Cerca

Un gravissimo atto di irresponsabilità e di oggettivo favoreggiamento alla camorra.Il Ministro dell’Interno ed il Capo della Polizia revochino immediatamente questo provvedimento assurdo

.Un gravissimo atto di irresponsabilità e di oggettivo favoreggiamento  alla camorra.Il Ministro dell’Interno ed il Capo della Polizia revochino immediatamente questo provvedimento assurdo

 

La Repubblica, Domenica 5 marzo 2017

L’errore di ritirare gli agenti dalla capitale della camorra

La decisione a Casal di Principe e il «trasloco» della sezione distaccata della Squadra mobile

di Gian Antonio Stella

Un errore. Che potrebbe rivelarsi rovinoso. Non ci sono altre parole per bollare la scelta dello Stato di evacuare la Squadra Mobile da Casal di Principe. Perché sì, certo, non abbiamo dubbi sul fatto che la Polizia continuerà a vigilare coi carabinieri sulla sicurezza del centro, mettendoci il massimo impegno, anche partendo dalla sede centrale di Caserta. Ma abbandonare l’avamposto della guerra alla camorra (per una serie di pasticci burocratici poi!) è uno sbaglio. Che rischia di dare un segnale pessimo ai cittadini perbene che, anche a dispetto delle difficoltà economiche, continuano a sperare nel riscatto. E incoraggiare i malavitosi, oggi in difficoltà, a rialzare la testa. Cosa sia la cittadina lo spiega, in «Gomorra», Roberto Saviano: «Se per le arti marziali la patria era considerata il Giappone, per il surf l’Australia, per i diamanti la Sierra Leone, per il potere imprenditoriale della camorra è Casal di Principe la capitale». Un simbolo del male, un simbolo della guerra al male.

I pentiti e la politica

Qui trionfa «una certa mitologia violenta: “Camorristi si diventa, ma casalesi si nasce”». Qui sono stati gestiti per decenni i rifiuti tossici seppelliti per conto di troppi imprenditori padani col pelo sullo stomaco. Qui sono finiti, nei villoni nascosti da mura e cancellate, i camini, le balaustre, le colonnine e i brandelli degli affreschi strappati alla reggia di Carditello. Qui sono stati sepolti veleni perfino nei cortili di asili nido e ludoteche. Qui ha pulsato per decenni, come ha confermato il pentito Carmine Schiavone, il cuore della cattiva politica: «…c’era tutto un complesso affaristico esteso a tutti i livelli. Noi per esempio, facevamo i sindaci. Dove? In tutti i 106 comuni della provincia di Caserta». Qui regnava, come spiegò lo stesso Schiavone, cugino di «Sandokan» e «amministratore delegato» dei Casalesi la «pax camorrista»: «Noi non dovevamo fare gli errori che Cutolo e altri avevano fatto. Si doveva capire che noi non portavamo droga a Casale, che noi non facevamo furti, non facevamo rapine. Fino al 1989-90 se qualcuno si è permesso di fare rapine è stato ammazzato, oppure è sparito». Perché «il popolo a noi ci doveva amare per amore e non per terrore».

Decine di omicidi

Qui furono decisi gli assassinii di decine di persone anche innocenti («Io avrei ordinato 53 omicidi? Di più, di più…», ridacchiava quel pentito) compreso quello di Don Peppino Diana che, come avrebbe scritto Saviano, «non orecchiava le beghe delle famiglie, non disciplinava le scappatelle dei maschi, né andava confortando donne cornute» ma «aveva deciso di interessarsi delle dinamiche di potere: non solo dei corollari della miseria, non voleva soltanto nettare la ferita, ma comprendere i meccanismi della metastasi, bloccare la cancrena, fermare l’origine di ciò che rendeva la sua terra una miniera di capitali e un tracciato di cadaveri». Qui la gente perbene si ribellò esponendo ai balconi, e ci voleva davvero coraggio!, i lenzuoli bianchi. Qui chi ha resistito negli anni delle mattanze condivide l’orgoglio amaro d’avere in zona quattro medaglie d’oro al valor civile: a Peppino Diana, al carabiniere Salvatore Nuvoletta, all’imprenditore Mimmo Noviello, al venditore ambulante e sindacalista Federico del Prete… A farla corta: non è una cittadina come tante, Casal di Principe. E il capo della polizia Antonio Manganelli, nove anni fa, ce l’aveva chiarissimo. «Non vi lasceremo soli», giurò una domenica di maggio del 2008 ai ragazzi che si erano ritrovati in piazza per una protesta contro l’assedio camorrista. E assicurò, per bocca del questore di Caserta Carmelo Casabona, la nascita di un fortilizio che desse sicurezza agli abitanti e desse il segno della presenza dello Stato: «Non un nuovo commissariato, non una targa da inaugurare e celebrare ma che nei fatti poco può fare, ma una vera sezione della squadra mobile distaccata a Casale, forte di uomini di esperienza con l’unico compito di dare la caccia ai latitanti e contrastare i traffici dei clan». Scelsero come sede un palazzo in pieno centro, in corso Umberto I, confiscato al boss Dante Apicella e dato in uso al Comune. Una scelta di altissimo valore simbolico. E benedetta da anni di impegno segnato da una serie di successi delle forze dell’ordine e di sconfitte dei camorristi. Il tutto, però, nell’incertezza perenne d’una sistemazione «provvisoria».

L’assegnazione dell’immobile

Finché alla fine di settembre del 2015 è arrivata l’assegnazione diretta del palazzo, da parte dell’Agenzia del Demanio, al ministero dell’Interno. Col conseguente cambio di destinazione d’uso: da sociale a militare. «L’operazione costituisce evidentemente anche una risposta alle attuali esigenze di riduzione della spesa pubblica», scrisse il Demanio, «che può passare anche attraverso la conversione dei beni confiscati in presidi di legalità razionalizzando gli spazi in uso alla pubblica amministrazione». Obiettivo lodevole, in teoria, ma nei fatti una frittata. «Con il cambio di destinazione per l’uso militare sono cambiate le regole, ad esempio sull’agibilità anti-sismica», spiega il sindaco di Casal di Principe Renato Natale, medico, ambientalista, nemico da sempre dei clan, tra i primi ad accorrere nella sacrestia di San Nicola dove Don Peppino Diana era stato assassinato e lui stesso scampato a una sentenza di morte già decisa, «Le norme di prima non vanno più bene e dunque la sezione della “mobile” non può più stare lì. Capisco tutto… Ma per noi è un disastro». Erano due anni che si sapeva che rischiava di finire così. Certo, c’era l’impegno a «trasferire il Posto di Polizia di Casapesenna nel limitrofo comune di Casal di Principe, all’interno di uno stabile provento di confisca alla criminalità organizzata, locato attualmente dalla Sezione distaccata della Squadra Mobile» e a garantire «la continuità delle attività di controllo del territorio con costi minori». Promessa ribadita, come ricorda Tina Cioffo sul «Mattino» di Caserta, anche recentemente. Ma possono bastare le parole rassicuranti del Ministero degli interni, del prefetto, del questore, a una cittadina troppo spesso ustionata dai tradimenti? L’iter per il nuovo presidio, in attesa di qualcosa che verrà là dove le attese sono a volte eterne, deve ancora partire. E la presenza fisica sul posto di un poliziotto a metter lì la faccia dello Stato, in una realtà dove il sindaco per combattere l’abusivismo edilizio e il caos nelle strade e le mille illegalità quotidiane ha a disposizione cinque vigili per 22mila abitanti, era fondamentale. Dopo il trasloco, purtroppo, saranno in tanti a sentirsi più soli.