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Usura e Covid, ecco come la pandemia ha arricchito le mafie

Usura e Covid, ecco come la pandemia ha arricchito le mafie
LUIGI CIATTI29 agosto 2021 • 06:30Aggiornato, 26 agosto 2021 • 19:01

La crisi legata alla pandemia rischia di far esplodere sovraindebitamento e usura; troppo presto per avere numeri precisi anche perché, fra nuove ondate di contagi e cassa integrazione, la ripartenza fa una fatica enorme. Il problema è sempre lo stesso: l’impossibilità ad accedere a un credito giusto, equo e legale

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni, a cura dell’associazione Cosa vostra. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a Trame, festival dei libri sulle mafie di Lamezia Terme, con 15 articoli sui temi al centro degli incontri del Festival.

L’usura è un reato emarginato, sottovalutato, sottostimato. Esiste da sempre, è citata persino nel Vecchio Testamento. Tutti sanno che c’è e sanno più o meno come funziona: questo basta a sentirla come un fenomeno naturale, a pensare che “c’è sempre stata e sempre ci sarà”. Tanto, al massimo riguarda i commercianti o gli imprenditori già protestati, o in fondo chi se la va a cercare o, peggio ancora, chi “frequenta certi giri”. Niente di più sbagliato. L’usura ormai è un fenomeno che non risparmia più nessuno. È sufficiente un rovescio economico, la perdita del lavoro, una separazione tra coniugi o la morte di un componente della famiglia, insomma un evento improvviso: viene meno il suo reddito e i conti non tornano più. Brutto dirlo, ma è così. E allora salta una o più rate del mutuo o del prestito, si diventa “cattivi pagatori”, la banca chiede il rientro del fido o c’è la scadenza dell’affitto da rispettare ed ecco che in questo vortice si annida l’usura.

L’usura è cambiata, non è più quel fenomeno sommerso che riguarda solo negozianti o affaristi di pochi scrupoli e “cravattari” di quartiere. Del resto, l’usura è un fenomeno sociale, prima ancora che economico. E come tale è in continua evoluzione, eterogeneo e camaleontico,.

 

 Al contrario, da tempo i clan hanno capito che l’usura è un formidabile strumento per fare soldi, riciclare i contanti per farne ancora di più, investire in attività apparentemente pulite e soprattutto acquisire le aziende delle vittime e rifarsi un’identità apparentemente

Vi siete mai chiesti l’origine dei soldi con cui sono stati comprati o aperti molti ristoranti di lusso o locali, bar, pizzerie, discoteche, aziende di servizi, agenzie finanziarie o immobili di pregio nel centro o in provincia di Roma, Milano, Napoli, Palermo e altre città del Belpaese? Prendete le inchieste degli ultimi dieci anni: scoprirete quanto è lungo l’elenco. Tutto questo è dovuto anche all’usura, ormai uno strumento nelle mani dei clan per controllare l’economia, il territorio, il quartiere, la città. Proprio come il pizzo.

Le inchieste giudiziarie di diverse procure antimafia del Paese negli ultimi anni hanno certificato l’esistenza di oltre 60 associazioni criminali che gestiscono che con metodo mafioso attività finalizzate all’usura. Il giro d’affari che i clan riescono a generare è davvero difficile da calcolare, con una quantità di denaro enorme se si considerano i tassi d’interesse annui applicati.. Il flusso di denaro che ne deriva è, pero, la punta dell’iceberg dato che è possibile effettuare calcoli solo in base alle denunce e alle successive inchieste giudiziarie che purtroppo danno del fenomeno un quadro parziale”.

 

IL PEGGIO DEVE ANCORA VENIRE

La crisi legata alla pandemia rischia di far esplodere sovraindebitamento e usura; troppo presto per avere numeri precisi anche perché, fra nuove ondate di contagi e cassa integrazione, la ripartenza fa una fatica enorme. Il problema è sempre lo stesso: l’impossibilità ad accedere a un credito giusto, equo e legale. Un concetto, quest’ultimo, che dovrebbe essere garantito dallo Stato con formule apposite presso le banche per evitare di cadere nelle mani dell’usura. Non ci sono dubbi sull’aumento esponenziale del sovraindebitamento fra le famiglie e le aziende. E si parte da numeri incredibilmente alti.

L’esclusione finanziaria ha assunto nel nostro Paese dimensioni spaventose  e dopo l’emergenza Covid-19 si propone come un problema sempre più pressante per circa il 25 per cento della popolazione attiva in Italia.

Inutile girarci intorno. Il virus apparso tra i mesi di febbraio e marzo del 2020 ha messo in ginocchio le economie di tutto il mondo e a questo flagello non si sottrae il nostro Paese. Quarantena o lockdown per tutti, stato di emergenza, ordinanze di chiusura immediata di gran parte delle attività commerciali e industriali, annunci del presidente del Consiglio alle sette, alle otto, alle undici di sera, bozze di decreti legge su Facebook e diffusi prima ancora della firma. Un caos. Dalla sera alla mattina, il nostro Paese si ferma, pezzi interi della nostra economia cadono in ginocchio. Niente tornerà come prima.

 

La nuova crisi impoverisce le aziende con una rapidità improvvisa e inaspettata: è più pericolosa di quella del 2008. Quest’ultima era strutturale: ha avuto tempi di maturazione più lunghi e in qualche modo si sono potute prendere le contromisure per risollevarsi. Ma il Covid-19 è piombato  nelle nostre città da un giorno all’altro senza dare neppure il tempo di capire; si abbassano le vetrine e i conti sono già in rosso. Mancano gli anticorpi economici, soprattutto dentro lo Stato, per opporsi alle conseguenze del virus. Complice la scarsa efficacia e la lentezza degli strumenti messi in campo dallo Stato, si crea una pericolosissima assenza di liquidità. E così, come sempre succede, quando non arriva lo Stato è in agguato la criminalità e, in alcuni territori, la mafia. Con il Covid-19 rischia di riuscire nel suo intento criminale. Perché dove manca lo Stato, arriva la criminalità a soddisfare le richieste sociali di un popolo in sofferenza. Nelle regioni dove ci territori “controllati” da organizzazioni criminali, come la provincia a nord di Napoli, il prestito di piccole somme di denaro viene utilizzato come strumento di rafforzamento del consenso. In altre regioni, come in Sicilia, dove lo Stato e la cultura della legalità sono riusciti in qualche modo a indebolire il potere dei clan, l’usura rischia di diventare nelle mani della criminalità organizzata uno strumento per riguadagnare una nuova legittimità sociale, un ruolo di assistenza per offrire una sorta di welfare state mafioso senza burocrazia.

I giorni della quarantena sembrano non trascorrere mai, le richieste di aiuto arrivano una dietro l’atra; il telefono non smette mai di squillare, la porta si apre in continuazione. Numerosissime, tutte uguali nella loro brutale “semplicità”. Tra tutte c’è quella di Tonino, che arriva in piena pandemia: «Ho un negozio in centro – spiega con accento del sud e voce tremante –. Non ho avuto nessun aiuto dallo Stato e non so più come andare avanti. Devo pagare l’affitto del locale e le spese che continuano a correre”. Proviamo a chiedere come mai non siano arivati neanche i bonus da 600 euro o se ha già fatto richiesta del prestito garantito al 100 per cento dallo Stato previsto dal Decreto Cura Italia. La risposta arriva in un secondo: “Non ho ricevuto nulla dei bonus e il prestito la banca non me lo ha concesso perché ho una segnalazione negativa. Poi è un prestito e io non riuscirei a restituirne le rate, e io di debiti non ne voglio più”. Alla fine della telefonata, ecco la stoccata finale: “Se non trovo i soldi, ho solo tre possibilità: chiudere la mia attività, chiedere i soldi in prestito agli usurai o cedere la mia attività a qualcuno, tanto sono già passati diverse volte al negozio per chiedermi di cedergliela per pochi spicci».

Il tema delle tre possibilità viene riproposto in modo continuo. È l’angoscia di tutti. Il negozio è la vita delle persone a cui appartiene, lì investono tempo, energie e risorse. A volte si tramanda da generazioni, a volte è il frutto di sacrifici enormi di interi nuclei familiari. A volte è il sogno di chi lo vive, a volte la speranza di un futuro migliore. Ma dopo la pandemia si è trasformato in un incubo e l’assenza di liquidità e l’incapacità dello Stato di intervenire tempestivamente ha generato un terreno fertile per l’usura e i fenomeni criminali. Tonino lo dice chiaramente: «Al mio negozio sono già passati almeno tre volte; mi chiedono con garbo come vanno gli affari e quando accenno loro le mie difficoltà, mi offrono dei soldi per comprare la mia attività. Mi offrono una miseria, meno del 30 per cento del suo valore, e io li mando via. Sono stranieri. A volte si presentano in due, ma credo che siano intermediari di un gruppo di italiani. Non so quanto resisterò e fino a quando potrò permettermi di non accettare quel misero 30 per cento».

USURA E COVID-19

La criminalità organizzata fiuta l’occasione storica ed è pronta ad approfittare della crisi e delle difficoltà dei commercianti per rilevare a prezzi ribassati le attività commerciali e renderle così strumenti perfetti per il riciclaggio del denaro provento di attività illecite.

Le telefonate continuano, come quella di Massimiliano, titolare di un ristorante in un quartiere centrale della movida di Roma: “Vi prego, aiutatemi. Ho riaperto il locale dopo il lockdown ma gli incassi sono pochi e non riesco a coprire le spese e i debiti che ho accumulato durante la chiusura”. Anche a lui poniamo la solita domanda di rito. E lui: «Non ho ricevuto bonus; ho chiesto il prestito, ma la banca me lo ha negato, anche se la cifra era modesta». Sempre la stessa risposta. Ci chiediamo dove sia finita la potenza di fuoco promessa dal governo; poi dice una cosa decisamente preoccupante: «I soldi me li sono venuti a offrire direttamente al ristorante. Una sera, verso le sette, sono entrati due uomini vestiti in modo elegante, mi hanno chiesto informazioni su come andasse l’attività e, quando ho risposto che avevo problemi, mi hanno offerto un prestito di 35.000 euro. La cosa strana è che in garanzia non volevano assegni o cambiali: mi hanno chiesto di firmare una scrittura privata che prevedesse che, in caso di mancata restituzione del prestito nei tempi e alle condizioni previste, avrei dovuto cedere loro il 49 per cento della mia attività».

Il prestito diventa uno specchietto per le allodole, una trappola per impossessarsi del ristorante. I commercianti vengono allettati dall’offerta di liquidità immediata, che deve però essere restituita a condizioni che si riveleranno impossibili sin dall’inizio e che porterà in breve a consegnare ai criminali le chiavi dell’attività. Massimiliano non molla e invita i due uomini ad andarsene. Ma il suo cruccio è quanto resisterà, fino a quando potrà permettersi il lusso di dire no a 35.000 euro?

L’usura è diventata una minaccia sociale, un fenomeno strutturato, gerarchizzato, di tipo associativo, assimilabile al reato mafioso: lo spiegano le storie narrate in questo lavoro. La crisi del 2008 prima e il Covid-19 poi hanno accentuato questo fenomeno e la chiave di volta dell’usura è diventata proprio il sovraindebitamento di sussistenza per gli imprenditori: arrivare a fine mese, affrontare una spesa imprevista, pagare l’affitto del locale, saldare i fornitori e al tempo il personale, è diventato tutto più difficile senza indebitarsi. E questa è l’anticamera dell’usura.

GLI INVISIBILI

C’è qualcosa che non torna in questo strano periodo di post Covid-19. Perché se ci sono i numeri e i dati dell’epidemia sanitaria che lentamente si iniziano a mettere in ordine, svuotando le terapie intensive del nostro paese. Ci sono numeri e dati che non riescono a mettersi a posto come vorremmo. Che anzi più passano i giorni e le settimane e più aumentano. E fanno rumore. Sono i numeri degli Invisibili, scritto a lettere maiuscole perché devono ritrovare un posto in questa nostra società.

E’ il rumore degli Invisibili. Sembra un paradosso eppure sono proprio loro a fare rumore.

A preoccupare chi sa leggere oltre le righe di una Società che racconta solo di chi supera la soglia dell’apparenza. Sono, per esempio, coloro che erano in difficoltà già prima degli effetti devastanti del COVID-19 e che ora, dimenticati da tutti i decreti, da tutti gli aiuti ed i sussidi, rischiano di finire in un baratro, fagocitati da una criminalità che si mostra astuta nel saper porgere una mano a chi non può permettersi il lusso di essere lucido.

I numeri, nella loro brutalità, parlano chiaro. Secondo il Ministro dell’Interno nel primo trimestre dl 2020 a fronte di un calo del 67% di tutti reati cd “predatorii”, l’usura è aumentata del 9,7%. Nonostante i distanziamenti sociali, il lock down, i controlli  e le severissime limitazioni nell’uscire di casa. Se poi passiamo ai dati delle Associazioni Antiusura presenti sul territorio e che più hanno la percezione della realtà del fenomeno,  il dato è ancora più allarmante. Le richieste di aiuto tra i mesi di Marzo ed Aprile sono aumentate del 30%, fino a sfiorare il tetto del 50% nel mese di Maggio. Ed il peggio, dicono, deve ancora venire.

Ma chi sono le vittime di usura nel periodo COVID-19? Chi nel bel mezzo di una pandemia, esce di casa, indossa la mascherina, sfida i controlli  per andare a cercare un usuraio, per chiedergli di prestargli del denaro accettando di pagare interessi folli, che possono arrivare al 15%, ossi al 180% su base annua.

Quale inferno deve passare nella testa di queste persone per pensare di trovare la soluzione in un inferno ancor più grande, fatto di cifre che lievitano senza controllo, di assegni postdatati, di scadenze che sin rincorrono, di appuntamenti in bar malfamati, di soprusi, di violenza, di vita sospesa e consegnata a criminali.

Sono aziende e imprese che erano già in difficoltà prima che arrivassero gli effetti del COVID. L’esercito dei “cattivi pagatori”, quelli con le posizioni finanziarie segnalate nelle varie centrali rischi e in Banca d’Italia, degli esclusi dal sistema finanziario. L’esclusione sociale per loro diventa una conseguenza a volte inevitabile delle loro difficoltà nel rispettare impegni finanziari con le banche. In una società che premia chi ha ed ostenta, che considera un modello chi può indebitarsi per acquistare, il “sigillo” negativo impresso sul codice fiscale dalle banche diventa un biglietto per l’inferno.

C’è un sottile e perverso rapporto tra il debito e la libertà, tra indebitamento e schiavitù, perché un debitore inadempiente e senza risorse si consegna al suo creditore. Tra i due si crea un rapporto che supera i confini del piano economico, coinvolge l’intera essenza del vivere. La degenerazione del rapporto finanziario crea uno squilibrio che finisce per incidere sulla libertà, che crea un dominatore ed un dominato. I romani parlavano di “addictio”, il debitore inadempiente veniva consegnato al suo creditore, si trasformava in un suo schiavo. Qualcosa di tutto ciò ha superato i millenni che ci separano dal diritto romano, è riuscito a sopravvivere a Rivoluzioni, Dichiarazioni di Principi Universali  e a Carte Costituzionali. E permea la vita dei debitori, dei dimenticati, degli invisibili. Questo squilibrio regola il loro atteggiarsi, la timidezza con la quale vivono le difficoltà e le vessazioni che subiscono spesso dal sistema del recupero del credito.

Per tutti loro il COVID, la gestione del COVID,  ha fatto da cassa di risonanza del loro silenzioso e celato calvario personale, ha centuplicato gli effetti negativi di un quotidiano già difficile da superare ogni giorno.

Le chiusure forzate di attività commerciali hanno provocato in un sistema economico che vive di cassa un corto circuito quasi immediato. Non c’è voluto molto perché interi settori, privati da un giorno all’altro e senza preavviso di quel minimo di liquidità data dagli incassi quotidiani, entrassero in una crisi profonda quanto istantanea. Chi vive di cassa non gestisce chiusure, non ha risorse altre per far fronte ai minimi bisogni aziendali.

E così il COVID ed una a volte scellerata gestione della crisi,  impattano sul fenomeno dell’usura, cambiandone caratteristiche,  tratti e “clienti” abituali. Perché l’usura, il crimine nel suo complesso, ha dimostrato di  saper leggere bene le dinamiche della nostra società ai tempi del COVID, forse meglio dello Stato. E così prima dello Stato ha capito che anche i suoi “clienti” erano in crisi, ed era necessario creare un’offerta “USURA-COVID” in grado di essere accettata dal mercato. E così per le vittime, per il nostro popolo di esclusi il mercato del crimine offre micro –usura, ossia prestiti di importi modestissimi, riduce parzialmente il tasso di interesse applicato, allunga i tempi di restituzione, accetta il “salta rata” la possibilità di non pagare una o più rate.

E così ci si avvicina all’usura non perché non ce la si fa più a pagare l’affitto del negozio o la carta revolving, ma per soddisfare esigenze primarie. Si cerca la liquidità che non è arrivata dallo Stato, quella che serve per la vita di tutti i giorni o per affrontare le spese mediche. In questo periodo per gli esclusi pagare le rate dei prestiti con le banche diventa un lusso; quello che era il pensiero dei loro giorni pre COVID, ora non occupa più le loro menti che sono alla ricerca disperata di risolvere lo spazio del quotidiano.

Il crimine organizzato, soprattutto in zone ove la prerogativa dell’associazione mafiosa è il controllo del territorio, usa l’usura così rimodulata, come strumento di “consenso sociale”, di riconquista di spazi e legittimazione. Attività che svolge in regime di monopolio, lasciata colpevolmente sola  ad agire indisturbata dallo Stato, il cui quoziente di consenso rischia di toccare livelli da minimo storico. 

UNO STATO “LATITANTE”

Nella crisi economica lo Stato non ha vinto la sfida con il crimine. Ammetterlo non è facile e  fa male ma il riconoscerlo è il presupposto per attivare percorsi di legalità e non perdere la guerra per sempre. Non doveva andare necessariamente così. C’era un altro modo per scrivere la storia e la parola fine.

Troppe volte si parla di crisi provocata dal Covid, come se fosse un piccolo e maledetto virus ad emanare decreti e a convertirli in legge. Si rischia in tal modo di allontanare la riflessione dal punto centrale, creando  un facile alibi  alle politiche adottate.

Il COVID non ha colpe per i nuovi poveri che si stanno affacciando nelle nostre città; non ha colpe se la linea di confine tra una  situazione di “normalità” ed una di crisi  si va sempre più assottigliando, al punto che classi sociali che fino a poco tempo fa godevano di economie tranquille, rischiano di essere risucchiate in dinamiche di difficoltà e disagio economico.

C’è una responsabilità specifica in tutto ciò. Ed appartiene a chi, in questo sciagurato periodo, si è dimenticato di prendersi cura degli esclusi e di tutti coloro che soffrivano già. E così si arriva al  fenomeno dei tentativi di acquisizione di aziende da parte della criminalità organizzata a danno di commercianti in difficoltà. Temiamo la comparsa nei prossimi anni di un nuovo colosso dell’economia che si chiama criminalità organizzata e la creazione di un franchising della criminalità , reti di negozi creati al solo fine di riciclare il denaro. Per questo abbiamo creato l’osservatorio ed il numero verde e proposto l’istituzione del registro delle cessioni di aziende nel periodo covid.

I numeri ed i dati che abbiamo sentito ci dicono che siamo in un momento di emergenza, di eccezionale gravità. E allora noi non possiamo più permetterci di aspettare nelle nostre sedi che le vittime di usura e le persone a rischio ci cerchino, trovino il nostro numero e ci  vengano  a chiedere aiuto. Dobbiamo anticipare il nostro intervento, intercettare prima le situazioni di difficoltà e chi ha bisogno.  Non possiamo permettere che prima di noi arrivi la criminalità a costruire attraverso l’usura un nuovo welfare mafioso.

Ma bisogna arrivare prima della criminalità che sta sfruttando la crisi  per guadagnare una nuova legittimità sociale , un ruolo di assistenza  per offrire   una sorta di “welfare state” mafioso senza burocrazia. A ciò bisogna aggiungere che la criminalità organizzata ha fiutato l’occasione storica ed è pronta  ad approfittare della crisi e delle difficoltà dei commercianti per rilevare a prezzi ribassati le attività commerciali e renderle così strumenti perfetti per il riciclaggio del denaro provento di attività illecite. E così sostituendosi ai vecchi titolari si troveranno dietro al banco quando arriveranno gli aiuti di Stato.  Occorre monitorare le cessioni di aziende che avvengono in questo periodo. E’ necessario istituire un registro delle cessioni covid,  per verificare chi acquista in periodo di crisi, le condizioni alle quali si realizza la cessione dell’azienda e, soprattutto, la tracciabilità dei flussi finanziari utilizzati da chi acquista. Da dove vengono i soldi dei nuovi compratori? Il rischio di consegnare il paese alla criminalità è enorme e va assolutamente scongiurato. 

Fonte:https://www.editorialedomani.it/