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Stato-mafia.Una situazione inquietante

Stato-mafia.Una situazione inquietante

PROCESSO TRATTATIVA STATO-MAFIA 

Stato-mafia, Martelli: ”Scambi di favori tra mafia, P2, servizi deviati e massoneria deviata”

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Pubblicato: 09 Giugno 2016

martelli aula bunker 20160609di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Rispondendo ad una domanda del pm Di Matteo sulle pubblicazioni avvenute nel 1992, di Gelli, nel settimanale “Candido” che anticiparono le vicende che portarono alle dimissioni dal ruolo di Guardasigilli, l’ex ministro Claudio Martelli risponde con un’affermazione alquanto inquietante: ”Non è la prima volta che si scambiano favori tra la mafia, associazioni tipo la P2, servizi deviati, massoneria deviata”. Quindi spiega: “L’articolo di Gelli è di fine agosto primi di settembre e quello di “Candido” è di ottobre c’è un episodio che è importante: il grande accusatore, collaboratore di Craxi, Silvano Larini, che mi coinvolge nel Conto Protezione è ospitato, fino a quando si consegna all’autorità giudiziaria di Milano, nella villa di Florio Fiorini in Costa Azzurra. Fiorini era un uomo della P2. Non è la prima volta che si scambiano favori tra la mafia, associazioni tipo la P2, servizi deviati, massoneria deviata. Potrebbe esserci stato anche in questo caso”.
Successivamente è tornato sul decreto “Falcone”. “Imposi il voto di fiducia. Io lo dissi ad Amato e lui acconsentì. Mancino favorevole o contrario? Non lo ricordo”.
Durante la deposizione Martelli parla anche della “singolare commissione parlamentare di indagine che ha escluso responsabilità politiche in questa vicenda della trattativa e si è concentrata sulle responsabilità che riguarderebbero gli ufficiali dei Carabinieri… ma le responsabilità politiche sono conclamate! Quando il ministro della giustizia sostituito (Conso, ndr) dichiara che togliendo il 41 bis a centinaia di detenuti mafiosi si voleva dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa Nostra al fine di evitare le stragi, non ci sono dubbi”.
Quindi riporta anche un diverbio a distanza con Giuliano Amato, rispetto al fatto che Craxi non voleva la riconferma di Martelli al ministero della Giustizia.
“C’è stato un diverbio a distanza – ricorda – eravamo presenti nello stesso momento alla Commissione antimafia. Di questa vicenda, dell’ambasciata di Giuliano Amato, ne ho riferito anche alla Commissione antimafia e, dopo che io ho riferito questi fatti, fanno la stessa domanda ad Amato e lui comunica dicendo di poterlo escludere. A quel punto io intervengo e chiedo un giurì d’onore perché intendo denunciarlo per spergiuro in quanto ci sono almeno 10 testimoni che possono confermare che le cose sono andate come le ho raccontate io”. Rispondendo ad una specifica domanda dell’avvocato Anania se avesse mai saputo di una trattativa tra Sato e mafia Martelli dice: “Io posso parlare di quello che hanno detto anche altri. Credo si possa dire che, peggio, vi sia stato un cedimento unilaterale da parte dello Stato. Possiamo sicuramente essere certi che si è aperta una dialettica, bombe-concessioni, bombe-concessioni. Dopo il 1992 le stragi non sono affatto finite e vengono spostate in continente a Firenze, Roma e Milano. Ma prima c’erano già state le revoche del 41 bis alle carceri di Poggioreale e Secondigliano. Poi c’è l’attentato a Costanzo e le altre stragi”. E questo avviene prima delle revoche dei 41 bis a novembre 1993. Poi se la prende anche con una delle ultime Commissioni antimafia: “La commissione Pisanu ha escluso la responsabilità politica nella trattativa e si è concentrato su quella dei carabinieri, ma io credo che le responsabilità politiche sono conclamate. Quando un ministro della Giustizia dichiara di aver levato il 41 bis a centinaia di detenuti per dare un segnale di distensione, che dubbio c’è?”. Il processo viene infine rinviato a domani quando si proseguirà con l’esame di Massimo Ciancimino. Martelli, invece, dovrà tornare a deporre in controesame il 15 giugno prossimo quando il processo riprenderà in trasferta, a Roma, per le testimonianze di Giuliano Amato e Liliana Ferraro.


Stato-mafia, Martelli: ”Due correnti in Cosa nostra, che Mancino lo sapesse da luglio ’92 fa riflettere”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Ricordo che durante una deposizione di Mancino alla Commissione antimafia, parlando del suo insediamento, riferì dell’esistenza all’interno di Cosa nostra di due brutte correnti, una stragista di Riina e una più moderata di Provenzano. Disse: ‘appena arrivato al ministero mi resi conto’. Io non avevo notizie di questo. Io avevo dalle fonti ministeriali e giudiziarie che Provenzano era il vice di Riina e che i due erano intercambiabili tanto che alle riunioni andava uno o all’altro. Ma se questo delle due correnti è maturato è stato dopo la cattura di Riina, non prima. Ma che Mancino lo sapesse da luglio… fa riflettere…”. A dirlo è l’ex Guardasigilli Claudio Martelli, oggi impegnato nell’audizione al processo trattativa Stato-mafia, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo.
Durante la deposizione il politico parla anche delle minacce ricevute nel periodo in cui era titolare al dicastero. “Avvenne nel momento in cui fu varato il decreto che Cossiga chiamava il decreto di arresto (dei mafiosi che stavano per essere scarcerati). Spararono dei colpi contro la scorta, la scorta reagì si diede all’inseguimeto e li prese, erano due fratelli di Alcamo condannati per mafia e uno dei due per omicidio. Il giorno dopo Falcone venne a vedere l’abitazione e i proiettili conficcati nel muro e lui sornione mi disse: ‘secondo me non è un attentato, è un ammonimento, ma se continui così stai sicuro che te lo fanno l’attentato’. Poi successivamente i Carabinieri videro tre persone che fuori dalla mia villa stavano scattando delle foto, tra queste c’era il medico Gaetano Azzolina. L’attentato vero me lo riferì Manganelli, io ero deputato europeo, nel 2000/2001. Disse di averlo saputo dal carcere che era stato preparato a Messina nel gennaio del ’93 in cui dovevo saltare in aria durante un comizio, poi all’ultimo momento io avevo rinviato quel comizio. In relazione al secondo episodio dell’autunno ’92 abbiamo la nota dello Sco che dà atto di quanto è avvenuto e dice che la terza persona era Gaetano Sangiorgi”.
Martelli conferma anche quanto detto il 15 febbraio 2011 alla Procura di Palermo rispetto al colloquio con Mancino del 4 luglio, sull’azione del Ros e la richiesta di un sostegno politico (“Ecco – disse allora – lo stesso discorso vale anche per Mancino, quando leggo che non si ricorda… io non ho detto che avesse dubbi e riserve, ho detto che ricordo perfettamente di averne parlato con lui su quello che stavano facendo quelli del Ros ‘cosa c’entrano i Ros’ e lui nega di ricordarlo, ma io lo ricordo’”). Sempre rispondendo alle domande del pm Di Matteo Martelli ricorda anche che parlò con Falcone dell’omicidio Scopelliti confermando quanto dichiarato il 20 maggio 1993 a Caltanissetta: “una intuizione di Falcone che mi colpì risale al delitto Scopelliti, Giovanni confermò … un delitto che non poteva essere maturato in Calabria… ricordo che mi disse ‘è cosa siciliana, lo hanno ucciso per il maxi processo’”. Invece, in riferimento alla visita a Scalfaro fatta assieme a Scotti ricorda che quest’ultimo non fu silente ma “il 90% ha parlato Scalfaro e io ho interloquito, ci sono state delle sottolineature. Siamo andati lì per vedere se il presidente avesse dubbi sulla costituzionalità del decreto ma non so se avesse avuto un colloquio con la corte costituzionale”. Inoltre l’ex Guardasigilli conferma quanto detto nel giugno 2012, quando fu sentito rispetto ad un’intervista rilasciata all’Unità il 26 maggio dello stesso anno. Ai pm parlò di un “invito che l’onorevole Gargani aveva fatto al ministro Scotti ‘a non insistere’ per la conversione in legge del decreto dell’8 giugno 1992”. “In questo momento non lo ricordo ma se l’ho detto è vero – ripete oggi in aula – d’altra parte non ho mai avuto dubbi su questo… se l’ho detto allora è vero risponde oggi in aula”. Martelli ricorda anche di aver appreso dallo stesso onorevole Dc che si era proposto per sostituirlo al ministero della Giustizia. 

Stato-mafia, Martelli: ”Riina? Un generale mi disse che lo avrebbero portato per Natale”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Dopo l’assassinio Borsellino mi telefona un compagno di partito e mi dice che c’era un generale dei Carabinieri che si chiamava Delfino e che aveva delle cose da dirmi. Il giorno dopo viene, era uno dei momenti di massima depressione. Il generale mi vede amareggiato e mi dice, ‘stia tranquillo glielo portiamo noi Totò Riina, per Natale’. Lui mi disse ‘non mi faccia domande’. Poi leggendo quello che è successo dopo si è scoperto di Di Maggio. Ci stavano sopra già da luglio, se non da prima”. Il particolare viene raccontato in aula al processo trattativa Stato-mafia dall’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli. Rispetto alla possibilità di istituire l’istituto della dissociazione spiega di averne sentito parlare: “Non so se dall’onorevole Vuolante. Lui mi propose i tribunali speciali, e la dissociazione era una tipica previsione che riguarda reati politico-ideologici. Che c’entrava la mafia? Poi vi furono dei disegni di legge ma è una fase successiva”. 

Stato-mafia, Martelli: ”Dopo di me sul 41 bis un cambio di strategia”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Dopo che me ne andai dal ministero della Giustizia, la strategia antimafia che era stata impostata è stata sostanzialmente abbandonata nei suoi presupposti, come il fatto di mettere i mafiosi più pericolosi al regime del 41 bis favorendo la loro collaborazione con lo Stato attraverso una legislazione premiale”. Così Martelli commenta il mancato rinnovo di oltre 300 decreti di 41 bis nel 1993. “Se avessi saputo qualcosa avrei reagito – prosegue – ma non è trapelato nulla di quelle decisioni, sono state secretate… che una misura così importante sia stata rarefatta non si è saputo nulla”.
Martelli parla anche di uno dei suoi ultimi atti da ministro, ovvero l’applicazione del decreto 41 bis per gli istituti di Poggioreale e di Secondigliano. “Era stato assassinato un agente dei servizi penitenziari – ricorda – Questo mi convinse ad adottare il 41bis al carcere e non al singolo. Ci furono proteste di cui si fece interprete il ministro degli Interni Mancino dicendo che c’erano molte proteste dei familiari dei detenuti al 41 bis”.
Il pm fa notare che quell’applicazione avviene il 9 febbraio 1993, ovvero lo stesso giorno in cui giunse una telefonata anonima a nome della sigla “Falange Armata” che minacciava il ministro Mancino, il capo della polizia Vincenzo Parisi e Nicolò Amato (all’epoca direttore del DAP, la direzione delle carceri), e che il 21 febbraio 1993 uno dei primi atti di Conso è proprio la revoca del decreto di Poggioreale. “Lei non sa in che  stato d’animo io fossi a parte la vicenda personale. Ho visto giorno dopo giorno smantellare un insieme di iniziative, di atti che erano stati messi in campo e che avevano dimostrato l’efficacia fino ad arrivare alla cattura di Riina: 41 bis, legge sui pentiti, beni confiscati, Dia. Si riunisce il comitato dell’ordine e la sicurezza per decidere cosa fare con il 41 bis c’è chi propone di revocarlo… questo era Nicolò Amato… fino a che c’ero io si è allineato… non ce n’è uno che dice di tenere il 41bis perché funzionava! Non ce n’è uno!”. A quel punto Teresi ricorda che l’allora ministro Conso emanò un comunicato stampa in cui spiega della revoca del 41 bis a Secondiglano e Poggioreale mettendo nero su bianco che “la decisione nasce dalla constatazione che i detenuti hanno mantenuto un comportamento regolare”. Tuttavia Martelli non ricorda di aver commentato lo stesso (“Sa come dice il proverbio la vittoria è di molti e la sconfitta è di uno solo, non c’erano molti interlocutori”).

Stato-mafia, Martelli: “Decreto Falcone, senza strage Borsellino, non sarebbe passato”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
E’ chiaro il ricordo di Claudio Martelli, teste oggi al processo trattativa Stato-mafia, descrivere il clima parlamentare attorno alla conversione in legge del decreto Falcone, quello dell’8 giugno 1992. �Secondo me – dice – senza la strage di via d’Amelio non sarebbe passato. Sono rimasto sorpreso quando Napolitano disse che tutte le forze politiche erano d’accordo. A me non risulta. La memoria gioca a tutti degli scherzi, anche a me sicuramente. Ma questo decreto passa attraverso il voto di fiducia perché c’era il timore che non potesse passare”. Martelli racconta di non aver avuto notizie in merito alla sostituzione al vertice del Dap tra Amato e Capriotti, mentre, sulle circostanze delle proprie dimissioni nel 1993 aggiunge: “Il 9 febbraio 1993 vengo informato che la procura di Milano dovrebbe spedirmi un avviso di garanzia per fatti del 1980, chiamo il procuratore Borrelli per dirgli che sono pronto a chiarire e lui mi dice che la procedura è avviata. E quindi scrivo la mia lettera di dimissioni. Sono stato il primo a farlo. Quella vicenda si è poi conclusa con una richiesta di prescrizione, io mi sono opposto e la Cassazione ha confermato la prescrizione”. Martelli ricorda anche di aver avuto subito contezza della nomina a Guardasigilli di Conso: “Lo conoscevo bene, venne a trovarmi a casa mi scongiurò di ripensarci. Ma io non tornai indietro. Lui mi disse di stargli vicino per continuare quello che avevo iniziato. Non lo ho mai più sentito”.

Stato-mafia, Martelli: ”Il Ros chiese il passaporto per Ciancimino”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Nell’ottobre 1992 Liliana Ferraro mi disse di avere visto il capitano dei carabinieri De Donno, dopo il primo incontro a giugno, e che questi le aveva chiesto di agevolare alcuni colloqui investigativi tra mafiosi detenuti e il Ros e se c’erano impedimenti a che la procura generale rilasciasse il passaporto a Vito Ciancimino”. Prosegue l’esame di Claudio Martelli al processo trattativa Stato-mafia. L’ex ministro riferisce che anche questo secondo racconto della Ferraro lo fece adirare particolarmente: “Mi sembrava una cosa folle. Per questo chiamai l’allora procuratore generale di Palermo Bruno Siclari esprimendogli la mia contrarietà alla storia del passaporto e il Pg dispose l’arresto”.
Per quanto riguarda l’esito del colloqui tra la Ferraro e Paolo Borsellino Martelli ricorda che la stessa le disse: “mi ha detto che ci pensa lui” mentre a specifica domanda se Borsellino avesse appreso per la prima volta di quei contatti dalla Ferraro o se era già informato risponde secco: “Lo ignoro”.
L’ex politico socialista riferisce di aver incontrato Borsellino in alcune occasioni in quanto “ero disturbato da quella candidatura pubblica a procuratore nazionale antimafia. Io avevo scritto al Csm per far riaprire il concorso e pensavo a Borsellino. Forse l’ho sentito al telefono in un paio di circostanze ma nulla di ufficiale”. In questi contatti non avrebbe mai parlato del Corvo, Mori e Ciancimino. Quindi Martelli ricorda la riapertura delle carceri di Pianosa e l’Asinara. “Fu un’idea discussa dopo la strage di Capaci. Si lavorava sul decreto Falcone, le misure che più potessero risultare efficaci e tranquillizzare l’opinione pubblica. La proposta fu accolta con molte perplessità. Nicolò Amato, direttore del Dap, era molto perplesso. Lo stesso dicasi per Parisi, fino al presidente della Regione, i Verdi.

Stato-mafia, Martelli: “Parlai a Mancino della questione Ciancimino”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Il 4 luglio mi incontrai con Mancino e gli parlai anche di questo comportamento del Ros. Il perché mi pare evidente, era lui l’autorità a cui faceva riferimento l’ufficiale dei Carabinieri”. Così l’ex ministro Martelli conferma di aver avuto un dialogo con Nicola Mancino, allora appena scelto come ministro degli Interni: “Venne a trovarmi e mi pare che mi disse che non si aspettava quella nomina. Gli parlai della conversione in legge del decreto dell’8 giugno e delle difficoltà che si incontravano. Lui mi disse ‘dammi tempo di leggere le carte’, non è che volesse sfilarsi, era un neofita e voleva documentarsi. Sicuramente abbiamo parlato anche d’altro. Si parlava del trasferimento dei boss a Pianosa e l’Asinara, dell’avanzamento della Dia. Non mi è parso che prestasse attenzione alla questione di Ciancimino, piuttosto alla questione del 41bis. Aveva un certo sconcerto in riferimento all’iniziativa del Ros, ma non potevo essere più preciso perché non era come Scotti, che conosceva la materia, ma era un neofita, quindi non era in condizione di valutare l’entità del problema”. Quindi aggiunge: “Io parlai a Mancino di chi era Ciancimino. Falcone me lo aveva spiegato. Si diceva che era il più mafioso dei politici e il più politico dei mafiosi”.
Alla domanda specifica se avesse informato Mancino di quella specifica dichiarazione di De Donno alla Ferraro sulla copertura politica risponde di non ricordare: “Non so se ne ho parlato in precedenti occasioni. Se non lo ho ricordato mi sembrerebbe di improvvisare”.

Stato-mafia, Martelli: “La Ferraro mi parla del contatto Ros-Ciancimino verso fine giugno”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Dopo la strage di Capaci e prima di quella Borsellino. E’ in questo periodo che Claudio Martelli colloca un colloquio con Liliana Ferraro, ex vicedirettore degli Affari Penali del ministero della Giustizia, dove gli fu riferito di certe attività avvolte dai vertici del Ros. “Verso la fine di giugno – ribadisce in aula l’ex ministro della giustizia al processo trattativa – la Ferraro mi informò di una visita di De Donno il quale, parlando al plurale e riferendosi quanto meno al colonnello Mori, le aveva detto che avevano agganciato, trovato un contatto, con Vito Ciancimino e si ripromettevano di averne dei contribuiti utili ai fini delle indagini relative alla strage di Capaci o forse usò l’espressione ‘stragi’ riferendosi a quella di Salvo Lima. Disse anche che le aveva chiesto una copertura politica per esplorare questa collaborazione”.
Dopo alcune contestazioni del pm Teresi che ha ricordato che durante il confronto con la Ferraro del 17 novembre del 2009, la donna parlò che l’intento era di “fermare lo stragismo” e che non si parlò di “collaborazione” né si usò la parola “indagine” o “approccio investigativo” Martelli conferma: “Posso solo confermare quello che ho detto. Per me va bene quello che ho dichiarato in quel verbale”.
Altra contestazione riguarda poi le dichiarazioni di Martelli, nel 2010, al processo Mori quando lo stesso politico disse: “La Ferraro mi disse che avevano stabilito un contatto con Massimo Ciancimino allo scopo di fermare le stragi”. Anche in quel caso la parola ‘indagini’ non c’è e Martelli, in aula, ha confermato.
Alla domanda sulle ragioni per cui per cui si cercava una copertura politica per un’attività di polizia giudiziaria Martelli ribadisce: “La cosa risultava anomala. A me colpì la richiesta di copertura politica senza aver informato l’autorità giudiziaria e senza il coinvolgimento della Dia. Io dissi alla Ferraro che doveva informare Borsellino e non ricordo se mi disse che lo aveva fatto o se lo stava facendo. Bisognava informare Mancino e Tavormina alla Dia, allo scopo di prevenire il rischio di una qualche forma di ostruzionismo da parte del Ros alla volontà di fondere nella Dia le attività di intelligence antimafia”.
Sul motivo per cui si dovesse avvisare il giudice ucciso dalla mafia nel luglio 1992 aggiunge: “Perché si riteneva la persona meglio in grado di continuare la missione e il lavoro di Falcone e c’era una irrituale ma comprensibile diffidenza verso Giammanco.
Il colloquio tra la Ferraro e Borsellino mi pare che sia avvenuto il 29 giugno, subito dopo quello avuto con me”.
A questo punto Teresi ricorda che “in un verbale del 2014, a Caltanissetta, rispondendo a una domanda del pm Gozzo sembra che avvenga prima”. “No avviene dopo” risponde deciso Martelli. A relativa contestazione di un precedente verbale dove ricordava
“io le dissi bisogna che informi subito Borsellino e lei mi disse ‘già fatto’” il teste conferma in quanto “Io parlo de relato, ma la fonte primaria è lei (riferito alla Ferraro)”.

Stato-mafia, Martelli: ”Ci volevano togliere a me e Scotti per il 41 bis”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“A me e Scotti ci volevano togliere perché avevamo ‘esagerato’ nella lotta alla mafia, di aver usato mezzi anticostituzionali con il 41 bis che avrebbe creato la rivolta nelle carceri e anche con le altre norme. Stavamo sulle scatole anche per altri motivi, forse eravamo cresciuti troppo”. E’ questa una prima risposta dell’ex ministro Claudio Martelli, rispetto a quanto avvenne nel 1992, rispetto alla formazione del nuovo Governo Amato. “Amato mi telefona e mi chiede di incontrarmi, cosa che avviene – dice – mi dice che lui è solo un ambasciatore e mi dice che Craxi non vuole che io rimanga alla Giustizia e che propone di mandarmi alla Difesa. Io torno al partito e do battaglia. Amato mi dice che avrebbe riferito a Craxi. Qualche giorno dopo mi chiama e mi dice che Craxi aveva valutato le mie considerazioni e che potevo rimanere alla Giustizia. L’avversione nei miei confronti? Era di una parte della DC nei miei confronti, ma anche della sinistra DC, poi Forlani, Andreotti, e Scalfaro preferivano Amato”. Martelli ricorda poi l’avversione rispetto al decreto Falcone per cui fu necessario il voto di fiducia, “altrimenti non sarebbe passato”: “C’era un clima teso, ci fu anche una mozione di rinvio da parte del Pds”. Martelli parla poi della “promozione” di Scotti dal ministero degli Interni al ministero degli Esteri. “Ci vogliono togliere da lì, dicemmo. Poi ci fu anche il voto contrario delle commissioni al decreto dell’8 giugno. Si era rotto un equilibrio”. Tuttavia Martelli, rispetto a quanto detto da Scotti (che ha sempre parlato di aver accettato malvolentieri quel nuovo incarico), riferisce un dato diverso: “Quando gli si comunica che deve lasciare il ministero dell’Interno lui era dispiaciuto ma disse ‘come posso dire di no’. Lui pensava a fare il segretario del suo partito e questo si capisce quando subentra l’incompatibilità, lui voleva fare il parlamentare. Quando me lo disse? Credo alcuni giorni prima del 29 giugno”.
E’ a questo punto che Teresi contesta che le vicende non sono così nette come dette dall’ex politico socialista ed anche il Presidente Montalto evidenzia alcuni contrasti chiedendo se Scotti gli avesse fatto cenno che lo stesso giorno avrebbe consegnato la lettera di dimissioni. “Io – risponde Martelli – credo che lui fosse combattuto. Se non ricordo male questa lettera di dimissioni era a futura memoria. Scotti dice che presenta la lettera e Amato gli dice di soprassedere al momento. A me interessava che lui rimanesse ministro degli Interni. Lui non ha fatto una battaglia per rimanere perché aveva tutto il partito schierato contro”.
Martelli, rispondendo alle domande del pm, parla poi anche del dissenso politico che ebbero gli scioglimenti dei consigli comunali: “‘Io ho rotto le scatole a troppi del mio partito con lo scioglimento dei consigli comunali. Questa me la fanno pagare’, mi disse Scotti, e lo tolsero dal ministero dell’interno”. Martelli ricorda anche che durante queste interlocuzioni con Scotti si parlò di un ritorno al passato, di una restaurazione del clima che riguardava i rapporti con la mafia. “Se ne parlò eccome. Io dicevo più spesso ‘normalizzazione’, lui diceva ‘tornare alla convivenza o alla coabitazione tra Stato e mafia”.

Stato-mafia, Martelli: “Il 41 bis giustificato dall’emergenza”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Il decreto Falcone, varato l’8 giugno, lo scrivemmo in buona parte a casa mia. Si riunirono alcuni magistrati, l’ufficio legislativo e comparti della sicurezza. Ma la misura del 41 bis la scrivemmo Loris D’Ambrosio ed io. C’erano posizioni contrarie in Parlamento, i due partiti maggiori erano contrari al decreto dell’8 giugno”. Così Martelli ricorda le difficoltà incontrare rispetto a quella legge: “Quando si trattò di varare il decreto dell’8 giugno, qualche giorno prima chiesi un incontro con un esponente della Corte Costituzionale, dissi di dare carattere di temporaneità del 41 bis che di fatto è biennale. In quanto era giustificata da una particolare emergenza. Questa preoccupazione era arrivata dagli uffici della Presidenza della Repubblica agli uffici del ministro della giustizia. Per questo motivo andai anche da Scalfaro per discuterne e per dire che era costituzionale Quando avviene? Il sei o il sette giugno”.
In particolare l’ex politico ricorda che in quell’incontro venne affrontato il tema per la realizzazione di un nuovo governo: “Scalfaro era angosciato per la situazione che si era creata, la campagna mediatica. Disse ‘faccio o non faccio Craxi? E se non lo faccio a chi do l’incarico?’. Tra i tanti nomi fece anche il mio. Io ero colpito da questo incontro e la cosa si trascina soppesando i pro e i contro. Di 41 bis quindi non se ne è mai parlato. Appena salì in macchina mi chiama Pannella e mi dice che gira la voce che sei andato a candidarti da Scalfaro scavalcando Craxi e che era uno scherzo da prete di Scalfaro. Parlai anche con Salvo Andò e mi disse che lo aveva chiamato Scalfaro e che era rimasto scandalizzato del fatto che eri andato a candidarti. Provai a chiamare Craxi ma si rifiutava di rispondermi al telefono. Quando sono entrato nel suo ufficio gli ho detto che non mi ero sognato di candidarmi. Lui è uscito dalla stanza e da allora non mi ha più rivolto la parola”. Dato di fatto è che poi l’incarico per il nuovo Governo fu dato ad Amato.


Stato-mafia, Martelli: “L’allarme attentati di Scotti? Lo ritenemmo una patacca”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
Dopo la morte di Lima l’ex ministro degli Interno Scotti diramò una serie di dispacci volti a dare l’allarme su possibili attentati nei confronti di figure istituzionali. Sul punto l’ex esponente del Partito Socialista Italiano ricorda che quell’allarme “aveva come prima impressione un carattere piuttosto generico. Nella lettura iniziale prevaleva l’impressione di una minaccia esterna. Fonte di quelle informazioni era Elio Ciolini (personaggio tanto ambiguo quanto ‘border-line’ con una vita passata tra servizi segreti, logge coperte ed estremismo nero, ndr). Ciolini era considerato un pataccaro e, poiché la fonte era screditata, si pensò a sottovalutare il contenuto dell’allarme”. Scotti, già sentito in questo processo, ha ribadito in più occasioni che Ciolini non era l’unica fonte ma Martelli dice di non ricordare questo aspetto: “Non lo ricordo, cioè Scotti mi disse di altre fonti ma non ha insistito troppo. Se commentai con Falcone di questi allarmi? Non lo ricordo così come non ricordo se con lui parlai di Ciolini, anche se mi sembra logico. Nel passato Ciolini aveva lanciato altre patacche. Secondo lui io ero il vicecapo di una loggia massonica di Montecarlo il cui capo era Agnelli. E ce n’erano altri di episodi. Forse, con il senno di poi, è stato un grande errore, ma il nome di Ciolini ha messo un sigillo di patacca”. Alla domanda del pm Teresi se di questo avesse parlato con il Capo della Polizia Parisi risponde: “Non è che Parisi, con il quale avevo un rapporto, è venuto da me a dirmi che stavo sbagliando, nessuno difese quell’allarme, non c’è stato un magistrato che ha deciso di sviluppare un’iniziativa”. A quel punto però proprio Teresi ricorda la strenua difesa dello stesso Scotti sia in Commissione antimafia che agli Affari costituzionali anche se l’ex ministro della Giustizia dice di “non ricordare tutta questa determinazione”.
Tuttavia, in particolare dopo la strage di Capaci, definita da Martelli come “la più grande strage compiuta da Cosa nostra”, si ritornò a rivalutare quegli allarmi: “Sicuramente rivalutammo un punto. In quel testo di Ciolini si colse un elemento di minaccia proveniente dall’esterno, quando si parlò dell’esplosivo di Capaci ritornò l’allarme di Scotti che quell’esplosivo provenisse dalla ex Jugoslavia. Ed anche inizialmente qualcuno lesse la genesi della strage di Capaci anche in riferimento alla situazione dell’ex Jugoslavia. Poi prevalse la visione interna”.

Stato-mafia, Martelli: ”Morte Lima? Per Falcone si era rotto un equilibrio”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
“Alla morte di Salvo Lima parlai con Falcone. Il suo commento fu: ‘adesso può succedere di tutto’. Gli chiesi perché e lui mi disse che si era rotto un equilibrio. Disse anche che per Buscetta Lima era vicino, ma non un affiliato”. Ricorda i fatti del 1992, Claudio Martelli, oggi sul pretorio dell’aula bunker di Palermo, per il processo trattativa Stato-mafia. L’ex ministro della Giustizia ricorda che il magistrato palermitano, ucciso il 23 maggio 1992, era “allertato dalla notizia di quell’omicidio. Lui cercava di capire, poi ci siamo tornati sull’argomento e sicuramente vide una connessione con la sentenza di cassazione del maxi processo. Sentenza che lui aveva attesa con molta ansia”.
Dell’omicidio Lima parlò anche con altri, com dil Presidente della Repubblica Cossiga e l’allora Premier Giulio Andreotti: “Andreotti era impassibile come sempre, più pallido del solito. Era un uomo suo, era molto legato a lui. Cossiga mi pare che disse: ‘ditemi se devo andare a Palermo a fare una scenata io ci vado’. Credo che fece una dichiarazione, ora non la ricordo. Cossiga era molto attento a proteggere Andreotti. Non viceversa”.

Stato-mafia, Martelli: ”La Dia? Scotti mi parlò di riluttanza dei Carabinieri”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari

“Il ministro degli interni Scotti mi parlò più volte di riluttanza dell’Arma dei Carabinieri a confluire e convergere nella Dia, fondamentalmente per il senso della loro autonomia. Noi però eravamo più preoccupati delle opposizioni a livello politico per la nuova istituzione, che ci furono, con gruppi che giudicavano il decreto Falcone incostituzionale”. Claudio Martelli sta rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Vittorio Teresi (presente in aula assieme ai sostituti Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) sulla genesi del cosiddetto decreto Falcone, dell’8 giugno 1992.
“Su quel punto – aggiunge Martelli – temevo di più il Presidente Cossiga che era particolarmente legato ai Carabinieri come prima istituzione dello Stato”. Quindi prosegue raccontando l’origine dell’idea per realizzare una Procura nazionale antimafia: “Falcone voleva trasferire a Roma l’idea del pool. Ci provammo con diverse riunioni sia con i Procuratore generali che con i Procuratori capi ma non c’era una grande risposta. Poi l’idea la trovai sfogliando le carte della commissione antimafia e lì trovai un ‘idea che non era né di Falcone né mia ma del senatore Leo Valiani. Noi la riprendemmo”.

Stato-mafia, Martelli: ”Falcone agli Affari penali per l’isolamento che viveva”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari

“La scelta di chiamare Giovanni Falcone al ministero? Ricordo ed ero consapevole dell’isolamento che stava vivendo. Non era stato nominato Procuratore capo a Palermo, gli era stato preferito Giammanco, come in precedenza gli fu preferito Meli dal Csm. Poi c’erano anche le vicende extra giudiziarie, come gli attacchi di Galasso, Cascio, Mancuso ed Orlando. In quel momento avvertivo che era un uomo isolato ed in difficoltà”. E’ così che l’ex ministro Claudio Martelli ricorda come si arrivò ad assegnare l’incarico a Falcone come Direttore degli Affari Penali nel 1991. Martelli è oggi teste al processo trattativa Stato-mafia, in corso presso presso l’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo.
“Qualche anno prima, nel 1987, mi aveva colpito un dialogo di quattro ore che avremmo proprio presso il suo ufficio a Palermo dove mi spiegò l’organizzazione criminale Cosa nostra. Io volevo fare qualcosa contro la mafia e Falcone mi sembrava l’uomo giusto ed indispensabile per perseguire questo obiettivo”.