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Un Paese immerso nella corruzione e nelle mafie

La pubblicazione della lista di clienti vip dell’imprenditore Diego Anemone per acquisto, vendita, ristrutturazioni immobiliari da lui eseguite, ha riacceso un dibattito politico finora incentrato stancamente su altri temi. E’ il momento delle smentite e delle precisazioni, ma soprattutto della valutazione delle possibili conseguenze dell’inchiesta. Berlusconi: “Non è tangentopoli, ma chi sbaglia fuori” . Bersani: “A queste cose bisogna andare assolutamente a fondo”

Rivelazioni a pioggia sulla stampa sul contenuto di una lista di clienti vip dell’imprenditore Diego Anemone per acquisto, vendita, ristrutturazioni immobiliari da lui eseguite, in mano alla magistratura che indaga sulle sue attività e che ha portato alle dimissioni del ministro Claudio Scajola che domani davanti ai pm perugini che lo hanno convocato come persona informata sui fatti non si presenterà, giudicando scorretta la convocazione e comunque incompetente la sede giudiziaria perugina con riferimento ad attività svoltesi a Roma.

Nella lista ci sono circa 350 nomi di personaggi illustri (e/o loro congiunti) della politica, dell’amministrazione dell’economia, dello spettacolo, della cultura: tutti risultati in rapporto con Anemone ma per tutti da stabilire se con regolari prestazioni di scambio professionali o se collegati invece a favori impropri all’imprenditore. Inevitabile che alla pioggia di nomi, sia seguita altrettanta pioggia di smentite e precisazioni.

La più autorevole è quella del Vicepresidente del Csm Nicola Mancino: “Il signor Anemone non mi ha fatto nessun regalo. Non ha avuto alcun tipo di protezione né io ho avuto da lui alcuna ‘regalia’. I lavori di cui si parla gli furono affidati dal Sisde per mettere in sicurezza il mio appartamento da ministro degli Interni”.
La più netta è quella del giudice costituzionale Gaetano Silvestri: non conosco e non ho mai conosciuto Anemone, non possiedo e non ho mai posseduto immobili di qualunque genere a Roma”.

Sul fronte Governo, Guido Bertolaso limita il rapporto con Anemone a 20 mila euro di prestazioni di falegnameria e smentisce la proprietà di una casa in via Giulia. Con la sottolineatura che sua moglie nel 2006 non diede seguito ad un progetto a lei richiesto da Anemone proprio per ragioni di opportunità”.

La pubblicazione della lista ha riacceso un dibattito politico finora incentrato stancamente su altri temi. E’ il momento delle precisazioni, ma soprattutto della valutazione delle possibili conseguenze dell’inchiesta.
Silvio Berlusconi prende tempo. Di fronte al dilagare delle indiscrezioni sui personaggi coinvolti nello scandalo degli appalti, sembra l’unica strategia sensata.
Non si tratterà forse di una nuova Tangentopoli, come il premier ripete ai suoi, ma se altri uomini di governo dovessero risultare implicati nell’affare Anemone, allora le cose prenderebbero un’altra piega. “Chi sbaglia è fuori”, ha fatto sapere il Cavaliere, stavolta davvero deluso dal comportamento di molti dei suoi, e anche impossibilitato a prendersela con la magistratura.
Umberto Bossi fiuta un’aria “un po’ strana” e fa capire di non escludere che dietro l’inchiesta sul G8 si nasconda una nuova offensiva contro il premier; anzi si pone, insieme a Tremonti, quale difensore e garante dell’esecutivo contro il rischio delle elezioni anticipate. Ma certo, se altri ministri dovessero finire al centro dell’inchiesta, allora anche il Carroccio avrebbe difficoltà a difendere la trincea.

Ecco dunque spiegato perché Fabrizio Cicchitto parli di una vera e propria lista di proscrizione (l’elenco di quanti avrebbero ricevuto favori dal costruttore Anemone) e Maurizio Lupi di una macelleria mediatico-giudiziaria che punta a screditare i nomi coinvolti con processi sommari. Tuttavia si tratta di una storia che ha profondamente disorientato tutta l’opinione pubblica, anche quella moderata, e non ha torto Pier Luigi Bersani quando sottolinea la necessità di andare a fondo, altrimenti la corruzione non potrà che dilagare.

Tutte le incertezze della vicenda hanno consigliato al presidente del Consiglio di temporeggiare sul proprio interim allo Sviluppo economico: il favorito alla successione di Scajola resta Paolo Romani, ma prima di prendere una decisione definitiva Berlusconi deve essere certo di non innescare un pericoloso effetto domino. E anche di avere le spalle coperte. Tant’è che starebbe anche valutando l’ipotesi di un tecnico che rilanci l’immagine del dicastero e che possa rappresentare un valore aggiunto. Un’ipotesi che non sarebbe sgradita nemmeno agli industriali.

In questo senso, la crescita del peso di Giulio Tremonti è il problema minore. Il ministro dell’Economia è il ponte con la Lega e allo stesso tempo con l’Europa ma appare sempre più come il vero “numero due” del Pdl, un potenziale candidato alla successione dello stesso Berlusconi e il suo vero braccio destro in economia; l’uomo che dovrà farsi carico della politica di sacrifici imposti dalla crisi dell’euro.

Per il Cavaliere la vera incognita è il ruolo di Gianfranco Fini. Il capo della destra finora non gli ha fornito appigli né per rotture né per riconciliazioni di facciata: ha posto un problema politico ed esige risposte.
Il precipitare della crisi ha favorito il presidente della Camera: nel senso che ha tolto al Cavaliere la possibilità di mosse traumatiche che in questo momento si rifletterebbero su tutto il Paese. Fini inoltre dice di non credere alle “marmellate politiche”: in altri termini nega di poter approdare ad alleanze diverse da quelle votate dagli elettori. Ma insiste sulla necessità di discutere nel partito di legalità, immigrazione, coesione sociale, cittadinanza senza imposizioni. Non si fida palesemente di coloro che lo hanno abbandonato. Uno dei suoi fedelissimi, Carmelo Briguglio, spiega che gli ex non si devono mettere in mezzo, anche perché quando un capo (Berlusconi) scavalca l’altro (Fini) e parla direttamente con i suoi uomini (gli ex di An), la fine del rapporto è assicurata.
Ne deriva che una soluzione è ancora distante: il premier deve guardare al giorno per giorno, in attesa che i tempi maturino e si chiarisca meglio la reale portata della vicenda G8.

Dall’opposizione Antonio Di Pietro vede il governo in bilico e invita Bersani “a svegliarsi”: a suo giudizio, la crisi potrebbe esplodere in qualsiasi momento e troverebbe il centrosinistra impreparato perché una coalizione non si costruisce dall’oggi al domani.
Il Pd in questo momento è concentrato sul confronto interno: il vero problema resta il ritorno in campo di Walter Veltroni. Ma proprio per questo, oggi c’è stata la stretta per raggiungere un accordo con le minoranze interne in vista dell’Assemblea del 21 e 22 maggio. Messo a punto il nodo delle primarie, il segretario democrat risponde al pressing di Di Pietro e assicura: “Noi all’occorrenza siamo sempre pronti”. Mentre sul fronte delle indagini Bersani abbandona la cautela di alcuni esponenti del suo stesso partito, ed avverte: “A queste cose bisogna andare assolutamente a fondo”. Anche perché “con tutta evidenza non è una somma di casi ma un meccanismo che ha origine in una intenzionale politica di allargamento degli appalti riservati e fuori gara in una applicazione distorta delle direttive comunitarie”. Dunque, prosegue Bersani. “Il governo lasci fare alla magistratura quel che deve fare e si preoccupi invece di dire cosa pensa di questo meccanismo perché noi su questo vogliamo chiarezza: bisogna rimettere mano a tutto l’impianto”. “Noi – conclude – chiediamo che si vada a fondo altrimenti la corruzione dilaga”.
Monica Maro

(Tratto da Aprile online)