Cerca

Sulle tracce del fantasma di Messina Denaro

La Repubblica

Sulle tracce del fantasma di Messina Denaro

di Salvo Palazzolo

Il capomafia più ricercato d’Europa è protagonista di “U siccu” che esce dal 7 novembre in edicola con Repubblica

06 NOVEMBRE 2020

C’è un mafioso in Sicilia, ricercato da 27 anni, che non ha mai chiesto il pizzo. Piuttosto, ha sempre offerto liquidità agli imprenditori. Si chiama Matteo Messina Denaro, è il padrino di Castelvetrano condannato all’ergastolo per le stragi del ’92-’93. Non è certo un filantropo, ha solo previsto per tempo l’accelerazione della crisi economica. E ha lanciato il suo abbraccio fatale agli operatori economici in difficoltà: acquisisce società, lancia sempre nuovi prestanome arrivati dal nulla, investe, ricicla. «In periodo di Covid, questa forza economica è capace di inquinare ancora di più in maniera silenziosa e invisibile l’economia legale del Paese e la politica», racconta Lirio Abbate, il vice direttore dell’Espresso nel suo ultimo libro dedicato al criminale più ricercato d’Italia, si intitola U siccu. Matteo Messina Denaro: l’ultimo capo dei capi, adesso in uscita con Repubblica e l’Espresso (a 12,90 euro in più). Un’inchiesta giornalistica vecchio stile nel cuore della Sicilia, dove Abbate è cresciuto raccontando l’ascesa dei Corleonesi di Totò Riina, le stragi e le complicità, per questo vive da anni sotto scorta.

U siccu in dialetto vuole “molto magro”. «Ha un occhio leggermente strabico, porta occhiali a goccia, fuma, non gradisce fare né l’eremita, né il pezzente, gli piacciono le donne e lui piace a loro». È il ritratto di un fantasma, oggi ha 58 anni, dal giugno 1993 sembra diventato imprendibile nonostante gli diano la caccia i migliori investigatori di polizia e carabinieri, coordinati dalla procura antimafia di Palermo. Abbate ha ritrovato il primo (e unico) verbale d’interrogatorio del boss, risale al 30 giugno 1988. «Sono il quarto dei sei figli di Messina Denaro Francesco – disse ai poliziotti del commissariato di Castelvetrano – l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi. Lui è stato campiere presso i terreni della famiglia D’Alì Staiti – spiegò – e tre anni fa sono subentrato io». Quel giovanotto dall’aria spavalda che aveva iniziato a lavorare per la famiglia del futuro sottosegretario all’Interno Tonino D’Alì ha ereditato molto dal padre padrino: soprattutto, tante relazioni che sono diventate il vero segreto della sua latitanza. Perché oggi Messina Denaro non ha più sicari a disposizione, la sua forza è nei misteri che ha attraversato. Quelli attorno alle stragi Falcone e Borsellino, alle bombe di Roma, Milano e Firenze, quelli sulla trattativa fra pezzi dello Stato e i vertici della mafia nei giorni in cui l’Italia era insanguinata. Messina Denaro era il pupillo di Riina, eppure negli ultimi anni il capo dei capi di Cosa nostra si lamentava: «Se ci fosse suo padre, buonanima, perché suo padre era un bravo cristiano, u zu Ciccio era un orologio… questo figlio lo ha dato a me per farne quello ne dovevo fare – Abbate ripercorre le intercettazioni della Dia nel carcere di Opera – È stato quattro o cinque anni con me. Impara bene, minchia, e poi tutto in una volta…». All’improvviso, dopo la stagione delle stragi, l’unico erede della dinastia Corleonese rimasto in libertà sparisce. E da killer diventa manager.

 

Negli ultimi anni, magistrati e forze dell’ordine hanno provato a fargli terra bruciata sequestrando milioni di euro agli imprenditori del suo “cerchio magico”, impegnati nei settori più diversi, dalla grande distribuzione all’energia eolica. Ma lui è riuscito sempre a farla franca. Blitz sono falliti all’ultimo momento, notizie sulle indagini sono filtrate, talpe si sono mosse. I segreti della Primula rossa di Castelvetrano restano merce di scambio e di ricatto. Chi protegge ancora Messina Denaro? E chissà dove si nasconde. Le microspie e le telecamere che scrutano il ventre della Sicilia non hanno più tracce di lui da anni.

«Il punto di chiusura di questa storia – scrive Abbate – è che un Paese democratico non può consentire a un uomo responsabile di omicidi e stragi di continuare a circolare, va arrestato al più presto. Oggi, è anche più pericoloso di prima». Soprattutto perché rappresenta un simbolo per quella Cosa nostra che non sembra affatto fiaccata da arresti, processi e sequestri. Il “metodo” Messina Denaro è già diventato un percorso per la riorganizzazione mafiosa. Meno controllo del territorio e più grandi affari. Con benefici per tutti i complici in causa, sul versante economico e politico. La mafia nell’epoca della pandemia è sempre più un’agenzia di servizi.

L’iniziativa
U siccu, il libro inchiesta di Lirio Abbate dedicato a Matteo Messina Denaro, introvabile boss della mafia corleonese e ultimo capo dei capi, è in edicola dal 7 novembre con Repubblica a 12,90 euro