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Tutti i trucchi per tutelare la mafia

Le incongruenze tra l’articolo 11 e 12 del disegno di legge sulla sicurezza. L’espediente che tutela ogni giorno 200 milioni di euro, che passano dagli imprenditori alla prima azienda nazionale: la criminalità organizzata
di Vincenzo Mulè
Un rebus di carattere giuridico rischia seriamente di vanificare ogni azione dello Stato contro il patrimonio della mafia. Se da un lato il ministro Maroni continua a dirsi d’accordo che uno dei modi più efficaci per colpire la potenza mafiosa è proprio quello di paralizzarne i beni con la confisca ed il loro riutilizzo a fini sociali, dall’altro l’azione del governo di cui il leghista è uno dei massimi esponenti sembrerebbe andare in un’altra direzione. Nel disegno di legge n. 733 del 3 giugno 2008, quello per intenderci delle disposizioni in materia di sicurezza, la questione della completa separazione tra misure di prevenzioni personali e patrimoniali non è stata risolta. Anzi, due articoli rischiano di rendere la faccenda ancora più ingarbugliata. Dei venti articoli che compongono il disegno di legge, sei (dal dieci al quindici) modificano la disciplina che regola la lotta alla criminalità organizzata. Più nel dettaglio, sono proprio gli articoli 11 e 12 che creano, secondo quanto denunciato dalla stessa antimafia, confusione sulla materia.

La legge antimafia 575/65 pone le misure patrimoniali in posizione subordinata e accessoria rispetto alle misure personali: in pratica, la confisca dei patrimoni mafiosi può essere disposta solo se viene ordinata la sorveglianza speciale nei confronti dell’indiziato proprietario del bene. Ora, mentre l’articolo 12 del disegno di legge stabilisce che «le misure di prevenzione personali e patrimoniali si applicano congiuntamente o disgiuntamente, anche in caso di morte del soggetto proposto per l’applicazione delle misure di prevenzione», l’articolo 11 conferma la disciplina vigente in base alla quale «con l’applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati» intestati o comunque riconducibili all’indiziato di mafia, che risultino sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta e di cui non possa giustificare la legittima provenienza. Viene inoltre confermato che «il sequestro è revocato dal tribunale quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione». La contraddizione quindi è solo apparente, poiché il governo, a fronte dell’affermazione generale e di principio contenuta nell’articolo 12 (applicazione congiunta o disgiunta delle misure personali e patrimoniali), ha mantenuto inalterato il precedente impianto normativo, per cui la misura patrimoniale resta in posizione subordinata e accessoria rispetto a quella personale, che, seppure applicata dal tribunale, non di rado viene revocata in appello. Questo perché l’indiziato di mafia è molto attento a evitare tutti quei comportamenti che possono confermare l’attualità della sua pericolosità (frequentazioni, rapporti d’affari, commissione di altri reati, ecc.). �
La netta separazione tra le misure di prevenzione personali da quelle patrimoniali fu richiesta all’unanimità già dalla Commissione antimafia della precedente legislatura nelle relazioni del 27 novembre 2007 e 19 febbraio 2008 ed era prevista nel disegno di legge sulle misure di contrasto alla criminalità organizzata presentato dal precedente governo ancora nel novembre del 2007.�

I mafiosi, quindi, possono continuare
 a dormire sonni tranquilli. Le attività economiche, i patrimoni immobiliari le ingentissime risorse finanziarie da loro gestite e spesso intestati a terzi prestanome, continuano a essere protetti da una normativa che invece di prendere in considerazione i precedenti specifici dell’indiziato e di verificare con quali redditi ha formato il suo patrimonio (quindi la pericolosità passata), prende in considerazione soltanto la pericolosità attuale, effettuando così un colpo di spugna, una vera e propria sanatoria, sui patrimoni mafiosi accumulati dall’indiziato nel corso degli anni.�
E non sembra un caso che i sequestri e le confische dei patrimoni mafiosi abbiano subito negli ultimi anni un crollo verticale, anche in province ad alta densità mafiosa, come rilevato dalla Commissione antimafia nella già citata relazione dello scorso novembre: nell’anno 2005, ad esempio, alcuni tribunali non hanno emesso alcun provvedimento di misura patrimoniale. Tra di essi troviamo al sud Catanzaro, Catania, Cosenza e Salerno. Nello stesso periodo, Trapani, Ragusa, Crotone e Siracusa hanno comunicato un solo provvedimento. Nel 2006, inoltre, Trapani e Catania hanno comunicato tre procedimenti, Catanzaro solo due, Cosenza e Siracusa uno, mentre Crotone nessuno. Palermo, dove pure si registra un’intensa e qualificata attività di aggressione ai patrimoni, è passata dai 66 provvedimenti adottati e comunicati nel 2003 ai 26 del 2006.  Complessivamente meno del 15 per cento degli immobili sottoposti a sequestro arrivano alla confisca. Inoltre, emerge che dal 2001 al 2005 è aumentato notevolmente il peso percentuale dei provvedimenti di rigetto o di dichiarazione di improcedibilità delle proposte di applicazione di misure di prevenzione, emessi dai Tribunali; si è passati, infatti, da un peso percentuale del 27 per cento circa del 2001, al circa 40 per cento del 2005. 

È un dato inconfutabile che la mafia rappresenti oggi la prima azienda italiana. Ogni giorno 200 milioni di euro passano dalle mani degli imprenditori a quelle dei mafiosi e di questi 80 milioni sono a vario titolo sborsati dai commercianti italiani vittime di usura, racket, furti, rapine, contrabbando e abusivismo. Parallelamente, le mafie hanno sempre più una dimensione globale, trasnazionale. La mafia russa investe in Italia, così come quella italiana indirizza parte dei suoi proventi in Romania. L’assemblea delle associazioni antimafie europee riunitesi a Bruxelles la scorsa settimana hanno lanciato la proposta di creare un’agenzia a dimensione continentale che gestisca i beni confiscati alle mafie, con l’obiettivo di promuoverne un uso sociale. L’idea è quella di istituire una sorta di Authority Ue che, con il coinvolgimento di Europo ed Eurojust, coordini questi investimenti nel sociale fatti con i beni sottratti alla criminalità organizzata. In questo modo, ad esempio, parte dei beni tolti a Cosa nostra, alla camorra o alla ’ndrangheta potrebbero far nascere delle cooperative di giovani in Romania. Che la confisca dei beni sia uno degli strumenti più importanti per la lotta alla mafia è la storia a ricordarlo. Nel 1982 il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu tra i primi a focalizzare l’attenzione in maniera specifica sulla dimensione economica e finanziaria delle organizzazioni criminali. Il 30 aprile di quello stesso anno, la mafia uccideva Pio La Torre. Il sindacalista e dirigente del Partito comunista in Sicilia aveva presentato un disegno di legge nel quale si riconosceva la mafia come associazione criminale e si introducevano i provvedimenti di sequestro e di confisca dei beni.

13 giugno 2008 

(da avvenimentionline.it)