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Torino, dove convivono tante mafie

Torino, dove convivono tante mafie

Giovedì, 29 Giugno 2017

di Paolo Palazzo

1995, uno dei tanti lunghi viaggi in macchina in giro per l’Italia. Seduto sul sedile posteriore con un uomo che aveva passato la sua vita in una organizzazione mafiosa e che ora stava collaborando con la giustizia, raccontando di importazioni di container pieni di cocaina che dalla Colombia arrivavano in Italia e di un considerevole numero di omicidi al quale lui stesso aveva partecipato.

In quel viaggio mi raccontava che la sua organizzazione si era accorta che a Torino, città dove lui viveva, vi era una numerosissima presenza di prostitute nigeriane e, con tutta probabilità, vi era un gruppo criminale che le gestiva e ne traeva i profitti.

Quest’altra presenza era per loro intollerabile e lui e i suoi compagni avevano pensato, fortunatamente era rimasta solo una intenzione, di ferire a colpi di pistola una di queste sfortunate, scelta a caso, per ottenere che “qualcuno si presentasse da noi per parlare” perché non era pensabile che altre strutture criminali potessero agire sul territorio, crescere e costituire per loro un potenziale futuro pericolo.

La sua analisi prevedeva la probabile scomparsa nel futuro, o almeno un forte ridimensionamento, delle organizzazioni mafiose italiane che in una decina d’anni non sarebbero state più in grado di contrastare le organizzazioni straniere che si affacciavano al nostro Paese con una forza e una spietatezza tale da impressionarlo: “Questi ti ammazzano per niente, scompaiono e non sai dove trovarli” mi disse.

Torino, la città che ha vissuto gli attentati delle Brigate Rosse, i sacchetti di sabbia che proteggevano i soldati a guardia delle aule dove si svolgevano le udienze, aveva visto negli anni ’80 il processo alla mafia siciliana, il “clan dei catanesi”, che in quegli anni dividevano gli affari criminali con la ‘ndrangheta calabrese che ucciderà il procuratore della Repubblica Bruno Caccia, uomo e magistrato intransigente che conviveva con alcuni colleghi di ufficio non altrettanto virtuosi e altri che con i mafiosi ci andavano a cena.

Nella metà degli anni Novanta, Torino vivrà invece un processo contro decine di appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese che in quella stagione si stavano arricchendo con i traffici di droga dal Sud America e conquistando il controllo della città a colpi di pistola e morti ammazzati. Quindici anni dopo altre 150 persone saranno arrestate in un solo giorno per una indagine sulla ‘ndrangheta che porterà allo scioglimento per infiltrazioni mafiose di due comuni della provincia torinese.

Nel frattempo le forze di polizia e la magistratura hanno visto crescere organizzazioni criminali balcaniche, magrebine, africane, dell’Est Europa che si impongono e trovano spazio negli affari criminali.

Oggi la criminalità mafiosa italiana e quella straniera convivono, di tanto in tanto sinergicamente. A volte, ricordo le parole di quel compagno di viaggio così particolare, a quella macchina in giro per l’Italia. Penso che la sua analisi fosse sbagliata. E che oggi è ancora più complesso di ieri.

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it