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Viaggio nella Scampia di Frosinone dopo la denuncia di Saviano.L’omertà nel Basso Lazio,a Frosinone come a Latina..”Qui non si denuncia, e non si parla di quel che succede. Si vive bene facendosi gli affari propri”.

 

La Repubblica, Venerdì 9 Dicembre 2016

Viaggio nella Scampia di Frosinone dopo la denuncia di Saviano

Un intero palazzo lungo quanto una strada. Il “Casermone” è tra i maggiori luoghi di smercio della droga in Italia. Tutti qui hanno un compito. Incluso far finta di nulla

dalla nostra inviata FEDERICA ANGELI

“Qui non si denuncia, e non si parla di quel che succede. Si vive bene facendosi gli affari propri”. La Scampia di Frosinone, come ha ricordato ieri sulle pagine di Repubblica Roberto Saviano, è un palazzo grigio e lungo quanto tutta una via (viale Spagna) che tutti conoscono come il “Casermone”. Ci sono regole ferree per vivere bene e senza problemi: chiudere gli occhi e tacere. “Non è mica omertà – tiene a precisare un uomo sulla cinquantina nel cortile interno del Casermone – è che con queste persone ci siamo nati e cresciuti e per noi non hanno fatto niente di male. Sono persone normali che vanno a bere la birra, giocano a pallone, scherzano: non sono criminali”. L’abitudine che ribalta le regole della realtà.

Le “persone normali” cui il cinquantenne si riferisce sono i 52 pregiudicati che, tre giorni fa, la squadra mobile di Frosinone e i carabinieri hanno arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Spaccio di crack, nella fattispecie. Su questo hanno costruito la loro fortuna, arrivando a incassi da 40mila euro al mese. Una dose di cocaina, ci spiegano, viene divisa in sottodosi da 20 grammi che diventano cristalli di crack da fumare. Una bustina viene venduta a 30 euro. “Così non c’è bisogno di andare a prendere grandi quantitativi ogni volta, con un chilo di coca ci fai una settimana e se tibeccano a trasportarlo non ti mettono neanche in carcere, ma ai domiciliari “, ride compiaciuto un ragazzino (minorenne) mentre ci spiega, fuori dal casermone, che “degli arresti dell’altro giorno chi se ne frega, tanto tra poco stanno tutti fuori”.

La vita in quel palazzo grigio è un mondo capovolto dove nessuno sembra accorgersi delle regole del mondo al di fuori di quei muri. La normalità è quella: “È così da sempre e ve ne accorgete soltanto adesso?”, dicono i dirimpettai del casermone che ormai non si stupiscono più dei blitz.

Intanto in quel mondo chiuso di viale Spagna tutto è a “prova di guardie”: le finestre delle cantine sono murate con inferriate per impedire blitz, per le scale che portano ai piani alti ci sono spranghe appuntite di ferro incrociate per rallentare le incursioni di polizia e carabinieri. E nell’appartamento centrale dello spaccio c’è un portone blindato preceduto da un’inferriata: impossibile buttarlo giù. “Se questa era come le Vele di Scampia, lei non sarebbe neanche potuta entrare. Invece, come vede sta qui (nel cortile interno, ndr), l’ho vista da quando ha imboccato la strada con la macchina eppure è passata”. A parlare è uno dei capi della curva nord che abita nelle case Ater di viale Spagna da 31 anni. “Sarà la giustizia a dire se hanno ragione o torto, quello che posso dire è che la polizia ha portato via pesci grandi e persone che non c’entravano nulla”. Non ha affatto voglia di parlare e freme perché il colloquio finisca alla svelta: “Non mi piacciono i giornalisti e neanche le guardie. Io ho scelto di lavorare e di non drogarmi, chi qui ha scelto diversamente ha la libertà di poterlo fare”.

La libertà del Casermone è quella di garantire, in cambio del silenzio, benessere a tutti. Con entrate mensili da 40 mila euro, chi vuole ha uno stipendio garantito. Un palazzo autosufficiente in cui i più giovani hanno orari e turni di lavoro. Ci sono gli “accompagnatori”, quelli che alle quattro entrate del palazzo portano i clienti dai vari spacciatori che lavorano in tre turni di otto ore. Poi le “vedette”, stesse ore di lavoro con un ruolo più delicato: gridare dal quarto piano “Nerone” alla vista dei carabinieri e “Cornelia” all’arrivo della polizia. La questura è a cento metri dal Casermone e dall’alto ogni movimento è controllato. Il mondo capovolto, appunto, dove a tenere d’occhio le “guardie” sono i pusher.

All’apice dell’associazione ci sono gli spacciatori al dettaglio che si dividono le aree interne e, sopra di loro, l’uomo chi si procura, confeziona e distribuisce ai sottoposti la droga. Il boss, Gerardo Valenti, e il braccio destro Mirko, suo figlio, sono tra i cinquantadue arrestati tre giorni fa nell’operazione Fireworks portata avanti dal capo della Mobile Carlo Bianchi. “Ma che vogliono le guardie da noi – dice uno della gang in un’intercettazione ambientale – che andiamo a fare rapine? In fondo spacciamo, mica siamo criminali”. Le regole capovolte, appunto.