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Spari, botte e roghi: anche Acerra è Amazzonia

Spari, botte e roghi: anche Acerra è Amazzonia

di MICOL CONTE

Lunedì 12 settembre 2016

CASERTA – “Lascia perdere i roghi, sono cose che non ti riguardano. Torna a casa a occuparti della famiglia”. Tutto comincia con una frase, di solito pronunciata con fare intimidatorio, e prosegue con l’auto danneggiata, qualche pedinamento, e nei casi più gravi l’aggressione fisica. Le intimidazioni agli attivisti ambientali sono un climax: più aumenta l’impegno in difesa del territorio e il livello di consapevolezza dei problemi, più cresce la gravità della minaccia. Vincenzo Petrella, attivista dell’associazione anti-roghi di Acerra, nella Terra dei Fuochi, quella frase l’ha sentita un paio di volte prima di ritrovarsi con l’auto danneggiata sotto casa.

Con l’auto Vincenzo, insieme ad altri attivisti, ogni sera da oltre due anni e mezzo esce per perlustrare le campagne che si estendono attorno ad Acerra, alla ricerca di roghi illegali e sversamenti illeciti da segnalare alle forze dell’ordine. Quell’auto lo ha protetto dalla rabbia dei rom di Caivano, specializzati nella combustione di copertoni e pneumatici, i quali lo hanno aggredito durante le passeggiate notturne con lancio di pietre e oggetti contundenti. Nella Terra dei Fuochi gli attivisti si occupavano di rifiuti già prima che scoppiasse il caso mediatico dell’emergenza in Campania. È dalla fine degli anni Novanta infatti che l’aria di queste terre ha un odore acre sin dalle prima ore del mattino, a riprova degli incendi notturni.

La minaccia per Vincenzo Tosti è stata più diretta: “Smettila di andare in quel sito, altrimenti farai una brutta fine”. Vincenzo da due anni monitora quasi quotidianamente un ex capannone industriale nascosto nella campagna di Orta di Atella, dove una volta si produceva compost azotato e oggi invece si sversano rifiuti tessili. L’edificio è diventato una enorme discarica a cielo aperto dove sguazzano bisce e ratti. L’aria è così inquinata che a respirarla per dieci minuti viene il mal di gola. La minaccia è stata chiara, ma la determinazione di Vincenzo a controllare il sito è altrettanto chiara e non si fermerà finché quel luogo non verrà messo in sicurezza.

Le intimidazioni ad Alessandro Cannavacciuolo risalgono invece al 2004, quando gli allevamenti della sua famiglia iniziarono a partorire i primi agnelli malformati: animali senza zampe oppure con un solo occhio al centro della testa. I Cannavacciuolo fecero nome e cognome degli imprenditori collusi che producevano compost inquinato a causa del quale nascevano animali malati, e nel tempo hanno subìto di tutto: attentati contro gli allevamenti, agnelli sgozzati, fosse scavate all’esterno dell’azienda in via Pagliarone, ad Acerra, per simulare una tomba. Nel 2008 Alessandro riuscì a sfuggire al tentativo di un’auto di investirlo. Ci sono state denunce, processi, condanne e finalmente un periodo di tregua. Ma cinque mesi fa una nuova intimidazione: i due pastori maremmani, suoi compagni di infanzia, sono stati uccisi. E ancora: sabato 6 agosto un pedinamento in auto contro il quale Cannavacciuolo ha sporto denuncia. Negli ultimi anni gli è stata assegnata la sorveglianza, ma la protezione vera e propria non è mai arrivata nonostante si sia attivata anche la rete attraverso una petizione su Change.org che ha raccolto più di trentacinquemila firme.

L’intimidazione non è solo la minaccia di un male fisico. È anche la solitudine che si vive quando si decide di denunciare il malaffare, racconta Cannavacciuolo. Ci si ritrova all’improvviso soli, allontanati dalla gran parte delle persone per paura, per diffidenza, per cautela, per convenienza. Nella Terra dei Fuochi oggi quasi ogni famiglia ha un malato di tumore, il dolore in qualche modo ha aiutato a fare rete e gli attivisti sono meno soli rispetto al passato. La strada da percorrere è ancora lunga però e in parte è condizionata dalle logiche clientelari che ancora affossano l’economia di questi territori e ne condizionano i comportamenti, per cui ancora oggi, per qualcuno, è preferibile tacere invece che farsi dei nemici.

Che la terra sia un affare lucroso lo conferma il rapporto di Legambiente sulle ecomafie e i reati ambientali: oltre ventisettemila crimini nel 2015 in tutta Italia, in lieve calo rispetto agli anni precedenti grazie all’introduzione nel codice penale dei delitti contro l’ambiente a opera del governo Renzi. In Campania però la tendenza è diversa perché i reati ambientali sono in aumento: uno ogni due ore, dodici al giorno per un totale di oltre quattromila reati accertati. “Quello sulla Campania è un dato che va letto con una lente diversa, perché la nostra è tra le regioni più sorvegliate d’Italia per cui anche il più piccolo misfatto ormai viene portato alla luce”, chiarisce Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania. “Di questa attenzione bisogna ringraziare le istituzioni, ma soprattutto gli attivisti, che setacciando i territori, denunciano anche la più piccola infrazione”.

Il caso più grave di minaccia a chi si batte per l’ambiente quest’anno viene però dalla Sicilia, ricorda Buonomo, dove il presidente del Parco dei Nebrodi,Giuseppe Antoci, è sfuggito a un agguato di stampo mafioso la notte del 18 maggio 2016. A dare fastidio ai clan è stata la sua determinazione a proteggere i pascoli e i contributi UE per l’agricoltura dalle mani della mafia. Sempre in Sicilia, a Licata, al sindaco Angelo Cambiano hanno invece prima rotto il setto ansale con una testata e poi hanno incendiato la casa del padre. Cambiano aveva ordinato la demolizione delle case abusive costruite vicino alla costa, in base a un provvedimento della Procura di Agrigento.

La legge quando va contro gli interessi dei singoli non è sempre gradita e per questo motivo Cambiano ha attirato su di sé molte antipatie. “Mi hanno detto che sono solo un ragazzino incapace di fare il sindaco, ma lo capisco, sono trent’anni almeno che qui non cambia niente”. Trent’anni di consolidato abusivismo edilizio ridotti in polvere dalle pretese legalitarie di un giovane amministratore pubblico, che dal nove maggio vive sotto scorta. “Non sono pentito, perché pentirsi significherebbe rinnegare la scelta di rispettare la legge, ma rifiuto l’etichetta di eroe che mi stanno cucendo addosso. La gente deve capire che le regole si rispettano allo stesso modo dalla Valle d’Aosta alla Sicilia”. Legambiente Sicilia gli ha da poco assegnato il premio per la legalità “proprio per incoraggiarlo ad andare avanti e non lasciarlo solo” spiega Gianfranco Zanna.

fonte:http://inchieste.repubblica.it/