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Un Paese in allarme

Stati generali dell’antimafia 2009. Storie di liberazione e proposte concrete dal cantiere di “Libera”.

«La mafia teme la scuola più della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa». Così diceva Antonino Caponnetto, il fondatore del pool antimafia di Falcone e Borsellino. Il coordinamento di oltre 1500 associazioni che si riconosce sotto il nome di “Libera”, s’è riunito a Roma nel fine settimana del 25 ottobre proprio con 17 gruppi di studio e di lavoro disseminati in un centro storico esaltato dall’ottobrata capitolina. Una scuola esigente, rigorosa, appassionata e aperta. Il compito era quello di fare un bilancio del programma lanciato con un Manifesto nel 2006.

Sostanzialmente le richieste strutturali avanzate nei confronti della politica, tre anni addietro, sono rimaste inevase, mentre cresce il fatturato e la pervasività della criminalità organizzata. Infatti, mentre lo scorso 21 marzo, 150 mila persone sono andare a ricordare i nomi delle vittime delle mafie a Napoli, giungendo a penetrare dentro territori dove si esercita un controllo militare da parte della camorra, mentre cresce il numero di giovani volontari che vanno a lavorare nei terreni confiscati alla mafia, mentre tante regioni vedono sorgere un presidio di cittadinanza consapevole e partecipe al mantenimento della legalità, il nostro Parlamento non è stato capace di introdurre alcune riforme necessarie come l’istituzione di un’Agenzia nazionale indipendente per la gestione dei beni confiscati, l’adozione di un testo unico per le leggi antimafia, l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e un nuovo modello per il sistema di protezione dei testimoni.

Si tratta di una consapevolezza già acquisita da tempo da parte di “Libera” se don Ciotti, all’apertura dei lavori, ha messo in evidenza come «la credibilità e l’autorevolezza di un progetto non vengono misurate dalla risonanza pubblica o dall’attenzione mediatica, ma dalla capacità di lasciare un segno duraturo nel tempo». Anche perché il problema emergente è proprio quello di un’informazione carente sul tema delle mafie che, fuori da una certa “spettacolarizzazione”, non riceve attenzione soprattutto sulle relazioni esistenti con i mondi della politica e dell’economia.

Il popolo di “Libera” usa, perciò, linguaggi non riducibili ai parametri attuali dell’informazione di massa. Si può parlare dunque di vera e propria progettualità “politica”, ferma nel denunciare «non per colpire le persone, ma per rafforzare la ricerca di verità», allargando gli orizzonti fino a porre in evidenza come «le mafie sono forti in una società diseguale». Come a dire che tutto si rivela vano se non si rafforza lo Stato sociale, se non vengono promosse forti politiche sul lavoro, se non vengono costruite opportunità per le persone e le famiglie più deboli. Mentre l’introduzione del reato di immigrazione clandestina poterà effetti negativi, separando la sicurezza dal diritto. Anche perché «i criminali, nel nostro Paese, non arrivano sui barconi».

Non è sembrato fuori luogo, perciò, sentir ricordare, nel corso dei lavori, l’ammonizione del filosofo Norberto Bobbio che riconosceva ormai di non poter essere più ottimisti sul futuro della democrazia, ma di vivere «sempre in allarme». Basti pensare al patrimonio di 1600 miliardi di euro movimentato dalle organizzazioni malavitose dal 1993 ad oggi nel nostro Paese. Alle contaminazioni possibili in ogni settore, al rischio dell’usura.

Ma la ricerca di una politica del bene comune è ancora possibile. Un segnale si potrebbe trovare proprio nel Lazio, dove è stata approvata, all’unanimità dalla sinistra estrema alla destra, una legge regionale sulla promozione dell’uso sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. E il Lazio risulta, proprio,tra le regioni con il maggior numero di beni sottratti alla malavita con la Capitale che attira gli investimenti mafiosi più consistenti, secondo le fonti del ministero della Giustizia.

Un programma esigente, dunque, che travalica appartenenze partitiche, culturali e spirituali. Che si costruisce intorno a fatti reali e non a formule teoriche: ad esempio l’impegno lanciato, tra i punti conclusivi del Manifesto 2009, di promuovere, di fronte all’inerzia delle istituzioni, una proposta di legge di iniziativa popolare per l’introduzione, nel codice penale, dei delitti contro l’ambiente. Un piano di lavoro enorme, quindi, condensato nel manifesto consultabile sul sito di Libera, www.libera.it, e che sarà consegnato direttamente al presidente della Repubblica, ai presidenti di Camera e Senato e alle istituzioni europee. Anche se il cantiere aperto è quello da costruire dal basso, secondo l’intuizione originale di don Luigi Ciotti e del gruppo Abele: «Essere cittadini a partire dalla strada».
Carlo Cefaloni

(Tratto da Città Nuova)