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Si é portato nella tomba tanti segreti ma ,comunque,quello che ha detto ci é bastato per vedere il “quadro” dei disastri derivanti dagli intrecci e dai patti fra mafia,massoneria e pezzi della politica e delle istituzioni.Quello che non riusciamo a mandare giù e ci fa sospettare tante cose non di certo belle é il fatto che nessuno dei proprietari e degli autisti,alcuni di Itri,di Gaeta e del sud pontino,dei mezzi dei quali Schiavone ha fornito le targhe é stato chiamato ed interrogato per sapere DOVE hanno portato i rifiuti e CHI ha affidato ad essi l’incarico.

Latina Press 2015

Morto l’ex boss Schiavone, denunciò l’interramento dei rifiuti tossici a Borgo Montello

Il decesso nella notte nella sua abitazione nel viterbese

 

 

 

E’ morto nella sua abitazione nel Viterbese Carmine Schiavone, ex boss dei Casalesi, a lungo collaboratore di giustizia. La causa del decesso sarebbe un infarto. Da alcuni anni era uscito dal programma di protezione per i pentiti. Fecero scalpore le sue dichiarazioni sul traffico e l’interramento dei rifiuti tossici nella Terra dei fuochi. Il traffico e l’interramento dei rifiuti in provincia di Caserta era un affare da 600-700 milioni di lire al mese, che ha devastato terre nelle quali, visti i veleni sotterrati, si poteva immaginare “che nel giro di vent’anni morissero tutti”. Questa le parole dell’ex boss pronunciate nel 1997 davanti alla Commissione ecomafie, in una audizione i cui verbali furono desecretati nel 2013. La sentenza senza appello pronunciata dall’ex boss riguardava tanti centri del Casertano, “gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e anche Borgo Montello a Latina. Rifiuti radioattivi “dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce piu’ erba”, raccontava Schiavone. Fanghi nucleari, riferiva, arrivavano su camion provenienti dalla Germania. Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte mafia, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita. Schiavone aveva iniziato a collaborare con la giustizia nel 1993. Le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz che portò a 136 arresti di affiliati al clan, operazione da cui derivò il processo ”Spartacus”. Anche qui le sue dichiarazioni furono al centro delle accuse. Al termine del processo furono condannati il cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco Bidognetti, ritenuti la cupola del clan. Con loro furono condannate altre 30 persone. Finito il programma di protezione, Schiavone si era trasferito con la moglie e i figli nella Tuscia, in una casa nei paraggi del lago di Vico, dove è morto. Il suo nome tornò alla ribalta nel 2008, quando voci raccolte dalle forze dell’ordine lo davano come possibile organizzatore di un attentato contro Roberto Saviano. Ma sulla circostanza non emersero riscontri concreti. Lazio Tv