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Uruguay, la latitanza dorata di Morabito ‘U Tamunga’

La Repubblica, 04 settembre 2017

Uruguay, la latitanza dorata di Morabito ‘U Tamunga’
Ricostruita dagli inquirenti la vita del boss ora in attesa di estradizione. A Punta del Este era conosciuto come un imprenditore attivo nel settore dell’import-export e nella coltivazione intensiva di soia

di ALESSIA CANDITO

Tra Africo e Milano, lo conoscevano come ‘U Tamunga’. Soprannome curioso, forse legato al Dkw Munga, fuoristrada militare tedesco, considerato pressoché indistruttibile, con cui pare che Rocco Morabitoscorrazzasse per le strade della jonica. Ecco la ricostruzione della sua vita da boss fatta dagli inquirenti.

IL TRASFERIMENTO A MILANO
Quando si è trasferito a Milano, il veicolo è rimasto a casa, ma il soprannome no, se lo è portato in dote anche sotto la Madonnina. All’epoca aveva 25 anni, le sopracciglia folte che anche oggi lo hanno tradito, la passione per la bella vita e uno spiccato senso per gli affari. Così, mentre si mescolava fra gioventù dorata milanese che si divideva fra il noto bar Biffi di piazzale Baracca, i locali della Galleria e quelli di piazza Diaz, Morabito costruiva la rete che ha permesso di inondare Milano di cocaina. Un settore di business tradizionale per la famiglia.

LA FAMIGLIA E IL TRAFFICO DI COCA
Figlio di Domenico Morabito e Carmela Modafferi, nipote di Antonio Mollica e parente del temuto boss Peppe Tiradritto Morabito, ‘U Tamunga’ porta un cognome in grado di aprire tante porte, sia a Milano, sia in America Latina. E per anni lo ha usato per costruire un piccolo impero basato sul traffico di cocaina, comodamente gestito da una villetta a schiera della provincia pavese. Un’altra se l’era fatta costruire ad Africo. Tre piani, ampio giardino, un bunker realizzato nel sottoscala e una vasca idromassaggio incastonata al centro di una stanza di marmi rosati. Per i suoi lussi, ‘U Tamunga’ non badava a spese. Poi è arrivata l’inchiesta Fortaleza, che ha preso il nome dalla nota località brasiliana convertita da Morabito nello snodo dei suoi traffici. E ‘U Tamunga’ ha dovuto levare le tende in fretta.

LA FUGA E LA COMPAGNA
Incastrato dagli uomini della Mobile di Milano, coordinati dal pm Laura Barbaini, Morabito ha fatto perdere le proprie tracce mentre era inseguito da un mandato di cattura per traffico internazionale di stupefacenti. Gli investigatori lo hanno cercato a Milano, dove risultava residente, a Cairate, nel Pavese, dove pare abbia sempre abitato, e in Calabria. Ma era già diventato un fantasma. Per molto tempo, gli investigatori hanno pensato si fosse trasferito in Brasile, dove era stata avvistata la sua storica compagna Paula Maria De Olivera Correia, angolana naturalizzata portoghese. Non si sono mai sposati, ma nella buona e nella cattiva sorte i due sono rimasti insieme. La donna era con lui sabato scorso, quando Morabito è finito in manette a Montevideo, ed ha trascorso con lui gli anni dorati della latitanza.

LA LATITANZA IN URUGUAY
Arrivato in Uruguay nel 2002 – si è affrettato a dire ai media l’avvocato Alejandro Balbi – “U Tamunga” si è installato a Punta del Este, una delle più note località turistiche dell’Uruguay. La passione per il lusso Morabito non l’ha mai persa, così ha cercato casa – una villa con piscina, ovviamente – nei pressi dell’esclusivo quartiere di Beverly Hills, scopiazzato in tutto e per tutto dall’omonima città californiana. Per tutti era un imprenditore, attivo nel settore dell’import-export e nella coltivazione intensiva di soia.

IL LEGALE: “MA QUALE BOSS, HA UNA VITA NORMALE”
“Dal 1994, il mio cliente ha una vita normale e non ha nulla a che fare con attività delittuose o organizzazioni criminali”, ha detto il legale. Una dichiarazione che rivela forse la strategia di Morabito per sfuggire all’estradizione. Accusato di falsificazione di documenti e di falso ideologico, per adesso ‘U Tamunga’ è in carcere. Ma se quell’arresto dovesse essere annullato e il 51enne fosse scarcerato, potrebbe riuscire a far perdere nuovamente le proprie tracce prima che dall’Italia arrivino i documenti necessari per l’estradizione.