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Sommerso e mafie, i grandi nemici delle PMI”, da Repubblica. L’altro giorno, a margine di un convegno svoltosi negli ambienti della “Sapienza” a Latina, abbiamo ascoltato da qualche responsabile di importanti enti pontini, dichiarazioni sulle cause del mancato sviluppo dei nostri territori che definire allucinanti è dir poco. Non una parola è stata pronunciata sui gravissimi disastri provocati dall’occupazione mafiosa. Nessuno ha speso una parola su questo tema, che rappresenta la PRIMA emergenza che una classe dirigente seria dovrebbe affrontare. Ma chi è quell’imprenditore serio che verrà mai ad investire i suoi capitali puliti su un territorio che ormai tutta Italia ed anche all’estero conoscono come territorio di mafia???

Il peso dell’economia, le imposizioni della criminalità sul tessuto produttivo, le distorsioni prodotte dalla contraffazione. Tre fenomeni che zavorrano la sana competizione, soffocando chi fa impresa nel Mezzogiorno (e non soltanto) e, in particolare, le piccole e medie imprese, che hanno le spalle meno robuste per fronteggiare le distorsioni del mercato. Temi che sono stati al centro di un convegno organizzato il 28 maggio a Napoli, nel prologo del Festival dell’Economia di Trento. Una giornata di testimonianze e dibattiti con economisti e studiosi (tra cui Alex Giordano, Vincenzo Moretti e Ivan Lo Bello) a cura della Fondazione Ahref, in collaborazione con Fondazione per il Sud. «Quando si parla di criminalità organizzata, spesso si commettono due errori: il primo è di pensare che si tratti di un fenomeno confinato solo in alcune aree del paese, il secondo è di credere che esista una linea di demarcazione netta tra economia regolare e irregolare — spiega ad Affari&Finanza Michele Polo, docente di Economia alla Bocconi — Così facendo si trascura la vasta area grigia in cui la criminalità trova terreno fertile per colpire e crescere, come hanno dimostrato anche le più recenti indagini giudiziarie». Parlando di diseconomie, il pensiero va in primo luogo al peso delle mafie. Il volume d’affari che muove la criminalità organizzata nei 27 Paesi dell’Ue è di 311 miliardi di euro e l’Italia è seconda dopo la Spagna in questa infausta classifica, con 81 miliardi derivanti in primo luogo da traffici di droga, prostituzione, contraffazione (tema al quale è dedicato un focus per analizzare i danni prodotti alle produzioni di qualità e le possibili azioni di contrasto), armi e rifiuti. Secondo il dossier della Banca d’Italia “I costi economici della criminalità organizzata”, le mafie sottraggono al Mezzogiorno il 15% del pil pro-capite. Le conseguenze di questa presenza si intrecciano in modo complesso nell’economia del Sud (e in misura minore anche del Nord) stravolgendo le regole del fare impresa, e scoraggiando fortemente gli investimenti stranieri. Le mafie, infatti, non sono soggette né a rischio di impresa né alle logiche delle concorrenza, che quando esiste o viene acquistata o distrutta. Anche l’economia sommersa è un ostacolo allo sviluppo sano dell’economia. Secondo quanto è stato calcolato di recente dall’Istat vale il 16-17% della ricchezza prodotta ogni anno in Italia. Un dato medio tra settori in cui il fenomeno è inesistente, come la Pubblica Amministrazione, e altri in cui è di gran lungo più rilevante, come l’edilizia, l’agricoltura e il commercio al dettaglio. Considerando che un punto di pil corrisponde a poco più di 15, 5 miliardi di euro, questo fenomeno vale una somma compresa tra 248 e 263 miliardi di euro. Sono circa 640mila i lavoratori irregolari, che non beneficiano del versamento dei contributi da parte dei datori e il fenomeno si è acuito maggiormente durante la crisi. Nel Mezzogiorno si tratta di una vera e propria piaga sociale, con un’incidenza del 18,3% sul totale della forza lavoro, molto sopra la media nazionale dell’11,8%, il doppio rispetto al Centro e d Nord (9,3%). In Calabria quasi un lavoratore su tre (27,3%) non esiste per lo Stato. «Le attività economiche che si muovono sul confine della legalità sono quelle più esposte nei confronti della criminalità — spiega Polo — Se un’azienda che dichiara soltanto una parte del proprio fatturato o che impiega alcuni lavoratori in nero riceve pressioni estorsive, difficilmente si rivolgerà alle forze dell’ordine, temendo che possano essere scoperte le sue irregolarità». Il solo fisco evaso in Italia, calcola il Centro Studi di Confindustria, ammonta a circa 124,5 miliardi ogni anno, con il risultato che la pressione fiscale effettiva sui contribuenti che pagano integralmente imposte e contributi è al 51,4% del reddito, contro il 43,2%. Il recupero, anche soltanto parziale di queste somme, potrebbe essere utilizzato per dare uno scossa all’economia nazionale, impiegandola per ridurre la tassazione o avviare i cantieri pubblici sulle grandi opere attesi oramai da anni ed anni. Considerato che il tema è ben presente da tempo, ma l’azione di contrasto non ha fin qui dato risultati soddisfacenti, resta da capire quali strade nuove seguire. «Non esistono ricette magiche – conclude l’economista – ma si può contare su interventi sempre più mirati garantendo le risorse necessarie alle indagini e coinvolgendo maggiormente i professionisti nelle segnalazioni di attività sospette».

Luigi Dell’Olio