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SE NON SI ASSICURA IL LAVORO ALLE PERSONE LA  CAMORRA E LE MAFIE NON VERRANNO MAI DEBELLATE.LA REPRESSIONE NON BASTA.LA LOTTA ALL’ESERCITO SENZA FINE DEI CLAN

Il Mattino, Mercoledì 8 MAGGIO 2019

LA LOTTA ALL’ESERCITO SENZA FINE DEI CLAN

Raffaele Cantone

La sparatoria di piazza Nazionale si è ben presto sovraccaricata di valutazioni (e soprattutto critiche) di ordine politico. Di fronte all’ennesimo agguato avvenuto in pieno giorno fra la gente, in cui è addirittura rimasta gravemente ferita una bambina di quattro anni, è per certi versi inevitabile che sia stato chiamato a risponderne colui al quale è affidata la responsabilità istituzionale della pubblica sicurezza. Con comprensibile dolore il papà della piccola Noemi ha espresso l’intenzione di abbandonare Napoli e paventato che, dopo il clamore di questi giorni, sulla vicenda calerà il silenzio, col rischio che quanto accaduto possa presto ripetersi con «qualche altro innocente». Sono parole che turbano, in particolare chi è genitore come me, ma che proprio per la loro provenienza impongono che lo Stato dia una risposta commisurata alla gravità della situazione. Il procuratore nazionale antimafia ha auspicato una replica del modello adottato a Caserta nel 2008 per contrastare l’offensiva criminale dei casalesi: una sistematica attività di controllo del territorio in raccordo con le inchieste, rimodulando mese per mese le attività in base alle informazioni raccolte. «Se è stato possibile a Reggio Calabria, perché non anche a Napoli?», ha giustamente osservato il procuratore de Raho. È in effetti indubbio che un’azione di alto profilo, flessibile a seconda delle necessità e in grado di combinare prevenzione e repressione, avrebbe il pregio di far davvero sentire il fiato sul collo ai clan. È essenziale dimostrare che non esistono santuari intoccabili né zone franche in cui sia possibile sperare di non essere sottoposti a ogni ora del giorno e della notte a controlli a tappeto, verifiche, identificazioni, perquisizioni e sequestri. Del resto investigatori e magistratura hanno acquisito sul campo una competenza invidiabile, come dimostra un precedente analogo a quello di piazza Nazionale: l’omicidio al rione Villa, avvenuto vicino a una scuola e a pochi metri dal nipotino di tre anni della vittima. In venti giorni di indagini sono stati fermati dagli inquirenti sette esponenti del clan D’Amico ritenuti coinvolti a vario titolo nell’omicidio. Proprio questa constatazione deve però spingere a porsi un’altra domanda, ben più problematica: malgrado sia sempre più difficile che gli autori di un agguato sfuggano alla giustizia, com’è possibile che si continui a uccidere in pieno giorno? Perché nemmeno il rischio di coinvolgere piccoli in tenera età è in grado di fermare la mano dei killer? Come mai nemmeno la quasi matematica certezza dell’arresto riesce a porre un freno agli omicidi o a indurre, quanto meno, a una maggiore prudenza nella loro esecuzione? Davanti a una tale noncuranza dobbiamo chiederci se ciò non sia dovuto anche ad altre ragioni, ad esempio una sovrabbondanza di «manodopera» disposta a mettersi a disposizione a poco prezzo per finalità criminali. È noto che in alcuni quartieri di Napoli e provincia il reddito ufficiale medio rasenta la soglia di povertà eppure, malgrado l’elevatissima disoccupazione, non si assiste a mobilitazioni né turbative dell’ordine pubblico. È la prova indiretta che a consentire a migliaia di persone di vivere (o meglio: sopravvivere) è il welfare camorristico fondato su attività illecite, che per molti rappresentano un provvidenziale approdo. Ma se lo Stato latita e si mostra solo coi lampeggianti blu delle auto di polizia, lascia la sua legittimazione nelle mani della camorra, pronta ad adoperarla per accrescere il proprio consenso. Finché non si interverrà su questo esercito di riserva, qualunque azione repressiva, anche la più efficace, rischia di avere le armi spuntate: se a reggersi sulla delinquenza spicciola è una famiglia intera, nemmeno condannare un componente può bastare, perché ci sarà sempre chi prenderà il suo posto. Almeno finché lo Stato non decida di mostrarsi anche con un altro volto. Quello di chi sa offrire, più che una opportunità, quanto meno una credibile alternativa.