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www.Casertace.net. CAMORRA, POLITICA E DIVISE SPORCHE. Anche nella sentenza contro Albano, Petrillo e Giuseppe Foglia, salta fuori il nome di Paolo Marzo per i suoi rapporti con il poliziotto Felice Ricciardi, con il boss Bruno Buttone e la famiglia Della Ventura

CAMORRA, POLITICA E DIVISE SPORCHE. Anche nella sentenza contro Albano, Petrillo e Giuseppe Foglia, salta fuori il nome di Paolo Marzo per i suoi rapporti con il poliziotto Felice Ricciardi, con il boss Bruno Buttone e la famiglia Della Ventura

Nello stralcio che pubblichiamo in calce sono interessanti anche la specificazione dei rapporti tra Camillo Belforte di Domenico e il poliziotto Nunziante Camarca, la clamorosa decisione dell’altro poliziotto Di Matteo di non arrestare Buttone e IL CASO DEL VIGILE URBANO DI CAPODRISE.

MARCIANISE – Gli stralci che pubblichiamo in calce non appartengono ad un’ordinanza, men che meno ad una richiesta di ordinanza, cioè ad un qualcosa che ha a che vedere con le fasi di un’indagine ancora in corso, che mette a fuoco indizi di colpevolezza, ma che è ben lungi da determinare una condanna o una sentenza di innocenza per gli indagati.

Quello che c’è scritto, dunque, dentro ad un’ordinanza emessa da un Gip, sia essa definitoria di misure di custodia cautelare in carcere o di altre limitazioni della libertà personale, è molto meno importante di quanto sia importante una sentenza, seppur solo di primo grado. E questo vale per la parte delle motivazioni relative alle pene irrogate, sia per tutti coloro i quali, pur non essendo stati imputati nel processo, nella sentenza vengono citati in episodi non certo edificanti.

Insomma, se oggi, a circa due anni di distanza dalla pubblicazione del nostro primo articolo in proposito, torniamo ad occuparci dei rapporti tra Paolo Marzo, ex consigliere comunale di Caserta e il clan Belforte, questo capita non perché vogliamo accanirci nei confronti di Marzo, che umanamente ci risulta anche simpatico, ma perché l’aver il giudice che ha emesso la sentenza del rito abbreviato a carico dei due poliziotti infedeli Albano e Petrillo e anche a carico dell’avvocato Giuseppe Foglia, scelto di aver inserito nelle 500 pagine e passa con cui ha motivato la sua sentenza tutte le dichiarazioni di Bruno Buttone, boss e reggente del clan Belforte, quindi non un semplice gregario, che riguardano il proprio rapporto con Paolo Marzo, fatto di diverse chiacchierate, di una conoscenza abitudinaria, al punto che Marzo mette a disposizione di Bruno Buttone, l’ormai famoso poliziotto Felice Ricciardi, nato a Caserta, 46enne, fa capire che la relazione tra politica e camorra è stata diretta, sistemica, al punto che Bruno Buttone, come già sappiamo, ma come il giudice ribadisce con la piena pubblicazione dello stralcio, dentro alla sua sentenza, che Paolo Marzo, uomo legato alla famiglia Della Ventura, diventò consigliere comunale nel 2006 solo grazie ai voti di questa famiglia e dunque – scandisce bene Bruno Buttone – del clan Belforte.

Altri due elementi che abbiamo deciso di porre all’attenzione dei nostri lettori, riguardano i buoni rapporti tra Camillo Belforte, figlio del superboss Domenico Belforte, e il poliziotto Nunziante Camarca, arrestato a sua volta e giudicato, a differenza dei suoi colleghi Albano e Petrillo, in un processo diverso, in questo caso celebrato col rito ordinario da quello declinato dalle motivazioni della sentenza che stiamo pubblicando in questi giorni.

Addirittura l’amicizia tra Camillo Belforte e Camarca consente a Bruno Buttone di girare addirittura senza patente, dato che più volte viene fermato e lasciato andare.

Ma i rapporti e i capi del clan Mazzacane e i poliziotti del commissariato di Marcianise sono ampi e altamente costruttivi, se possiamo usare, in maniera ovviamente ironica, questo aggettivo.

Bruno Buttone, infatti, non viene arrestato da un altro poliziotto, il pure noto Di Matteo, per intenderci l’amico dei fratelli Campomaggiore, nonostante una clamorosa violazione degli obblighi a cui è sottoposto.

Succede quando Buttone, che ottiene il permesso di lasciare Marcianise solo per raggiungere il tribunale di Napoli per partecipare al processo che lo riguarda, subito dopo essere sceso dal commissariato dove si è recato a firmare, si infila nell’abitazione di Salvatore Belforte, cioè del capoclan, al tempo a piede libero. Quando esce e si infila nell’auto guidata dalla moglie, si accorge di essere seguito da una volante della polizia.

Di Matteo lo prende da parte e gli dice che non lo arresterà, ma lui in cambio, dovrà riferirgli informazioni sul latitante Gaetano Piccolo.

Ovviamente, Bruno Buttone non gliele dà, ma neppure dice di no. Sa bene che non gliele darà mai, ma sa anche che deve fingere di mettersi a disposizione per evitare l’arresto, che, infatti, non arriva, con Di Matteo che torna in auto a discutere vivacemente con qualche suo collega che non aveva condiviso la scelta di non applicare la legge operata da Di Matteo.

Ultimo cenno ad uno dei momenti del riconoscimento foto operato da Bruno Buttone. Gli fanno vedere l’immagine di Roberto Delli Curti, figlio di Vincenzo o stuppulill, vigile urbano di capodrise. “E’ un collega di mio padre – dice Buttone – a cui la mia famiglia e affettuosamente legata. Non mi risulta che abbia mai fatto uso di droga. Ma ora che lo vedo mi sento sconvolto, perchè vedo che mostra un’espressione sconvolta tipica degli assuntori di droga.

Fin qui il Buttone quotidiano, attinto dal giudice estensore della sentenza a carico di Albano, Petrillo e Giuseppe Foglia.

G. G.

QUI SOTTO LO STRALCIO

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PUBBLICATO IL: 24 dicembre 2016 ALLE ORE 18:22 

fonte:www.casertace.net