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Uno Stato di diritto, oltre che far appello ai “doveri” dei cittadini perbene, DEVE tener conto dei loro “diritti”. Il problema dei Collaboratori e dei Testimoni di Giustizia, veri e propri SERVITORI DELLO STATO!!!

Mentre la maggioranza dei cittadini italiani si sta

lasciando distrarre dalla campagna elettorale, sta per

consumarsi, nell’indifferenza generale, una delle più

grandi tragedie umane e, forse, anche giudiziarie, per

quanto attiene al versante della lotta alle mafie.

Ci riferiamo al trattamento – ed alle gravissime

conseguenze che potrebbero derivarne – che lo Stato

sta riservando ai Testimoni ed ai Collaboratori di

Giustizia.

Sono ormai quasi 3 mesi che si è costituito il Governo

Renzi e il Ministero degli Interni, con quello della

Giustizia, il primo retto da un NCD – Alfano – ed il

secondo da un PD – Orlando -, a tutt’oggi, non hanno

ancora provveduto a ricostituire la Commissione

Centrale ex art.10, che è l’organo preposto alla

trattazione dei problemi che riguardano i Testimoni ed

i Collaboratori di Giustizia.

Problemi drammatici che riguardano migliaia di

persone, veri e propri servitori dello Stato di diritto, che

hanno messo a repentaglio la propria vita e quella dei

loro cari per denunciare delinquenti e mafiosi, molti

dei quali annidati nelle istituzioni e nei partiti.

Problemi economici, abitativi, umani, affettivi, sociali di

persone e famiglie sradicate dai loro luoghi di origine

e sottoposte ad un “regime di protezione” che fa

acqua da tutte le parti sia per mancanza di risorse che

di uomini che abbiano una specifica competenza ed

una sensibilità adeguate.

Una preparazione ad hoc.

Intere famiglie lasciate in situazioni di fortissimo

disagio economico e senza, peraltro, una protezione

degna di essere definita tale.

Lasciate in bocca al lupo, allo sbando e nelle fauci di

coloro che esse hanno denunciato e che, di

conseguenza, potrebbero ardere dal desiderio di

vendicarsi con ferocia.

Stiamo parlando di questo e non di bruscolini.

Della vita, cioè, di chi ha messo e mette la Giustizia del

Paese in condizioni di poter combattere le mafie a

costo della propria vita.

Chi, come noi, ha la possibilità, quasi quotidiana, di

ascoltare dalla loro viva voce notizie sulle reali

condizioni in cui queste famiglie e queste persone

sono costrette a vivere, non può non sentirsi la rabbia

montare al cervello e, peraltro, non può esimersi dal

domandarsi e dal domandare:

ma lo Stato, questo Stato, da quale parte sta, con la

mafia o contro la mafia?

Una domanda, questa, che, secondo alcuni che hanno

già sciolto tutti i nodi e sono approdati alla

formulazione di un giudizio radicale e

definitivo, potrebbe apparire ingenua e pleonastica.

Giudizio che noi non ci sentiamo, al momento, di

condividere appieno in quanto conosciamo

personalmente Magistrati e rappresentanti delle forze

dell’ordine sulla cui onestà e sul cui attaccamento

allo Stato di diritto mettiamo non una ma dieci mani

sul fuoco.

Vorremmo che fossero in maggior numero, ma

tant’è, purtroppo.

Il problema è che le leggi non le fanno nè i Magistrati

né le forze dell’ordine, ma i politici.

E noi, a questo punto, ci fermiamo per non apparire

catastrofisti e… sfascisti.

Ma – e questo lo diciamo nella piena consapevolezza

della serietà delle nostre affermazioni – la nostra

pazienza sta per arrivare al limite perché – di fronte al

pericolo del possibile crollo di tutto, o parte

, dell’impianto giudiziario messo sù contro le mafie,

con sacrifici e rischi inenarrabili, da alcuni magistrati

e inquirenti grazie proprio al contributo determinante

dei Testimoni e dei Collaboratori di Giustizia

, che, oggi, vedendosi maltrattati, umiliati, bistrattati e

ridotti alla fame da una burocrazia e da una politica

irresponsabili ed ottuse, potrebbero cominciare a

rifiutarsi di continuare a collaborare – se dovesse

durare questa vergogna, noi ci vedremmo costretti a

ricorrere all’uso di tutti gli strumenti e modalità di

lotta consentiti dalla legge e dalla Costituzione.

Uno Stato di diritto, se vuole continuare ad essere

ancora definito tale, non può e non deve limitarsi a

fare appello solamente ai “doveri” del cittadino

perbene, ma anche, se non prima, ai suoi “diritti”.

Senza “se”, senza “ma”, titubanze, timidezze e

comportamenti da Giano bifronte.

Altrimenti non è più uno Stato di diritto!!!

E noi saremmo determinati a denunciarlo con forza e

pubblicamente.