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Traffico di rifiuti (anche radioattivi), fatture false e riciclaggio: 18 arresti per associazione mafiosa

Il Fatto Quotidiano

Traffico di rifiuti (anche radioattivi), fatture false e riciclaggio: 18 arresti per associazione mafiosa

Operazione della Finanza e della Polizia, coordinata dalla Dda di Milano, in tre regioni. L’indagato: “Una grossa ditta ha bisogno di far girare 70 milioni”

di F. Q. | 9 FEBBRAIO 2021

Il business di rifiuti, anche radioattivi, era la principale attività di un gruppo di persone finite nel mirino della Dda di Milano. Dieci persone sono finite in carcere e otto ai domiciliari per associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, autoriciclaggio, usura ed estorsione. L’operazione condotta dal Gico della Guardia di Finanza e dalla Squadra Mobile di Lecco ha coinvolto tre regioni, Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna, ha portato anche al sequestro di un carico di rifiuti radioattivi. Alla guida del gruppo Cosimo Vallelonga, esponente di spicco dell’ndrangheta è già condannato. Durante l’operazione sono state sequestrare anche armi detenute. Notificato anche un decreto di sequestro preventivo per equivalente di oltre 120 mila euro e di quote di società utilizzate per operazioni illecite.

I provvedimenti firmati dal gip Alessandra Clemente su richiesta del pm della dda Paola Biondolillo e Adriano Scudieri, come si legge in una nota firmata dal Procuratore di Milano Francesco Greco, sono lo sviluppo di un’attività investigativa che ha consentito di accertare come Vallelonga – già condannato per associazione di stampo mafioso in seguito alle inchieste di metà degli anni ’90 La notte dei fiori di San Vito e del 2010 con il nome Infinito – dopo aver scontato l’ultima condanna ha ripreso i contatti e “rivitalizzato il sodalizio mafioso”.

Un’attività che avrebbe portato avanti ricevendo anche nel suo ufficio all’interno del negozio “Arredo Mania” di La Valletta Brianza altri esponenti della ‘ndrangheta per dirimere controversie e concordare nuove strategie ed eludere i controlli. Gli incontri sarebbero avvenuti anche con imprenditori locali, sia per erogare presiti a tassi usurari sia per organizzare il reinvestimento di proventi di attività illecite in campo economico. Tra gli uomini di fiducia di Vallelonga c’è anche Vincenzo Marchio, figlio di Pierino altro affiliato e storicamente legato alla famiglia Coco Trovato.

L’”imponente” traffico illecito di rifiuti sarebbe stato organizzato, secondo le indagini, sempre da Vallelonga e i suoi coindagati, attraverso imprese che operano nel settore del commercio di metalli ferrosi e non ferrosi avrebbe portato a una movimentazione illegale di oltre 10mila tonnellate di materiale anche con l’utilizzo di società cartiere che hanno annotato fatture false per circa 7 milioni di euro.
Il denaro per gli acquisti in nero del materiale ferroso si aggira attorno a 30 milioni. Nel maggio del 2018 poi è stato pure sequestrato un “pericoloso carico di rifiuti radioattivi” di 16 tonnellate proveniente dalla provincia di Bergamo.Inoltre è stato riscontrato come i proventi illeciti siano stati reimpiegati anche in 
attività di ristorazione e del commercio di auto, oltre che nel settore sempre dei rifiuti. Infine sono stati ricostruiti episodi di usura, con tanto di condotte estorsive per il recupero crediti, in danno di almeno 8 persone in difficoltà economiche, tra cui diversi imprenditori lombardi: 750 mila euro di prestiti a tassi di interesse fino al 40 per cento.

In una intercettazione un indagato, nel 2018, parlava a Vallelonga di una “grossa ditta” che “aveva bisogno di far ‘girare’ un’enorme cifra di denaro” con un sistema di false fatturazioni: “Un settanta milioni da girare, non so se in dollari o in euro, mi servirebbe fare delle fatture”. Dall’intercettazione sui “70 milioni” emerge, scrive il gip, la sua disponibilità “a mettere a disposizione la sua caratura criminale, le sue conoscenze e in definitiva” il suo “capitale mafioso”. E Vallelonga, infatti, si sarebbe impegnato “per risolvere il problema” postogli dal presunto affiliato al clan calabrese.