È stato eseguito dai Carabinieri forestali dei nuclei Cites di Reggio Calabria e Catania e del Soarda. Sono stati numerosi i bracconieri denunciati a Oppido Mamertina, Taurianova, San Giorgio Morgeto, Feroleto della Chiesa, Montebello Jonico e Messina.

Nel dicembre del 2020, l’indagine “Fox”, curata dal NAS di Cosenza, nelle province di Crotone, Cosenza e Reggio Calabria, ha portato a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Crotone, a carico di 8 persone (tra cui 6 veterinari ufficiali in servizio presso l’Asp di Crotone e 2 gestori di uno stabilimento di macellazione carni). Con il sequestro di uno stabilimento di macellazione e 4 allevamenti ad esso direttamente collegati, per un valore di oltre un milione di euro.

I veterinari indagati, al fine di procurare ingiusti vantaggi patrimoniali agli allevatori cui erano contigui, avrebbero attestato falsamente l’esecuzione della profilassi anti-tubercolosi, alterando i prelievi di sangue effettuati su capi suini al fine di consentirne la macellazione.

Le corse clandestine di cavalli

È, quindi, spesso fondamentale il ruolo dei professionisti per poter portare a compimento questi e altri illeciti. In passato, è emerso il ruolo di un veterinario che forniva ai clan le sostanze dopanti per rafforzare la corsa dei cavalli. Diverse inchieste degli ultimi anni hanno infatti confermato l’interesse di alcuni sodalizi mafiosi per le corse clandestine, in particolare il clan Giostra – (Galli – Tibia) di Messina, i Santapaola di Catania, i Marotta della Campania. A questi vanno aggiunti i Casalesi del Casertano; il clan Spartà e i “Mazzaroti” della provincia di Messina; i Parisi di Bari; i Piacenti -“Ceusi” di Catania; i Labate, detti “ Ti Mangiu”, i Condello e gli Stillitano di Reggio Calabria.

Il 29 gennaio 2020 è stata resa nota l’indagine Helianthus” della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sugli affari economici della cosca Labate. L’inchiesta ha portato alla luce anche gli interessi del clan nel settore delle corse clandestine di cavalli e in quello dei giochi e scommesse on line.

Il clan Labate ha mantenuto inalterato il tradizionale “prestigio” nel territorio di competenza criminale (l’ampia area a sud della città di Reggio Calabria ed in particolare nel popoloso quartiere “Gebbione”), coltivando e rafforzando i rapporti e le alleanze criminali con altri storici “casati” di ‘ndrangheta. E dimostrando anche un certo dinamismo criminale in relazione a “nuovi” settori illeciti.

Una cosca che ha saputo superare le epoche, rimanendo neutrale nel corso della seconda, sanguinosissima, guerra di ‘ndrangheta in riva allo Stretto. E mantenendo così il proprio territorio inviolato dalle ingerenze degli altri clan. Lì si fa razzia di estorsioni e di lavori edili. Ma non solo: «Ulteriori interessi sono emersi in seno al lucroso settore delle scommesse online, delle slot-machine e delle corse clandestine di cavalli». Ecco quanto è scritto nella Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel primo semestre 2020.

I “cani fantasma”

Si scommette sulle corse dei cavalli. Ma anche sui combattimenti tra cani. In questo caso, L’AIDAA, l’Associazione Italiana in Difesa degli Animali e dell’Ambiente, ha denunciato: «Sono tremila i cani che nel 2021 sono spariti nel nulla in Sicilia, Sardegna, Puglia e soprattutto Calabria». Sono i cosiddetti “cani invisibili”, randagi che scompaiono nel nulla. Cuccioli e non.

Cani di grossa taglia ogni giorno – ne parla la stessa AIDAA – sono picchiati e seviziati in allevamenti abusivi. Lì avviene la preparazione per i combattimenti, che si svolgono su tutto il territorio nazionale, ma anche all’estero. A volte, forse, anche con la complicità di canili compiacenti.

Cani feriti e trattati in maniera disumana

Nel mese di maggio 2020, i Carabinieri di Siderno coordinati dalla Procura di Locri hanno sequestrato un canile in provincia di Reggio Calabria. Una struttura con 187 box e 444 cani, di cui 146 sprovvisti di regolare microchip, dunque non iscritti all’anagrafe canina. Alcuni animali non erano nemmeno registrati negli elenchi dello stesso canile.

Gli animali morti, è stato appurato nel corso dei controlli, sarebbero stati posti in contenitori di plastica tenuti in una cella frigo non funzionante. Diversi cani avrebbero presentato malattie della pelledeperimento, piaghe purulente e importanti ferite da morso, causate durante gli scontri tra cani alloggiati negli stessi box. Inoltre, secondo quanto emerso, quasi tutti gli animali non erano sterilizzati e ciò alimentava aggressività e competizioni in particolari periodi.

Ancora, il 27 settembre 2020, vicino Vibo Valentia, i Carabinieri hanno scoperto un canile abusivo, senza alcun tipo di autorizzazione, in cui i cani erano tenuti in evidente stato di malnutrizione, rinchiusi in gabbie all’aperto, senza acqua e fra i loro escrementi, con sporcizia e cibo in decomposizione. I cani presenti all’interno della struttura abusiva erano 28, di cui solo 10 dotati di microchip.

La cultura animalista in Calabria

La Calabria è ancora tra le regioni maglia nera per quanto riguarda i cani avvelenati. Nei primi cento giorni di quest’anno sono poco meno di 3.000 i casi di avvelenamento.  Lo scorso anno erano 7.000 secondo le stime dell’AIDAA.

Proprio nel 2021, in particolare alla fine dell’estate, vi fu una preoccupante impennata dei casi. Numeri da mettere in diretta correlazione con la tragedia della giovane Simona Cavallaro, sbranata da un branco di cani a Satriano, nel Catanzarese.

«È una vera strage silenziosa quella dei cani avvelenati di cui stranamente le grandi organizzazioni sono molto tiepide nel denunciare la necessità di leggi severe e di messa al bando di alcuni prodotti che vengono utilizzati per questo sterminio di massa dei cani randagi» – afferma ancora l’AIDAA.

La presa di coscienza sulla zoomafia

Nel corso degli anni, grazie al lavoro della Lav e, soprattutto al rapporto sulla Zoomafia, si sono aperti altri filoni investigativi, come la macellazione clandestina, l’abigeato, le sofisticazioni alimentari. Il rapporto Zoomafia, ogni anno, viene stilato sulla scorta di oltre 20mila pagine consultate.

«Quando parliamo di zoomafia non intendiamo la presenza o la regia di Cosa nostra dietro gli scenari descritti, piuttosto ci riferiamo ad atteggiamenti mafiosi, a condotte criminali che nascono dallo stesso background ideologico, dalla stessa visione violenta e prevaricatrice della vita» – dice, infine, Ciro Federico Troiano.

Fonte:https://icalabresi.it/inchieste/zoomafia-corse-combattimenti-clandestini-gestiti-dai-clan-in-calabria/