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Un direttore di banca ripuliva i soldi di camorra: sequestrati 700 milioni.

Il Mattino, Mercoledì 12 Luglio 2017

Un direttore di banca ripuliva i soldi di camorra: sequestrati 700 milioni

Sequestro preventivo di beni per oltre 700 milioni di euro. Sono dodici le persone finite in carcere, altre quattro agli arresti domiciliari nella vasta operazione messa in atto dal Gico della guardia di finanza di Bologna e coordinata dalla Dda di Napoli, contro sette clan dell’area a Nord di Napoli. Nel blitz sono stati impiegati 300 militari che hanno perquisito le abitazioni di 57 indagati per associazione mafiosa, truffe alle assicurazioni aggravate dal metodo camorristico, intestazione fittizia di beni, usura, riciclaggio e violenza privata. Sequestro preventivo di 1177 immobili, 211 veicoli, 59 società, 400 rapporti bancari, per un valore nominale complessivo di circa 700 milioni di euro.

L’azione della Procura ha permesso di smascherare e smantellare un gruppo criminale legato a diversi clan camorristici: clan Mallardo di Giugliano, clan Di Lauro, gli scissionisti, i clan Puca e Verde di Sant’Antimo, la cosca Aversano di Grumo Nevano e clan Perfetto di Chiaiano. Il sodalizio operava in diverse regioni italiane: Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo, Umbria, Sardegna, Lombardia -, con base operativa in Campania ed attivo in diversi settori illeciti. In carcere sono finiti Antonio Passarelli, Salvatore Barbieri, Antimo Castiglione, Carmine Chianese, Gennaro Chianese, Emanuele Di Spirito, Crescenzo Esposito, Cosimo Marino, Antimo Morlando, Mario Riccio, Francesco Russo e Domenico Sangiorgi; ai domiciliari, invece, Francesco Cicatelli, Teresa Grevasio, Pasquale Passarelli e Pasquale Puca.

Questi arresti rappresentano lo sviluppo delle indagini relative al sequestro del parco “Primavera” di Melito, ritenuto frutto di una speculazione edilizia realizzata dal clan Di Lauro con l’appoggio dell’ex sindaco di Melito, Alfredo Cicala, attraverso una lottizzazione abusiva. Per gli investigatori è stato svelato un vaso di pandora criminale: un’organizzazione capillare e ramificata che coinvolgeva anche insospettabili colletti bianchi tra cui un direttore di banca bolognese, Domenico Sangiorgi, incaricato di eludere i sistemi di controllo sulla provenienza dei capitali illeciti frutto di truffe alle assicurazioni e di false pratiche relative a incidenti automobilistici, incendi e allagamenti mai avvenuti.

Il suo ruolo sarebbe stato quello di “ripulire” i soldi sporchi della camorra, frutto di truffe milionarie ad assicurazioni e di altri affari illeciti. Sangiorgi, 59enne di Faenza, fino al 2013 direttore della filiale bolognese della Cassa di Risparmio di Ravenna (istituto risultato all’oscuro ed estraneo agli illeciti) ma che di recente aveva cambiato lavoro, è finito in carcere e risponde di associazione per delinquere di stampo mafioso, oltre che di riciclaggio e altri reati. Secondo le Fiamme Gialle, era consapevole di prestare il proprio servizio a clan camorristici, ai quali grazie al suo incarico avrebbe garantito una serie di attività bancarie (versamenti, cambio di assegni) in barba ai controlli antiriciclaggio. Il funzionario di banca e il commercialista napoletano Antimo Castiglione, 60 anni, anch’egli arrestato, ‘non si erano limitati a fornire un ausilio estemporaneo agli indagati – scrivono i finanzieri in una nota – ma erano stati in costante e sinergico rapporto con il gruppo camorristico e da esso avevano tratto vantaggi personali”.

Nell’indagine “‘Omphalos” (ombelico in greco, ndr) è indagata per riciclaggio anche una donna, ex direttrice di banca anche lei bolognese, ritenuta però all’oscuro di lavorare per conto di clan camorristici. Il nome dato all’operazione è riferito al ruolo centrale di Bologna nell’organizzazione criminale: la città emiliana sarebbe stata scelta per le frequentazioni abituali di Antonio Passarelli, 61 anni, imprenditore campano ritenuto al vertice del sodalizio, oltre che per la presenza dei due “colletti” bianchì compiacenti. Anche se i capitali provenivano da diversi clan, era però di comune interesse di tutte le cosche ripulire il danaro “sporco” attraverso un unico canale di riciclaggio. L’anello di congiunzione tra Sangiorgio e i clan era l’imprenditore del parco Primavera Antonio Passarelli, che “schermava” i profitti dell’attività truffaldina in compagini societarie in cui non figurava mai come socio.