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Tutto in famiglia: così i parenti si sono presi l´Italia

Nel “sistema gelatinoso” anche imprenditori già indagati

Sui verdi campi dell´Olgiata Golf Club non è raro imbattersi in Guido Bertolaso che incrocia le mazze del suo sport preferito con un avversario del Generone romano, come un po´ spregiativamente veniva definito il ceto borghese vaticano ai tempi delle rissose nobiltà nere e bianche.

Il signore abbronzato che spesso trotta al suo fianco, o almeno lo faceva prima che venisse alla luce l´Album di famiglia dei Signori degli appalti, si chiama Francesco Piermarini, golfista iscritto all´Albo d´Oro del Club, di professione alquanto incerta, le cui attività spaziano dall´immobiliare allo smaltimento dei rifiuti, dall´organizzazione di eventi al cinema, che lo vide produttore, con finanziamenti del ministero dei Beni Culturali, del film «Il servo ungherese», seguito dalla produzione un po´ meno impegnata di «Ladri di barzellette».
Questo ingegner Piermarini dalle multiformi attività, è stato una specie di factotum dei lavori della Protezione Civile per il G8 della Maddalena, fino a ricoprire il ruolo di anfitrione lo scorso Ferragosto nella cena di festeggiamento che si tenne nell´ex Arsenale diventato «Casa del mare», dove Bertolaso giunse con la famiglia a bordo del due alberi «Crazy Days».
Ora, si dà il caso che Francesco Piermarini, noto alla Maddalena come «l´architetto», non sia soltanto tra i preferiti dei Bertolaso boys, ma sia anche cognato del sottosegretario, il fratello di sua moglie Gloria. Per cui se come il sottosegretario dice, qualcuno ha tradito la sua fiducia, dovrebbe dare forse un´occhiata non solo nella «gelatina» degli appalti «emergenziali» senza controllo per i più svariati «grandi eventi», ma persino nel tinello di casa sua.
Da neolaureato medico specialista in malattie tropicali, il giovane Bertolaso, prima del suo incontro importante con Giulio Andreotti, sentiva di voler seguire le orme del dottor Albert Schwaitzer, grande benefattore dei derelitti. Ma negli anni Ottanta si scoprì anche una certa vocazione immobiliare. Con la moglie Gloria, il cognato Francesco, la cognata Marilena, il suocero Guido e la di lui consorte Delis Papio, più il fratello di lei Francisco, mise in piedi l´Immobiliare Olgiata, che poi, decollato nel ruolo di campione dei disastri, si disperse nelle nebbie. Con questa congerie di parenti acquisiti, il sottosegretario ha rapporti ottimi e continui. Con i suoceri lo si vede frequentare il Rotary Parioli, con il cognato vive quasi in simbiosi. Strano allora che, pur preso dal terremoto e dalle mille «emergenze» che Berlusconi e Letta gli gettavano quotidianamente tra i piedi, come la celebrazione di anniversari dei santi o la regolazione del traffico delle gondole a Venezia, attraverso il cognato non abbia mai avuto sentore del sistema che gli si muoveva intorno.
Eppure, le condizioni c´erano tutte, perché agli appalti della Maddalena, con un esborso di oltre 320 miliardi e un costo di costruzione al metro quadro per l´albergo realizzato nell´ex ospedale mai raggiunto al mondo, neanche in Dubai, come a quelli per i Mondiali di nuoto di Roma dell´estate 2009, partecipò l´intera genealogia nazionale dei Signori degli appalti. Un album di famiglia fitto fitto di personaggi, molti dei quali coinvolti in clamorose inchieste giudiziarie. Talmente tante che è persino difficile censirle.
Oltre all´ormai nota dinastia degli Anemone, quella di casa dal Gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci che collaborò con il cardinale Crescenzio Sepe per il Giubileo del 2000, troviamo, per citarne qualcuno, il toscano Valerio Carducci, coinvolto nell´inchiesta «Why not» dell´ex Pm Luigi De Magistris, il quale, avendo perso l´appalto per il teatro della Musica di Firenze, fu ricompensato da Balducci. Rinunciando a un ricorso al Tar, si garantì l´appalto dell´albergo della Maddalena per i capi di Stato e di governo, il cui costo è lievitato da 59 a 73 milioni. Il progettista di Carducci è l´architetto Marco Casamonti, già balzato agli onori delle cronache nelle vicende giudiziarie fiorentine che nascono dall´inchiesta su Castello e che terremotarono la giunta del sindaco di Centrosinistra Leonardo Domenici per la destinazione dell´area a nord della città di proprietà di Salvatore Ligresti, che è stato indagato per corruzione. Questo Casamonti in una telefonata dell´agosto 2008 si compiace: «Ci hanno chiamati per dare una mano per i progetti del G8 alla Maddalena perché sono nella cacca più nera». E poi si vanta con il suo capo Carducci di essere in grado di far lievitare i costi anche di 70 milioni. Niente di tutto ciò sapeva la Protezione Civile con i suoi potenti mezzi prima di affidare appalti emergenziali? Per le opere dei Mondiali di nuoto di Roma, molte delle quali non realizzate o non completate, scesero in campo tutti i grandi gruppi, da Francesco Gaetano Caltagirone a Pierluigi Toti, da Leonardo Caltagirone a Parnasi. E, oltre agli Anemone, per il Polo natatorio di Pietralata anche la Cogei di Roberto Petrassi, vecchia conoscenza delle Procure d´Italia. Questo Petrassi è una specie di filosofo di Appaltopoli: «O ti chiami ladro o ti chiami poveraccio – diceva in una telefonata intercettata per una delle tante inchieste di cui è stato oggetto – sono due le cose. Noi abbiamo una forma di rubare che è autorizzata sotto certi casi e quegli altri invece sono ladri perché rubano le mele al mercato e vanno in galera. A noi è più difficile che ci mettano in galera, infatti io ho attraversato tutta Mani pulite, mani prepulite. Le ho passate tutte, sono stato il più grosso gruppo di Roma e in galera non ci sono andato, né sono stato incriminato perché le cose sono abituato a farle bene».
Splendida la «forma di rubare che è autorizzata sotto certi casi», una sorta di aggiornamento de facto del codice penale e della Costituzione della Repubblica, certificata dalle deroghe della Protezione Civile, che non risulta distinguere tra chi ruba «autorizzato» e chi è un semplice ladro. Un´elegia sopraffina del malaffare degli appalti che assedia l´Italia nell´indifferenza o nella complicità di quel che resta della politica e di una pubblica amministrazione corriva.
Poteva non sapere Bertolaso, con suo cognato Piermarini, chi aveva in casa, a «tradire la sua fiducia»? Se non lui, certo lo sapeva il commissario Claudio Rinaldi, succeduto a Balducci, che disse: «Ha vinto una gara (Petrassi, ndr). E io faccio il commissario di governo, non il commissario di polizia». Mentre la premiata ditta Balducci, indisturbata, copriva di cemento emergenziale l´argine del Tevere del Salaria Sport Village, versatile struttura di sport e poker, fisioterapia e alcove.
Anche il sottosegretario Bertolaso non è il commissario Basettoni, ma alla superba rassegna stampa che Gianni Letta si fa preparare ogni mattina deve aver pure dato un´occhiata qualche volta. Sarebbe bastata un´occhiata per capire chi attentava alla sua ingenua fiducia. Bastava leggere gli articoli di Fabrizio Gatti sull´Espresso, o anche il libro del sottoscritto «Il Termitaio», che già raccontavano quasi tutto dei Signori degli appalti, della Protezione Civile e non, la gelatina che lo avvolgeva giorno dopo giorno fino a coprirne il collo.
Lo «Scandalo Bertolaso», come non esitiamo a definirlo, viene da lontano. Nasce a Firenze come costola imprevista dell´affare Castello, che per mesi nel 2008 ha riempito le cronache politiche e giudiziarie di questo paese, con l´indagine per corruzione a carico, tra gli altri, di Salvatore Ligresti.
Per cui il sottosegretario Bertolaso può starne certo: «Qualcuno ha tradito la sua fiducia». E molti quella degli italiani.

Alberto Statera

(Tratto da Diritti Globali)