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Stragi di mafia, le indagini sui mandanti occulti vanno avanti: “Sinergia operativa tra i pm di Firenze e le altre procure interessate”

Il Fatto Quotidiano

Stragi di mafia, le indagini sui mandanti occulti vanno avanti: “Sinergia operativa tra i pm di Firenze e le altre procure interessate”

La conferma dell’attività dei magistrati e dell’attiva collaborazione con altri uffici arriva dalla relazione 2020 sull’attività degli Uffici requirenti del Distretto giudiziario del capoluogo toscano. L’inchiesta è ripartita nel 2017, dopo le intercettazioni in carcere di Graviano con Umberto Adinolfi. Nel registro degli indagati, almeno fino a novembre 2019, risultavano iscritti i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri

di F. Q. | 30 GENNAIO 2021

A più di tre anni dalla riapertura del fascicolo sui mandanti occulti degli attentati mafiosi del 1993, l’impegno dei magistrati di Firenze per arrivare alla verità non si è mai fermato. Lo conferma la relazione 2020 sull’attività degli Uffici requirenti del Distretto giudiziario del capoluogo toscano, in cui si legge che la procura è “tuttora impegnata nella complessa e delicata attività di indagine volta a chiarire i punti ancora oscuri delle cosiddette ‘stragi di mafia’, che, come noto, hanno interessato anche Firenze”. A tal fine, si legge, la Dda “interagisce con gli altri Uffici distrettuali interessati, con leale e fruttuosa sinergia operativa“. Nel corso degli anni, infatti, sono tanti i tribunali che hanno aggiunto dei tasselli per ricostruire il mosaico di una delle stagioni più buie e oscure del nostro Paese. Dal processo sulla Trattativa Stato-mafia alle indagini dei pm di Caltanissetta, fino alla sentenza di Reggio Calabria sul ruolo della ‘ndrangheta nella strategia stragista, per cui sono stati condannati all’ergastolo i boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone.

L’inchiesta dei magistrati fiorentini è partita nel 2017, quando il capo della procura Giuseppe Creazzo ha ottenuto dal gip la riapertura del fascicolo che era stato archiviato nel 2011 dopo le intercettazioni in carcere di Graviano con un compagno di cella, Umberto Adinolfi. Almeno fino a novembre 2019, nel registro degli indagati risultavano iscritti i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Il nome del fondatore di Forza Italia è stato evocato più volte dallo stesso Graviano anche nel corso del processo ‘Ndrangheta stragista. Durante una serie di udienze il boss di Brancaccio ha sostenuto di essere stato in affari con l’ex presidente del consiglio, grazie agli investimenti compiuti dal nonno a Milano negli anni ’70. Ha parlato di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. E poi ha invitato la procura a indagare sul suo arresto per scoprire i mandanti delle stesse stragi. “Vada a indagare sul mio arresto e sull’arresto di mio fratello Filippo e scoprirà i veri mandanti delle stragi, scoprirà chi ha ucciso il poliziotto Agostino e la moglie, scoprirà tante cose”, ha detto Graviano al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo il 23 gennaio 2020.

Tutte parole che la procura di Firenze ha intenzione di accertare, per capire se si tratta di accuse prive di fondamento e di illazioni come sostiene il legale di Berlusconi Niccolò Ghedini. Nel frattempo gli atti del processo di Reggio Calabria sono stati trasmessi anche all’omonima procura, come emerso dalle motivazioni della sentenza. “Non può affatto escludersi, anzi appare piuttosto assai probabile, che dietro tali avvenimenti vi fossero dei mandanti politici che attraverso la ‘strategia della tensione’ volevano evitare l’avvento al potere delle sinistre, temuto anche dalle organizzazioni criminali, che erano riuscite con i precedenti referenti politici a godere di benefici e agevolazioni”, si legge. “Anche con riferimento alla identificazione di tali soggetti, compito certamente non agevole in considerazione altresì del lungo lasso temporale decorso rispetto ai fatti in esame, si impone quindi la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica”.

Un ulteriore impulso ad accertare la verità, anche su Capaci e via D’Amelio, arriva da Caltanissetta, dove il consigliere del Csm Nino Di Matteo ha partecipato all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Grazie allo sforzo immane di molti magistrati inquirenti e giudicanti, spesso giovani di prima nomina, tra mille difficoltà in un cammino disseminato di trappole, gli uffici di questo distretto contribuirono in maniera decisiva alla prima reazione dello Stato alla più grave offensiva mafiosa alle istituzioni democratiche che la storia della Repubblica ricordi”, ha dichiarato nel corso della cerimonia. “Dovete essere orgogliosi di lavorare in questi uffici e dovete avvertirne il peso e la responsabilità che ne derivano”, ha quindi detto rivolgendosi ai magistrati. “Intendo rappresentarvi la consapevolezza dell’intensità degli sforzi che ancora dovranno esser fatti nella direzione della ricerca di mandanti e moventi ulteriori anche e soprattutto esterni alla criminalità mafiosa in senso stretto delle stragi del 92″. “Il vostro sarà un lavoro duro e difficile che vi esporrà a prevedibili attacchi e delegittimazioni e a rischi di ogni tipo. Ecco perché avete una ragione in più, avete tutto il diritto di percepire l’organo di autogoverno della magistratura come vostro baluardo“.