Un palazzo sui resti romani? Nella Vibo dei massoni si può fare
Le avventure del presunto faccendiere dei Mancuso. Quel Giamborino che, intercettato dai Ros, parla di amicizie romane, di rapporti con i “grembiuli”. E di quell’archeologa che gli si mette di traverso per rispettare la legge
Sergio Pelaia
14 Dicembre 2021
La grande storia calpestata, ricoperta di cemento e connivenze, passa per i contatti imbarazzanti tra un presunto faccendiere del clan Mancuso, Giovanni Giamborino, e alcuni archeologi con cui avrebbe avuto una certa confidenza e da cui avrebbe ricevuto più di un consiglio per ottenere l’ok ai lavori di un palazzo costruito ricoprendo una strada e una villa di epoca romana [LEGGI QUI LA PRIMA PARTE]. Succede – è successo – a Vibo, piccolo capoluogo calabrese considerato da molti una capitale di affari e intrecci non proprio trasparenti. Se lo siano o meno quelli al centro di questa vicenda spetta ai giudici stabilirlo, ma ciò che emerge dalle carte di “Rinascita-Scott” è quantomeno sorprendente per tanti cittadini che conoscono per esperienza diretta le lungaggini e le pastoie burocratiche cui si va incontro, magari giustamente, quando si ha a che fare con vincoli e Soprintendenze.
La firma mancante
Per Giamborino non era così: il finale della piccola storia di cui è protagonista è noto e non è per niente lieto. È riuscito a ottenere l’autorizzazione che cercava dopo aver messo in moto conoscenze e «amicizie» che vanno anche oltre i rapporti intrattenuti con Fabrizio Sudano, all’epoca funzionario della Soprintendenza e oggi al vertice dello stesso organismo che ha competenza su Reggino e Vibonese, e Mariangela Preta, archeologa che ha collaborato da esterna con la Soprintendenza e che oggi dirige il Polo museale di Soriano. Né Preta né Sudano sono indagati, ma gli inquirenti osservano come si dedichino all’iter che interessa a Giamborino. Che a un certo punto rischia di allungarsi perché serve una firma di Gino Famiglietti, già alto dirigente del Ministero e per un periodo anche alla guida della Soprintendenza calabrese, che però non è sempre nella regione e ha tante cose di cui occuparsi.
Cambio della guardia, progetto sbloccato
«Ma cerco di arrivarlo io a questo, a questo pagliaccio … perché io lo arrivo, a Roma lo arrivo non è che non lo arrivo…», dice il presunto faccendiere riferendosi proprio a Famiglietti. Che poi riesce effettivamente a incontrare proprio nel suo cantiere dopo aver contattato, in una triangolazione che ricorre spesso nelle intercettazioni, sia Preta che Sudano. L’alto burocrate non rimane però alla guida della Soprintendenza della Calabria. E dopo la sua sostituzione Giamborino riesce ad ottenere, tramite «interessi nonché interventi criminali e di soggetti appartenenti alla massoneria vibonese – scrive il Ros – quanto non potrebbe legalmente avere: lo sblocco del progetto e la prosecuzione dei lavori».
«Mi hanno detto che è un fratellino»
Preta gli dice al telefono di essere a conoscenza di tutto: «Io so tutto e so anche una notizia più bella … che Famiglietti si è levato dalle palle …(ride) … te lo dico proprio in francese…». La guida della soprintendenza passa a Salvatore Patamia (anche lui non indagato), la cui nomina viene accolta con una certa soddisfazione. Preta rassicura Giamborino dicendo che «la firma» è questione di giorni e che non c’è più bisogno di mettere in mezzo terze persone. Ma l’impiegato pensa comunque a una sua personale corsia preferenziale: «Io ho il modo perché è intimo amico di un mio carissimo amico Patamia». E per chiarire il concetto dice: «Adesso m’hanno detto che è un fratellino, capito, quindi io già mi ero mosso e non ci sono problemi». Aggiungendo: «Se tu hai bisogno di questo qua, non ci sono problemi hai capito?». Preta risponde ridendo: «Questo è il dato in più che ci serve».
Il Gran Maestro
Quando un’altra persona gli chiede chi fosse il «carissimo amico» Giamborino risponde che si tratta di «don Ugo». Secondo gli inquirenti è Ugo Bellantoni, inizialmente indagato ma poi uscito pulito dall’inchiesta con un’archiviazione, già responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Vibo e Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’Italia-Palazzo Giustiniani. Secondo la Dda sarebbe lui a procuragli un appuntamento con Patamia al Parco Scolacium di Roccelletta di Borgia. Mentre ci va, Giamborino scherza con la persona che è con lui in auto: «Lo vedi quanto sono precisi la massoneria? Quanto conta… La massoneria è come la maffia … (ride) …». L’incontro viene in realtà rinviato all’indomani, ma ciò che conta è il risultato: in pochi mesi, da gennaio a maggio 2016, Giamborino risolve i suoi problemi e arriva l’agognata firma sul progetto di variante.
Cemento sui resti romani
Se ci fossero dubbi sulle intenzioni dell’impiegato rispetto ai resti di epoca romana è lui stesso a spazzarli via: «Una volta che io vado là… Con mezzi… E sopra mezzi… Che devo vedere di nascondere già quelle mura… Con quella cazzo di strada… Buttare il solaio… Per fare i lavori là…». E ancora: «La getto là sotto e apparo con la breccia … di modo che non si veda la strada che siccome deve venire la Soprintendenza… di modo non la vede per niente quella strada (…) Una volta che togliamo la strada poi dieci cm di terra dobbiamo togliere e la gettiamo là dentro stesso e le pietre le buttiamo là dentro … li mettiamo da un lato no? E dall’altro lato riempiamo di terra … poi … e poi gli gettiamo 4 5 6 carrettate di breccia per completarla … una volta che gli metto la breccia glielo copriamo là sotto e non vedono niente poi … vedono tutto paro loro … hai capito?».
«Ho paura della Sopritendenza»
Nella stessa proprietà, conferma Giamborino, ha trovato «quella strada del 300… una strada del 300… oggi ho buttato un muro… se mi beccano mi fanno rovinato… mi rompeva il cazzo quel cazzo di muro mi stavano sui coglioni… e l’ho buttato… adesso ho paura della soprintendenza». Commentando le tante tracce di storia che emergono in quella parte di Vibo l’impiegato dice che lì «c’è il tesoro più importante del mondo… è documentato e tutto… e infatti questo qua… qua dovevano fare un palazzo è stato fermo… è fermo da cinquant’anni… il mio da trenta… questo da cinquanta… io sono riuscito a svincolarlo… nessuno gl’altri sono riusciti a svincolarlo…».
L’archeologa scomoda
Per lui, come raccontato dal maggiore del Ros Francesco Manzone nell’aula bunker, c’era solo un unico, grande ostacolo. Una professionista, Maria Teresa Iannelli, che allora era responsabile della Sovrintendenza. «Per 25 anni non mi ha dato retta, non mi ha neanche ricevuto», dice sdegnato. E lei fino a poco prima di andare in pensione si è sempre messa di traverso, non ha mai dato autorizzazione per consentire che il cemento ricoprisse le tracce della grande storia. Ma il presunto faccendiere dei Mancuso è riuscito lo stesso ad aggirare l’ostacolo risalendo le gerarchie dei Beni culturali. «Io tramite Roma … Tramite il ministero … Tramite tutti … Sono riuscito a parlare con loro …».
2/continua
fonte:https://icalabresi.it/fatti/soprintendenza-nella-vibo-dei-massoni-costruisci-su-resti-romani/