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Sicilia, gli incendi dolosi dell’”industria del fuoco” accesi tra pizzo e speculazioni

I collegamenti tra criminalità organizzata e roghi dolosi sono diversi. E il fenomeno non è esclusivamente siciliano

Di Laura Distefano | 30 Luglio 2023

Inferno. Non è una citazione dantesca. La Sicilia ha bruciato. Ha mangiato fuoco. Ha respirato fumo. Un’isola cosparsa di cenere, che da qualche ora conta gli ettari di bosco incenerito. Intere zone verdi sparite a causa dei roghi. Che – lo dicono i dati – sono per la maggior parte di matrice dolosa. Queste mani criminali – lo ha precisato bene in questi giorni il generale Marco Di Fonzo, comandante del Nucleo Informativo Antincendio Boschivo dei carabinieri – che con metodi scientifici appiccano fiamme non li chiamate piromani ma incendiari. I primi sono soggetti più che altro da curare, i secondi nascondono uno scopo illecito. Alcune volte potrebbe esserci dietro la regia di clan mafiosi.

I professionisti dell’”industria del fuoco”

I collegamenti tra criminalità organizzata e roghi dolosi sono diversi. È una pratica ben conosciuta nelle montagne dei Nebrodi e dell’Etna, i clan Tortoriciani e alcune cosche “autoctone” dei comuni alle falde del vulcano catanese sono dei “professionisti” dell’industria del fuoco. Così è definita del piano dell’antincendio boschivo della Regione Siciliana. La chiamano la mafia dei pascoli. O semplicemente mafia rurale. E nei periodi d’emergenza roghi questi criminali senza scrupoli alzano i toni per confondersi e camuffarsi nell’alibi del riscaldamento globale.

Rispetto” o sopraffazione?

Una criminalità subdola. Che utilizza gli incendi per guadagnare quello che lo loro chiamano «rispetto», ma in realtà è sopraffazione. Bruciano per vendetta, per un lavoro non affidato. Bruciano per “farsi pagare” il pizzo (o la guardiania, la tassa mafiosa dei latifondi). Inceneriscono vitigni e agrumeti per trasformarli in pascolo per le loro mandrie. Incendiano per ottenere un terreno gratis e convincere il proprietario con la fedina penale immacolata a presentare domanda all’Agea per ottenere i fondi europei destinati all’agricoltura e all’allevamento. Il protocollo “ideato” da Giuseppe Antoci ha ostacolato queste pratiche: niente soldi dall’Unione se si ha precedenti per mafia. Il lasciapassare è essere nella “white list” della Prefettura. E allora i boss dei pascoli hanno deciso di bypassare i recinti del protocollo con la violenza. E distruggono con le fiamme i sogni di agricoltori che hanno deciso di investire risparmi di una vita nella terra. La strategia è quella del martellamento e dell’intimidazione silenziosa. Sono molti gli imprenditori che si arrendono e decidono di abbandonare ai criminali le loro proprietà pur di liberarsi dai continui danneggiamenti con il fuoco. La forza di denunciare in questo ripetersi, puntuale come un orologio svizzero dell’emergenza roghi dolosi, si incenerisce.

L’impegno della Dia e dell’Antimafia regionale

La strategia comunque si ripete anche in altri parte dello stivale. Illuminante in questo è la relazione semestrale della Dia sulla criminalità organizzata. Nel capitolo dedicato alle mafie in Puglia, gli ufficiali della Direzione Investigativa scrivono: «Il fenomeno dei danneggiamenti mediante incendi e atti vandalici particolarmente dannosi continua a manifestarsi in tutto il territorio regionale con riferimento soprattutto al settore agricolo ma anche al comparto delle imprese artigianali ed agli esercizi commerciali. Tali aggressioni sarebbero presumibilmente mirate sia all’assicurarsi un “servizio di protezione” imposto alle strutture produttive, sia alla gestione di aziende particolarmente appetibili per le possibilità di riciclaggio che potrebbero offrire e per gli introiti derivanti dai finanziamenti pubblici di cui potrebbero godere». La precedente commissione regionale Antimafia all’Ars, presieduta da Claudio Fava, dedicò un lavoro ad hoc sul fenomeno degli incendi boschivi e dolosi portando alla luce connessioni e commistioni di interessi criminali.

L’allarme diossina a Palermo

Intanto a Palermo l’odore acre dei fumi generati dal rogo della discarica di Bellolampo è terrificante. I dati dell’Arpa sono allarmanti (guarda scheda sotto). La procura palermitana sta valutando di aprire un’inchiesta per poter individuare individuare responsabili ma anche possibili omissioni nella macchina della prevenzione. Il fascicolo il procuratore Maurizio De Lucia lo ha ha affidato a Paolo Guido che coordina i reati ambientali e contro la pubblica amministrazione. Un dualismo investigativo che potrebbe permettere di rispondere al piano criminale che ha portato il capoluogo siciliano ad essere circondato e avvolto dalle fiamme. Da più fronti. Troppi per essere solo frutto delle temperature tropicali e del vento caldo di scirocco.Intanto le perdite in termini di patrimonio boschivo sono immani. Secondo i dati di Legambiente dall’1 gennaio al 27 luglio sono 41.365 gli ettari di bosco andati in fumo solo in Sicilia. Un’isola senza polmoni.

Fonte:https://www.lasicilia.it/notizie/sicilia-gli-incendi-dolosi-dellindustria-del-fuoco-accesi-tra-pizzo-e-speculazioni-1857674/