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Sindaco indagato per camorra, Capaccio Paestum rischia lo scioglimento

Il Fatto Quotidiano

Sindaco indagato per camorra, Capaccio Paestum rischia lo scioglimento

Alfieri, uomo di De Luca, nei guai per per voto di scambio politico mafioso, minacce, violenza privata e concussione. Ora le opposizioni (e la fondazione Vassallo) spingono per l’intervento della Prefettura

di Vincenzo Iurillo | 11 FEBBRAIO 2021

A Capaccio Paestum (Salerno) il sindaco è indagato per voto di scambio politico mafioso, minacce, violenza privata e concussione, un imprenditore coindagato con lui è stato arrestato in carcere per altre accuse di riciclaggio con l’aggravante camorristica, la moglie dell’imprenditore, eletta consigliere comunale, è finita agli arresti domiciliari e si è dimessa. Come se non bastasse, il patriarca del clan che si staglia sullo sfondo di queste inchieste della Dda di Salerno è stato a sua volta arrestato per usura. In un’inchiesta dove risulta indagata un’ex consigliera comunale, e in cui appare, tra i ‘finanziati’, il nome di un politico locale.

A sequenziare queste notizie, alcune delle quali risalgono alle ultime settimane, viene il mal di testa. Viene anche, ed è legittimo, il sospetto che esista un condizionamento criminale dell’amministrazione comunale. Preludio dell’invio di una commissione d’accesso prefettizia che scandagli gli atti e verifichi se ci sono le condizioni per sciogliere il Comune. La chiedono a gran voce le opposizioni, che hanno sponde nel M5s regionale e nazionale e nella Fondazione Angelo Vassallo, presieduta dal fratello del sindaco di Pollica trucidato dieci anni fa, Dario Vassallo. Mentre il presidente della commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra, autore di una denuncia sul corteo di ambulanze che festeggiò l’elezione del sindaco di Capaccio, da un anno e mezzo riceve e aggiorna informazioni attraverso le sue sentinelle sul territorio.

Ma l’invio di una commissione d’accesso, che la Prefettura decide in virtù di una delega del governo, è pur sempre una scelta ‘politica’. E il peso dei nomi in campo impone attenzione nella valutazione. A cominciare dal nome del sindaco: Franco Alfieri, uno dei politici più vicini al governatore della Campania Vincenzo De Luca, del quale è stato capo della segreteria, consigliere per la caccia, pesca e agricoltura e i relativi finanziamenti pubblici, ed ora è consigliere del Masterplan per i progetti sulla costa salernitana. Ma, soprattutto, Alfieri è il politico che ispirò la verve di De Luca nell’ormai celeberrimo discorso della “frittura di pesce” all’Hotel Ramada, il presidente della Campania che indica Alfieri come modello delle clientele, per incitare 300 sindaci a far campagna elettorale per il sì al referendum di Renzi.

L’avvocato Alfieri è un big del Pd salernitano. E’ il Sole del ‘sistema Cilento, definizione giornalistica di un sistema di potere locale che raduna decine e decine di amministratori locali della provincia, e contribuisce ai successi elettorali di De Luca. Prima di vincere il 7 giugno 2019 le amministrative di Capaccio Paestum, Alfieri per dieci anni e fino al 2017 è stato il sindaco di Agropoli, città dove raccoglieva voti con la pala (in un’occasione fu eletto con il 92%, roba che la Bulgaria al confronto è pluralista).

Ma proprio un mese prima del breve trasloco – Agropoli e Capaccio Paestum sono confinanti – gli agenti della Dia di Salerno hanno bussato alle porte di casa e studio con un decreto di perquisizione in mano. Il pm Vincenzo Montemurro cercava documentazione di Alfieri “riferibile alle imputazioni” indicate nell’incipit di questo articolo e “attinente ai rapporti” maturati ad Agropoli fino al dicembre 2017 con gli altri coindagati: l’imprenditore delle pompe funebri e dei servizi di ambulanza e 118 Roberto Squecco, il sindaco Adamo Coppola, i membri della famiglia malavitosa dei Marotta, detti “gli zingari, per i quali Alfieri si sarebbe adoperato per la ricerca di un impiego. E poi la documentazione riguardante alcuni appalti concessi dal Comune di Agropoli alle coop e alla Dervit, società titolare di un contrattone ventennale da 23 milioni di euro per l’illuminazione pubblica, sul quale si concentrarono gli strali della Fondazione Vassallo.

Pochi giorni dopo la Dia andò a trovare il titolare della Dervit Vittorio De Rosa e lex vicesindaco e assessore ai Lavori Pubblici di Albanella Pasquale Mirarchi. Altre due perquisizioni, con la sorpresa del ritrovamento a casa di Mirarchi di un’arma con la matricola abrasa e le conseguenti manette. Si scoprì così l’esistenza di un secondo fascicolo per turbativa d’asta, la Dervit aveva lavorato anche ad Albanella. Fascicolo connesso a quello su Alfieri: con lo stesso pm, gli stessi nomi coinvolti, intrecci evidenti. E sullo sfondo, per la prima volta chiaramente, il clan camorristico della piana del Sele fondato da Giovanni Marandino, classe 1937. Un vecchio amico del capo della Nco Raffaele Cutolo. Un boss in disarmo, o quasi, Marandino, che pareva destinato a trascorrere i suoi ultimi anni a casa. Ma finito di nuovo agli onori della cronaca a febbraio, quando la Procura di Salerno guidata da Giuseppe Borrelli ne ha chiesto e ottenuto l’arresto per usura insieme al figlio Emanuell Marandino.

Secondo le accuse, Giovanni Marandino dalla sua abitazione era sempre in grado di gestire il business dei prestiti a strozzo. Difeso dagli avvocati Arnaldo Franco ed Enrico Giovine, Marandino ha seri problemi di salute ed è stato ricoverato, per il momento non può stare in carcere.

E cosa c’entra il clan dei cutoliani del Sele con la politica cilentana? Il pm Montemurro tra il 2017 e il 2018 ha intercettato Mirarchi al telefono con i parenti del boss ed in particolare con un nipote omonimo, si chiama anche lui Giovanni Marandino (non indagato). Ci sono poi telefonate tra Mirarchi e Squecco. I due discutono di affari nelle pompe funebri. E non solo. Dall’ascolto delle conversazioni emerge che Mirarchi e Squecco avrebbero sostenuto elettoralmente Alfieri. La Dia definisce Squecco “imprenditore del clan Marandino di Capaccio, condannato in via definitiva a gennaio 2019 per tentata estorsione aggravata dal metodo camorristico”. Ne fu vittima un concorrente delle pompe funebri, e le pagine della sentenza di condanna che spiegano modi e tecniche delle minacce orchestrate dalla manovalanza del clan Marandino fanno venire i brividi, tra teste ficcate nei water e pistole puntate alla tempia.

L’appoggio di Squecco e Mirarchi ad Alfieri si sarebbe concretizzato alle precedenti amministrative di Agropoli e si sarebbe dovuto rinnovare alle elezioni politiche del 2018, quando Alfieri fu candidato nel collegio uninominale del Cilento nella lista Pd. Squecco è l’imprenditore arrestato il 20 gennaio insieme alla moglie Stefania Nobili, prima eletta in consiglio nella maggioranza Alfieri con 348 preferenze.

Accusato di riciclaggio e intestazione fittizia di beni con l’aggravante camorristica intorno alla girandola di onlus con le quali gestiva di fatto i servizi 118 nel Silaro (Agropoli e Capaccio comprese), e intorno a un’azienda casearia trapianta in Romania, Squecco è l’uomo che ebbe il suo quarto d’ora di notorietà universale perché sorpreso, la notte dell’elezione a sindaco di Alfieri, a capeggiare il corteo di ambulanze lanciato a sirene spiegate nella notte verso il comitato elettorale del neo primo cittadino per stappare champagne. Come se l’Italia avesse vinto i Mondiali. Le nuove indagini su di lui iniziarono proprio da quell’episodio. Lo ha ricordato il pm anticamorra Francesca Fittipaldi in conferenza stampa. “Quelle sirene accese furono un messaggio in codice mafioso”, sostenne il presidente dell’Antimafia Morra in un’intervista al Fatto quotidiano. Furono una sfida. Che ha avuto una risposta giudiziaria.

Ed infine l’ultima ordinanza di arresto di Giovanni Marandino. Riguarda vicende di usura a Capaccio. Le storie raccolte dalla Guardia di Finanza agli ordini del colonnello Eugenio Bua narrano 200 euro di interessi ogni 1000 prestati, che avrebbero fruttato alla famiglia Marandino un profitto di 90mila euro su 100mila di prestiti. “Zio Ninuccio” sapeva ancora farsi rispettare. Un cliente, impaurito, ha fatto perdere le sue tracce. E nelle pieghe delle carte compaiono due nomi interessanti.

Il primo è quello dell’indagata Marianna Polito, sorella del factotum dei Marandino Nicola Polito, che secondo l’accusa avrebbe dato una mano ad occultare la provenienza di qualche assegno. Marianna Polito è una ex consigliera comunale della maggioranza Palumbo, subentrò a un ex vicesindaco, Nicola Ragni, dimessosi dopo essere stato arrestato per induzione indebita sugli appalti per l’ampliamento del cimitero. Polito fece parte dell’amministrazione che si sciolse nel dicembre 2018 per le dimissioni di nove consiglieri. Così cadde il sindaco Franco Palumbo, già gravemente malato (scomparve pochi mesi dopo), di qui le nuove elezioni vinte da Alfieri.

Il secondo nome è quello di un imprenditore agricolo e della poligrafia. E’ una delle vittime dell’usura dei Marandino. Nel 2017 fu candidato alle amministrative a capo di una lista civica.

Alfieri sa di essere nel mirino, e durante l’ultimo consiglio comunale dedicato alla surroga della moglie di Squecco si è lanciato al contrattacco: “Lo so, faccio collezione d’interrogazioni ed esposti che, puntualmente, s’infrangono negli archivi parlamentari e della Procura della Repubblica… sarebbe troppo bello per voi sciogliere questo consiglio comunale, lo capisco bene, ma mi dispiace, potete solo continuare a sognare perché noi andremo avanti. Il vostro sogno di scioglimento di questo consesso con le firme dal notaio è fallito, quello che invocate oggi è pura follia, quindi rassegnatevi: e poi, anche se andiamo a votare, l’esito sarà sempre lo stesso, perderemmo solo tempo!”. “Parole inquietanti, sulle quali la magistratura dovrebbe indagare” ha replicato con una nota Dario Vassallo. La loro guerra dura da dieci anni, da quando si scoprì che da assessore provinciale di Salerno, Alfieri non rispondeva alle lettere del sindaco Angelo Vassallo sulle ‘strade fantasma’ del Cilento. Denunciava centinaia di migliaia di euro sprecati in appalti per vie che non venivano ultimate. Una ferita, tra Alfieri e i familiari di Vassallo, che non si rimarginerà mai.