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Sei anni e 300mila euro di confisca all’ex sindaco per corruzione “Referente politico di Buzzi e Carminati”

La Repubblica, MARTEDÌ 26 FEBBRAIO 2019

Sei anni e 300mila euro di confisca all’ex sindaco per corruzione “Referente politico di Buzzi e Carminati”

Carlo Bonini

Con un’ultima sentenza, a suo modo cruciale perché giudizio del “Mondo di Sopra” nel sistema “Mafia Capitale”, la giustizia penale consegna gli anni dei “Fascisti in Campidoglio” (2008-2013) alla storia di un assalto alla diligenza. A epigrafe di un lustro di corruzione di chi, dismesse la celtica e le spranghe, si era infilato nei gessati della Destra di governo, An prima, Pdl poi. Gianni Alemanno, ex ministro e già primo sindaco della Capitale “pregiudicato e riabilitato” (era stato condannato con sentenza definitiva per un assalto armato nel 1981 agli uffici commerciali della rappresentanza dell’ex Unione Sovietica), diventa il primo ex sindaco “recidivo”. La seconda sezione del Tribunale di Roma lo condanna a sei anni di reclusione per corruzione e finanziamento illecito dei partiti, del cui prezzo — 298 mila e 500 euro — dispone la confisca. Lo cancella dalla vita civile interdicendolo in perpetuo dai pubblici uffici (perdita di ogni diritto elettorale, politico e di assunzione di cariche pubbliche), inibendolo dalla possibilità di negoziare per due anni con la pubblica amministrazione, interdicendolo legalmente per la durata della pena. E va oltre le richieste del pm Luca Tescaroli (5 anni di reclusione) convinta che Alemanno meriti un giorno il destino del “Celeste” Formigoni, «per aver asservito la sua funzione pubblica agli interessi di un’associazione a delinquere di stampo mafioso» di cui il “nero” Massimo Carminati e il “rosso” Salvatore Buzzi erano i padroni. È una sentenza di primo grado, dunque non definitiva, per il quale il condannato annuncia appello. E tuttavia, al netto del giudizio penale, è una sentenza che squaderna nei fatti — pacificamente riconosciuti da accusa e difesa e ricostruiti in un dibattimento durato un anno — la catastrofe personale dell’uomo che si mise a capo dell’avventura Nera che si prese Roma nel 2008, lasciandola in macerie nel 2013 e da cui neppure la consiliatura Marino l’avrebbe risollevata perché anche lei intossicata dal “rosso” e dal “nero”. Il processo riconosce infatti Alemanno non solo colpevole di aver utilizzato la sua fondazione “Nuova Italia” come tasca in cui convogliare i 298 mila 500 euro pagati come tangenti da Salvatore Buzzi e dalla sua holding di cooperative sociali (29 Giugno, Eriches 29, Unicoop, Formula Sociale, Edera, Sial service) attraverso Franco Panzironi, ex amministratore delegato di Ama, la municipalizzata dei rifiuti, per oliare le ruote degli appalti. Ma dimostra che Alemanno alla cassa della Fondazione continuò ad attingere anche dopo essere cessato dalla carica di sindaco. Ricevendo otto bonifici sui suoi conti per 61 mila 992 euro dal 16 luglio 2013 al 23 luglio 2014, quando era diventato consigliere comunale di opposizione. Una sorta di sine cura a babbo morto, giustificata formalmente come «corrispettivo per consulenze tecniche». Dove l’aggettivo — “tecniche” — stava a indicare una generica attività di consulenza politica che avrebbe svolto per la Fondazione (la sua), ma che, come lui stesso ha finito per ammettere, serviva a “integrare” con circa 5mila euro netti al mese il suo stipendio da consigliere rispetto a quanto aveva percepito da sindaco. Del resto, in questo cupio dissolvi che lo degrada a “forchettone” e lo sorprende, anche nell’aspetto, fisicamente incanutito, svuotato, Alemanno conosce l’identico destino dei suoi ex camerati cresciuti all’ombra di Terza Posizione che l’inchiesta “mafia Capitale” ha incenerito. Gli ex “topi usciti dalle fogne”, per dirla con uno slogan degli anni ’70, che il bacio berlusconiano aveva trasformato in “principi” aprendogli le porte di quell’orgia del potere e del denaro chiamata Roma. La “mucca” dalle grandi mammelle che — come ricordava Buzzi in una celebre intercettazione — doveva tuttavia «magna’ pe’ esse’ munta». Riccardo Mancini, ex tesoriere della campagna elettorale che gli aveva regalato il Campidoglio e quindi suo spiccia faccende come amministratore delegato dello strategico “Eur Spa”, se ne era andato nel giugno scorso con un infarto un mese dopo la condanna a 5 anni per una tangente di 600 mila euro sulla fornitura di filobus per il corridoio Laurentina. Luca Gramazio, figlio di famiglia dai quarti di nobiltà “nera”, già capogruppo in Campidoglio e quindi consigliere regionale, ha avuto 8 anni e 8 mesi nell’appello di “Mafia Capitale”. Franco Panzironi, il ragioniere che Alemanno aveva voluto padrone di Ama, la municipalizzata dei rifiuti, suo collettore di tangenti, di anni ne ha collezionati oltre dieci: 8 e 8 mesi per “Mafia Capitale”, 2 per “Parentopoli”, il mercato delle assunzioni in Ama. Carlo Pucci, altro nero con precedenti per banda armata che con Mancini lavorava all’Eur spa è stato condannato a 7 anni e 8 mesi. Senza dimenticare lui, naturalmente. Il Nero con la maiuscola. Massimo Carminati, sepolto vivo al 41 bis da una condanna a 14 anni e 6 mesi.