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Sì,ma intanto la banda della Magliana veniva condannata per il reato di associazione a delinquere semplice e non mafiosa,mentre tutti i Prefetti,a cominciare da Serra,dichiaravano che nella Capitale NON ……c’era mafia. Questa é la tragica realtà di cui é responsabile proprio quella gente che andrebbe presa e mandata a processo (prescrizione permettendo)

17/07/2015 06:03

GIALLI ITALIANI

«Colletti bianchi e grandi affari» Mafia Capitale c’era già 25 anni fa 

Le informative dell’epoca tratteggiavano un modus operandi quantomai attuale 

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Decenni di tesi negazioniste: «A Roma la criminalità organizzata non esiste». Ma già 25 anni fa, nei faldoni giudiziari c’era chi disegnava l’esistenza nella Capitale di una «mafia dei colletti bianchi». «Una mafia» che già sapeva «riciclare col sistema delle società di comodo» e che si affinava nel compimento di reati «di natura bancaria, economica, finanziaria, valutaria ed edilizia, il cui scopo» era «appunto quello di assicurare il reimpiego del profitto tratto dalle illecite attività». A leggere l’atto, un rapporto di polizia del 1989, sembra di essere davanti a un’informativa investigativa della recentissima inchiesta “Mafia Capitale” condotta dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dall’aggiunto Michele Prestipino. D’altronde, gli autori del rapporto sono due tra gli investigatori di maggior pregio che ha avuto la polizia: l’allora vice questore aggiunto Nicola Cavaliere, ex vice direttore e responsabile operativo dell’Aisi (il servizio segreto interno) e l’allora dirigente della Squadra mobile di Roma, Gennaro Monaco, attuale prefetto. Contrariamente alle numerose «tesi negazioniste» giunte fino ai giorni nostri, la polizia già all’epoca illustrava un contesto di mafia ben radicato che non era esclusivamente un «pesante retaggio delle regioni del Sud Italia» ma che, anzi, risultava a Roma «ben più allarmante» per gli interessi «macroscopici» relativi al «riciclaggio di denaro sporco». Ma andiamo con ordine.

 

DA “RENATINO” A “ER PRINCIPE” Renatino De Pedis era indicato come l’indiscusso capo della Banda della Magliana. Ma di fianco al suo nome c’è quello di Luciano Mancini, detto “Er Principe”. L’uomo è finito in una recente informativa di polizia ieri pubblicata su Il Tempo, in cui gli investigatori lo inquadrano come ancora operante nella criminalità capitolina. Oggi avrebbe interessi in appalti e sub appalti pubblici grazie a presunti rapporti che avrebbe con politici e clero. D’altronde, basta leggere il rapporto del 1989, per ipotizzare l’esistenza di un presunto potere finanziario. Nell’atto è annotato, infatti, che «costoro (…) hanno creato, unendo le proprie forze, un vero e proprio impero economico, essendo interessati a moltissime attività commerciali, noti ristoranti e locali notturni, molti dei quali gestiti da persone incensurate e, apparentemente, pulite».

 

GLI INSEGNAMENTI MAFIOSI Tutto questo sembrerebbe appartenere al passato, all’archeologia giudiziaria. Ma a ben vedere, i meccanismi di reimpiego dei capitali sporchi dell’epoca, non sono molto diversi da quelli individuati nell’indagine “Mafia Capitale”. La criminalità romana ha goduto di maestri della finanza mafiosa, come Pippo Calò uomo di Cosa nostra a Roma. Lo precisavano già all’epoca Cavaliere e Monaco: «Il tessuto sociale della malavita organizzata romana, da sempre, ha subito influenze da parte di criminali inseriti in vere e propri cosche mafiose, è opinione di questo ufficio che attualmente, sebbene si registri una apparente calma, alcuni personaggi abbiano fatto tesoro appieno degli insegnamenti ricevuti dai grossi mafiosi con cui sono stati da anni in contatto».

 

RICICLAGGIO Insegnamenti che già all’epoca si sono tradotti in un «sofisticato sistema di reinvestimento in attività apparentemente lecite, utilizzando società in cui figurano persone insospettabili e servendosi della proficua collaborazione di esperti commercialisti, i quali sapientemente mettono a frutto la loro esperienza riuscendo a moltiplicare i già ingenti profitti».

Ivan Cimmarusti ; Valeria Di Corrado