La lucida analisi dell’ex ministro dell’Interno al Salone del libro di Napoli
26 Maggio 2018
di Lorenzo Baldo e Miriam Cuccu
“Noi ci trovammo di fronte ad una scelta, anche oggi esistente: o con la mafia si convive e si accetta l’instauro di un potere mafioso nella società, nell’economia e nelle istituzioni, o c’è un problema di scontro, di guerra. Che significa aprire una reazione violenta”. A parlare alla platea del Salone del libro di Napoli è Vincenzo Scotti. Dopo l’introduzione del direttore de “La Città di Salerno”, Antonio Manzo, l’ex ministro dell’Interno risponde con grande determinazione alle domande del vicedirettore di Antimafia Duemila e del collega di Repubblica Emilio Orlando. La grande lucidità del presidente della Link Campus University, unita ad una esaustiva esposizione dei fatti, permette all’auditorium di rivivere gli anni bui a ridosso delle stragi del ‘92/’93. “Noi ci trovammo di fronte a questo problema, la mafia reagì violentemente e cominciò con una serie di successive uccisioni e in parte stragi, ponendo allo Stato la scelta che essi avrebbero continuato in quella direzione. Tentammo in tutti i modi di alzare l’offensiva, non di ritirarci, perchè il problema era – ed è anche oggi – non solo nel nostro paese, ma nel mondo, il problema della criminalità mafiosa. Che non è soltanto un fatto criminale: è il punto di partenza da cui nacque la riflessione anche con Giovanni Falcone”. Scotti riflette quindi su quel“tentativo di destabilizzare e indebolire gli stati per poter più liberamente, a livello internazionale e interno, fare i loro traffici criminali”.
L’aut-aut di Napolitano
Si torna ad analizzare le dichiarazioni di Giorgio Napolitano, teste al processo sulla trattativa, per il quale le bombe del ‘92/’93 erano state un “aut-aut allo Stato, un ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema”. “Quello che dice Napolitano è vero – afferma l’ex ministro democristiano – noi ci trovammo di fronte ad un attacco alle istituzioni, non a dei reati comuni. E questo trovò una difficoltà ad essere accettato dall’opinione pubblica e dalle istituzioni in quegli anni”.
Un allarme inascoltato
Ed è proprio quell’allarme inascoltato, lanciato dall’ex ministro dell’Interno il 20 marzo 1992, a tornare di seguito sotto la luce dei riflettori. “Io andai alla Camera e denunciai che non era un problema di criminalità, ma un problema di potere. E quindi: o c’era una reazione statuale, una guerra, o lo Stato era destinato ad indebolirsi sempre più nella sua espressione di potere a tutti i livelli. Appena finisco il mio intervento il presidente della Commissione congiunta di Camera e Senato mi attacca violentemente dicendo che dovevo chiedere scusa al Parlamento perché mi ero permesso di creare allarme senza appoggiarmi a dei documenti. Ma invece quei documenti c’erano eccome! Io avevo dichiarato lo stato di allerta. Che precede lo stato d’assedio. Quando un governo ritiene che il livello di guardia, di tutela, si è abbassato bisogna reagire in quella direzione. Ma all’epoca non ci si credeva, c’era una tendenza a considerare la mafia come un’organizzazione criminale qualsiasi. Mentre Pio La Torre e Vincenzo Rognoni avevano invece introdotto il principio che mafia andava combattuta in quanto associazione, non solo in quanto rea di reati specifici, perché quella associazione era un antistato e bisognava reagire in quei termini”.
Il livello internazionale
“Negli ultimi anni – ricorda l’ex ministro – dalle Nazioni Unite e da altri organismi internazionali è venuto fuori un dato oggettivo. Mi riferisco ad alcuni stati centro americani come l’Honduras o il Guatemala. Siamo di fronte a degli stati che sono stati indeboliti perché la mafia è riuscita a penetrare nelle istituzioni e a indebolire il potere statuale. Tutto ciò ha aperto quelle società e quei paesi al potere criminale mafioso”.
Pezzi da mettere assieme
Un ulteriore approfondimento viene fatto quindi partendo dalla storica sentenza della Corte di Assise di Palermo del 20 aprile scorso che ha sancito ulteriormente una trattativa tra Stato e mafia nel biennio stragista ‘92/93. Per Scotti si tratta mettere assieme i tanti pezzi che compongono questo mosaico partendo da lontano. L’ex ministro cita la relazione Cattaneo del 1972 che “descrive in modo dettagliato i collegamenti tra potere mafioso, politico, amministrativo ed economico. Quei dati furono messi da parte. Ma noi dobbiamo fare uno sforzo per risvegliare la memoria attraverso la scoperta e la messa in chiaro di quei documenti”. Il problema reale è quello di individuare “quali sono i gradini sopra” a quella sorta di bassa criminalità. Quei personaggi rimasti nell’ombra che “hanno il potere di utilizzare la potenza economica della mafia”, afferma Scotti con sicurezza.
Quel livello superiore
Ed è proprio riguardo a quel livello superiore che il presidente della Link University rivolge la sua attenzione evidenziando un dato oggettivo: “Dopo la strage di Capaci, essendo stato a vedere il luogo dell’eccidio, dissi una cosa molto semplice: non è possibile che si colpisca una macchina che viaggia a 140 km orari in una curva manovrando a distanza di centinaia di metri l’innesco del salto. Come si fa a quella velocità a calcolare il momento in cui la devi far saltare?! C’è qualcosa di estremamente sofisticato in tutto questo. Siamo di fronte a un potere mafioso che non è così stupido e volgare come potremmo immaginare, ma che ha un potere alle spalle, una struttura organizzativa e funzionale molto solida”.
Nuove bombe?
Di fronte ad una instabilità politico-istituzionale c’è il rischio di nuove bombe nel nostro Paese? “Il rischio è sempre presente”, risponde con convinzione l’ex ministro dell’Interno. “Io sono andato a visitare con attenzione la Colombia, ebbene lì c’è uno scontro tra potere politico-legale e potere politico-illegale e violento. Come europei vogliamo ridurci in quella condizione? E mi rivolgo anche alla Germania. Quando nel ‘92 venne fatto il processo relativo all’Autoparco di Milano io mandai gli ispettori del Ministero al Comune per verificare l’infiltrazione mafiosa. Il Corriere della sera mi attaccò violentemente: ma come, a Milano la mafia?! Ma come si permette ad insultare la città in questo modo?! Ebbene, se non si capisce questo, tra qualche anno in Germania, in Italia e in altri paesi ricchi ci si ritroverà con una presenza della ‘Ndrangheta ancora più forte, con tutte le relative conseguenze. E questo perché abbiamo chiuso gli occhi di fronte alla realtà”.
Continuare a combattere
Alla domanda su quali reali possibilità ha il nostro Paese di liberarsi dai ricatti politico-mafiosi e dalle trattative illecite, Scotti non ha dubbi. “Ripeto la frase di Falcone, io credo che la mafia non sia invincibile, l’organizzazione mafiosa può quindi essere debellata. Sicuramente non si può debellare il crimine perchè resterà sempre nella vita degli uomini. Ma si può debellare questo tipo di organizzazione se si è in grado di utilizzare le tecniche di guerra a tuttotondo. Perché la mafia va attaccata su tutti i fronti: sul lato economico, politico, sociale, nelle azioni criminali, in tutti gli aspetti in cui essa si presenta. Io credo che non sia impossibile. Se noi non trasmettiamo ai cittadini degli stati la sensazione che questa guerra può essere vinta, abbiamo già perso la battaglia. Ricordo quando dissi a senatori e deputati: dobbiamo mostrare che lo Stato è più forte di loro, anche di fronte alle stragi, bisogna fare una scelta e sapere che se siamo pronti a combattere dobbiamo essere pronti a pagare prezzi altissimi, ma se ci spaventiamo e torniamo indietro noi accettiamo che un potere non statuale e non legale arrivi sopraffare lo Stato nella nostra società”.
Nessun alibi
“L’italia è il paese che ha la migliore legislazione per combattere la mafia – conclude Scotti -. L’ulteriore conferma l’ho avuta alla Corte Suprema degli Stati Uniti, durante un seminario a porte chiuse assieme alle principali autorità, dal ministro della giustizia a quello degli interni con quindici giudici della Corte Suprema. Tutti hanno riconosciuto che questa legislazione è la più avanzata. E sono quegli anni di sangue ad averla prodotta. Non ci sono più alibi per chiunque dica che non abbiamo gli strumenti per combattere la mafia. Gli strumenti ci sono, così come le leggi, per seguire il flusso del denaro mafioso. Non possiamo scoprire con ritardo che siamo di fronte ad una guerra. Quello che serve è una volontà e una capacità per vincerla”.
Fonte:http://www.antimafiaduemila.com/