Casamonica, un suggerimento a chi nega l’evidenza del messaggio mafioso
Il comitato per l’ordine pubblico di Roma ha partorito il topolino, sul caso Casamonica. “Roma come Palermo”, si dirà e titoleranno i giornali. Ma siccome non c’è responsabilità istituzionale per quanto accaduto, e visto che a Roma da ora saranno applicate le norme sul coordinamento antimafia che vigono a Palermo, allora continuiamo a farci del male e a rimuovere le responsabilità su questo problema di Roma.
Quale problema? Direbbe Johhny Stecchino: “Il traffico, la siccità o – per restare alle ultime emergenze sicule – il cinghiale”.
Se non c’è responsabile, tutti sono irresponsabili. Insomma, la storia di quel funerale pomposo e culturalmente mafioso perché mirava a mostrare un potere criminale socialmente riconosciuto ma sottovalutato, legittima la traduzione in romanesco dell’antico detto: “Nun so’ gniente, nun ho visto gniente. E se c’ero stavo a dormì…”.
Dormivano tutte le istituzioni locali e i responsabili della sicurezza pubblica. Dormiva la questura, prima fra tutte. Se è vero che il questore dopo i fatti della chiesa don Bosco, scriveva: “In merito al funerale di Vittorio Casamonica, esponente dell’omonima famiglia, la Questura precisa che nessuna notizia relativa allo svolgimento dell’evento era stata comunicata”. Da chi, visto che è la questura a dover monitorare l’ordine pubblico, se no cosa ci sta a fare?
E poi, ancora: “Il defunto risulta ai margini degli ambienti criminali, come confermato dalle recenti attività investigative nel corso delle quali lo stesso non è mai emerso”, dice il questore.
Infine, sull’elicottero che spandeva petali dal cielo, questura dixit: “Allo stato, risulta noleggiato un velivolo commerciale di una società privata in via di individuazione che, per ordinarie modalità di sorvolo in un’area non interessata a restrizioni di sicurezza, non necessita di autorizzazioni”. Una sgangherata autodifesa a posteriori se è vero che l’unico che paga, per ora, è l’elicotterista che è stato sospeso e non ha più giustamente la licenza perché “non aveva il permesso di sorvolo” (dice Enac, smentendo il questore).
Membri del clan Casamonica – precisava la questura – non hanno condanne per associazione mafiosa, ma per usura, spaccio di cocaina ed estorsione. E questo è un’osservazione ridicola: si tratta proprio di reati tipici delle organizzazioni mafiose. Spaccio, usura e estorsione, non furto, scippo e rapina.
E poi dire – come fa il questore – che il Casamonica defunto è “esponente di una comunità formata da gruppi di famiglie unite da vincoli di sangue e legami matrimoniali che agiscono in forma indipendente”, per dire che “non sono mafiosi”, cosa vuol dire? La stidda del sud della Sicilia è una mafia “indipendente”; eppure a Gela, ma anche a Catania, Rosarno o Gioia Tauro sono vietati (da leggi e dalla Chiesa) i funerali pomposi di boss e parenti.
Cos’è la mafia (tradizionale), quella per la quale Falcone e Borsellino hanno scritto il primo maxiprocesso degli anni 80 e istituito il 416-bis? “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri affiliati”.
Suggerimento al questore (e a tutti quelli che negano l’evidenza del messaggio “mafioso” che quel funerale invia a tutti i romani): rileggete la voce “mafia” dell’enciclopedia Treccani per ragazzi. Lì c’è sinteticamente tutto.
E poi come negare le note relazioni tra il clan in questione e la camorra o la ‘ndrangheta? Come dimenticare che esponenti del clan familiare sono citati nell’inchiesta “Mafia capitale” per note relazioni con il duo Buzzi-Carminati e prima ancora con la banda della Magliana e così via?
In un’intervista uscita sul quotidiano tedesco Die welt, don Luigi Ciotti afferma: “La mafia è forte quando la politica è debole e la democrazia è pallida”. Ha ragione ed è interessante che sia un sacerdote (e non un questore o un ministro) a ricordarcelo. Perché questo – e non il “traffico” fuori dalla chiesa di don Bosco – è il problema.