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Una vicenda su cui bisogna far chiarezza per salvaguadare l’immagine del Paese. Zampolini smentisce Scajola: “portai io gli assegni nel suo studio”

ROMA – Si indaga pure su una casa del figlio di Pietro Lunardi. L’ex ministro delle Infrastrutture non nega di conoscere Balducci: “Ma è tutto lecito”. Nell’ufficio del ministro era presente anche un funzionario della Deutsche Bank

Claudio Scajola rimane impiccato alla sue parole. Già smentito da evidenze documentali (le tracce lasciate dagli 80 assegni circolari della provvista messa a disposizione dal costruttore Diego Anemone per l’acquisto della casa di via del Fagutale 2), il ministro per lo Sviluppo Economico dà ora delle bugiarde a Beatrice e Barbara Papa, le sorelle che gli hanno venduto nel luglio del 2004 il “mezzanino da 180 metri quadri” vista Colosseo (“Chi dice che sia stato a conoscenza o addirittura che sia stato il portatore di quegli 80 assegni il giorno del rogito, mente”, intervista a “Repubblica” 1 maggio), ma inciampa in un teste che delle due signore conferma la versione. È l’architetto Angelo Zampolini, la “tasca” di Diego Anemone, l’uomo degli assegni per 900 mila euro. Interrogato la sera del 23 aprile a Perugia dai pubblici ministeri che gli contestano i reati di associazione a delinquere e riciclaggio, il professionista dichiara: “Il giorno del rogito portai gli 80 circolari nel luogo in cui venne firmato l’atto”. Un ufficio in via della Mercede, a Roma, “nella disponibilità del ministero per l’Attuazione del Programma”, nel ricordo di Beatrice Papa. Qui, lo attendono il ministro Scajola, le sorelle Papa, il notaio Gianluca Napoleone e “alcuni funzionari di banca”. E di almeno uno, Beatrice Papa, ricorda il nome: Luca Trentini, direttore di sportello della “Deutsche bank”, l’istituto dove Zampolini aveva provveduto al cambio dei 900 mila euro contanti in assegni.

È possibile che Scajola cominci a dare del bugiardo anche a Zampolini. Certo, è sempre più curioso constatare come il ministro, il giorno del rogito, non solo non si accorga che qualcuno sta versando 900 mila euro a suo beneficio. Ma gli sfugga anche la presenza nei suoi uffici di un funzionario di banca – il direttore di sportello della “Deutsche” – che, se fosse vero quello che il ministro dice, lì non dovrebbe essere, non essendo la “Deutsche” la banca con cui Scajola aveva acceso il mutuo per i 610 mila euro del prezzo in chiaro dell’appartamento.

Il canovaccio della difesa abbozzata da Scajola non sembra del resto molto diverso da quello dell’ex ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi. Nell’inchiesta sui Grandi Appalti il suo nome balla dall’inizio. Dai giorni in cui la “cricca”, intercettata telefonicamente, si sbatteva per risolvere una sua pendenza alla Corte dei Conti. E ora che l’indagine torna a occuparsi di lui (come riferito sabato, di Lunardi parla con i magistrati di Firenze l’ex autista di Balducci, il cittadino tunisino Laid Ben Hidri Fathi), l’ex ministro batte il pugno sul tavolo. Alle agenzie di stampa, annuncia querele a “Repubblica”. Definisce “ovvia” la sua conoscenza con Angelo Balducci (“Certo che lo frequentavo. Era uno dei miei provveditori. Ne avevo 20 sotto di me”). E ne ribadisce l’assoluta “trasparenza”. “Ho avuto indicazioni per le mie cose personali  –  aggiunge – ma tutto rientra nel lecito. Come l’acquisto di un appartamento da “Propaganda fide” a Roma. Ho acceso un mutuo. È vero, Diego Anemone ha fatto alcuni lavori in campagna da me a Parma. Interventi specialistici che solo lui poteva fare. E che ho regolarmente pagato”. Quindi l’affondo: “Non conosco questo autista tunisino di Balducci, ma non c’è motivo per mettere in mezzo la mia famiglia”.

Nelle parole di Lunardi, il riferimento alla famiglia forse non è casuale. E non solo e non tanto perché la figlia dell’ex ministro viene indicata dal tunisino Fathi come uno dei “contatti” del “sistema Anemone”. Ma perché è sul figlio dello stesso Lunardi che l’indagine di Perugia sta ora facendo accertamenti. Accade infatti che in quel famigerato 2004 in cui Scajola ha la fortuna di trovare 180 metri quadri che guardano il Colosseo a soli 610 mila euro, Lunardi junior abbia altrettanta fortuna nel cedere per circa 400 mila euro un appartamento a Monti praticamente invendibile, perché gravato da abusi. L’acquirente malaccorto, casualmente, si chiama Claudio Rinaldi, già numero due di Balducci alle Grandi Opere e quindi commissario per i Mondiali di Nuoto e il G8 della Maddalena. Interrogato nei giorni scorsi a Perugia, Rinaldi, indagato per corruzione e associazione a delinquere, ha definito quella compravendita “un possibile affare” non rivelatosi poi tale. “Intendevo ristrutturarlo e rivenderlo. Ma per complicate ragioni di condoni non eseguiti, quell’immobile venne sequestrato e io ne sono ancora proprietario”. Insomma, a guadagnarci è stato solo Lunardi jr.

Le case, dunque, e la loro compravendita come strumento di dissimulazione di tangenti. In questa inchiesta appare sempre più questa una delle leve in grado di scoperchiare il segreto del “Sistema” di cui Anemone e Balducci continuano ad essere i depositari. E per averne una ennesima prova sarebbe sufficiente leggere l’appunto sequestrato in casa Balducci al momento dell’arresto e che lui stesso aveva affannosamente redatto quando aveva capito di essere perduto. “Appartamento in via dei Cartari 11 acquistato al prezzo di 1 milione di euro. Risulta pagato con assegno dell’ingegner Angelo Balducci solo per 130 mila euro. Il saldo fu corrisposto mediante assegni circolari tratti dal conto corrente dell’architetto Zampolini per complessivi 670 mila euro. Di 200 mila euro a saldo dell’operazione non c’è traccia bancaria”.
Carlo Bonini

(Tratto da Repubblica)