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“Una situazione indegna di uno stato civile”.Le querele della mafia per azzittire l’informazione

di Alberto Spampinato

alberto spampinato

Sono oltre 410 i giornalisti che nel 2016 hanno subito  intimidazioni e querele strumentali. Il fuoco divampa, limita il diritto di cronaca, ma nessuno corre a spegnerlo, cambia le leggi e le procedure che lo consentono. Manca la volontà politica.
C’è poco da stare allegri. Ma qualcosa si muove.
Il presidente del Senato, Pietro Grasso, considera “prioritario porre un freno alle querele temerarie” e ha fatto un nuovo appello a provvedere. Inoltre è arrivata una forte e inequivoca richiesta della Federazione nazionale della Stampa al Governo e al Parlamento affinché sblocchino il disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa all’esame del Parlamento, da tre anni e mezzo, insabbiato al Senato, modificandolo ancora prima di approvarlo, per abrogare la pena detentiva per questo reato, ma aggiungendovi una norma (che non c’è nel testo attuale) in grado scoraggiare l’abuso a scopo strumentale delle querele, che ormai ne fa un vero e proprio strumento di intimidazione preventiva contro i cronisti che indagano su mafia, malaffare e corruzione.
E’ una richiesta pienamente condivisa da Ossigeno per l’Informazione, che ne ha motivato l’urgenza con i dati resi noti il 24 ottobre scorso con il dossier “Taci o ti querelo!”, che cita dati ufficiali del Ministero della Giustizia. Questi dati sono impressionanti.
Dicono che i procedimenti penali per diffamazione a mezzo stampa sono una marea, stanno dilagando di anno in anno, intasando la macchina della giustizia. Durano anni e oltre il 90 per cento si conclude con il proscioglimento dell’accusato. Ma ogni anno ci sono anche centinaia di giornalisti condannanti a pene sproporzionate, con pene detentive che ogni anno superano il secolo di carcere.
Questa situazione è indegna di uno Stato di diritto e toglie ogni alibi ai temporeggiatori e ai minimizzatori.