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Tre episodi per un depistaggio

Tre episodi per un depistaggio

Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio comincia pochi istanti dopo l’esplosione in cui perdono la vita il dottor Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

Quella domenica 19 luglio – come ha ricostruito il dott. Gozzo nel corso della sua audizione – si succedono almeno tre diversi episodi “di un’azione coordinata”, destinati a manipolare la scena della strage, a trafugare documenti, a sottrarre prove.

Il primo, il più macroscopico, ha come teatro proprio via D’Amelio: vi torneremo diffusamente più avanti.

Altri due interventi riguardano la casa di campagna del giudice Borsellino e il suo ufficio alla Procura di Palermo. Spiega il pm Gozzo:

GOZZO. “Sapevano tutti che Borsellino, prima di morire va nella casa di campagna, a Villagrazia di Carini e in effetti dopo qualche settimana viene trovato un portacenere pieno di sigarette (…) Fatto è che quando (i familiari) vanno là per la prima volta, la porta era stata aperta perché lo studio era a soqquadro (mentre) tutto il resto era perfettamente a posto. Quindi, un ladro “anomalo” perché non aveva toccato nulla delle cose che c’erano all’interno della casa..”.

Il secondo intervento avviene nello studio di Paolo Borsellino al palazzo di giustizia:

GOZZO. “(I figli) hanno verificato immediatamente che qualcosa non andava. Sebbene il padre avesse lavorato moltissimo in ufficio e di meno a casa, sopra la scrivania non c’era quasi niente. Tutto sembrava perfettamente messo in ordine. I familiari avevano pensato: ‘qualcun altro ha ripulito tutto…’”.

Infine via D’Amelio, il luogo della strage.

Nei minuti successivi all’esplosione in quel tratto di strada si raccoglie una moltitudine di persone appartenenti alle forze dell’ordine, colleghi di Paolo Borsellino, giornalisti, vigili del fuoco e – con modalità del tutto anomale – personale dei servizi segreti. Modalità anomale soprattutto nei tempi per la sospetta tempestività – come vedremo – con cui uomini del SISDE saranno notati in via D’Amelio dopo l’attentato.

Di quei primi convulsi e confusi istanti, la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino resta il vulnus più grave, l’inizio dell’opera di depistaggio che si consumerà per i sedici anni successivi producendo sentenze di condanna definitiva (poi revocate, nel luglio 2017, a seguito dell’accoglimento della richiesta di revisione) ai danni di chi era del tutto estraneo a quella strage.

Ha detto in Commissione il pm Gozzo:

GOZZO. “La cosiddetta sparizione dell’agenda rossa, sul teatro della strage di via d’Amelio, non può averla compiuta la mafia. Questa è un’ovvietà che dicono tutti, ma è un’ovvietà vera. E, quindi è chiaro ed evidente che se questa cosa è successa, ed è successa, deve essere stata compiuta da qualcun altro”.

Eppure per molto tempo (almeno fino alla primavera 2005, data in cui ha avvio l’inchiesta della procura di Caltanissetta sulla sottrazione dell’agenda, conclusasi poi con il proscioglimento in udienza preliminare del colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli ) questa “ovvietà” viene negata da tutti: dai pubblici ministeri di Caltanissetta che indagano sulla strage, dagli investigatori del cosiddetto gruppo “Falcone-Borsellino” che detengono la cabina di regia di quelle prime indagini, dai loro referenti e protettori politici. La sparizione dell’agenda rossa di Borsellino non sarà mai motivo di indagine.

Solo in occasione del Borsellino quater si coglie l’urgenza di investigare su questo episodio e su chi materialmente fece scomparire (o ordinò di far scomparire) l’agenda del giudice.

Ricorda in proposito il pm Gozzo:

GOZZO. “L’intento (processuale) era quello di trovare questo “qualcun altro”, magari di vedere se c’erano collegamenti tra questo “qualcun altro” e quel soggetto che viene descritto da Spatuzza come presente all’imbottitura della macchina per l’esplosivo, in via Villasevaglios, poco prima della strage del 19 luglio…”.

 

07 novembre 2020

fonte:https://mafie.blogautore.repubblica.it/