Scarpinato: ”Mafia appalti? Indegna falsità dire che l’inchiesta fu chiusa”
Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari 07 Dicembre 2021
L’ex Procuratore generale di Palermo sentito assieme a Lo Forte nel processo sul depistaggio di via d’Amelio
Oltre cinque ore. Tanto è durata venerdì l’udienza nel processo sul depistaggio di via d’Amelio che ha visto le importanti testimonianze dell’ex Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, e dell’ex procuratore aggiunto Guido Lo Forte. Due testimonianze che smentiscono scientificamente le strampalate idee di Fiammetta Borsellino e di certi avvocati difensori (di mafiosi e non), sulla vicenda mafia-appalti.
“L’inchiesta mafia-appalti del febbraio 1991 è un’indagine in progresso con vari atti. Dire che l’inchiesta è stata archiviata è una falsità indegna”. “L’indagine ebbe vari momenti. Prima fu assegnato a tutti i membri del pool antimafia. Poi si fece il rinvio a giudizio dei sette che erano stati arrestati, i primi a giugno 1991 ed i secondi a gennaio 1992. Il rinvio a giudizio è di maggio 1992. Dopo vi fu uno stralcio sulla parte più importante dell’inchiesta: appalti di mille miliardi di lire, gestiti dalla Sirap. Lo stralcio è del giugno 1992. Restava una parte residuale con alcuni personaggi nei cui confronti non erano ancora stati acquisiti sufficienti elementi per un rinvio a giudizio”. E’ l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che all’epoca era sostituto procuratore alla Procura della Repubblica di Palermo, a spiegare ogni passaggio dell’inchiesta che tanto negli anni Novanta quanto oggi è al centro di numerose polemiche, sulla stampa e non solo.
Un’indagine che è stata oggetto di prova anche in diversi processi sulla stagione delle stragi (da quella su via d’Amelio al processo trattativa Stato-mafia) e che viene indicato, in particolare dai contestatori della trattativa (a cominciare dalle difese di Mori, Subranni e De Donno), come il “motivo principe” dell’accelerazione che portò alla strage del 19 luglio 1992. Abbiamo già scritto in altre occasioni il perché, a nostro avviso, non può essere considerato tale, anche se è certamente un dato che Paolo Borsellino si sia interessato di quelle indagini nei 57 giorni che separano la strage di Capaci da quella di via d’Amelio.
Uno dei punti che tanti giornaloni hanno sempre contestato è la nota archiviazione di uno stralcio dell’indagine che riguardava 13 persone, avvenuta il 20 luglio 1992, sulla richiesta della stessa Procura, avanzata il 13 luglio.
Titolari di quell’indagine erano Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato ed entrambi sono stati chiamati a deporre davanti al Tribunale di Caltanissetta che vede imputati alcuni membri della squadra “Falcone-Borsellino” guidata da Arnaldo La Barbera. Si tratta dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata.
Scarpinato, sentito per oltre due ore, ha evidenziato le ombre emerse nel corso di quell’indagine.
Le gravi anomalie
“L’archiviazione del luglio 1992? Non è l’archiviazione di mafia-appalti. Mafia-appalti continua anche dopo quella archiviazione, tant’è che il 5 settembre 1992 viene depositata la nuova informativa sulla Sirap e nel maggio 1993 vengono arrestati 25 personaggi, tra cui lo staff direttivo della Sirap, l’onorevole Lombardo e fu chiesta autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri. Quindi quella archiviazione non riguardava mafia-appalti, come spesso nella stampa si legge impropriamente, ma riguardava soltanto la posizione di alcuni soggetti per cui non erano stati aggiunti sufficienti elementi anche a causa di una grave anomalia istituzionale”. Nella lunga deposizione in più occasioni Scarpinato ha fatto riferimento alla relazione della Procura di Palermo, del giugno 1998, in cui venne ricostruita l’intera vicenda dell’inchiesta mafia-appalti nel momento in cui, subito dopo l’istanza di archiviazione, scoppiò una violentissima polemica mediatica contro la Procura di Palermo “rea”, a detta dei giornali, di aver fatto sparire la posizione di politici di primissimo piano.
“C’erano state gravi anomalie – ha continuato il magistrato – Prima ancora della richiesta di ordinanza di custodia cautelare, nel maggio 1991, c’erano stati articoli di stampa incomprensibili sul ‘Secolo XIX’, sul Giornale di Sicilia, sul Corriere della Sera. Si diceva che la Procura si era rifiutata di ricevere l’informativa mafia-appalti dei carabinieri del febbraio 1991. Cosa assolutamente incredibile perché l’informativa era stata depositata immediatamente. Poi un articolo dove si diceva che la Procura aveva insabbiato posizioni di importanti politici alcuni dei quali ricoprivano incarichi governativi. Cosa incomprensibile perché nell’informativa del febbraio 1991 non si parlava di questi importanti esponenti politici”.
Nomi che invece compariranno il 5 settembre del ’92, un anno e mezzo dopo il deposito della prima informativa, in cui si facevano espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi.
“Solo quando vi fu questo deposito dell’informativa Sirap capimmo il perché i giornali, nell’anno precedente, dicevano che c’erano quei politici – ha detto Scarpinato rivolgendosi al Tribunale – La cosa grave che nella nuova informativa vi erano intercettazioni di questi personaggi che risalivano al 1990. E nonostante le intercettazioni fossero del 1990 in quell’informativa del febbraio 1991 non venivano indicate nelle 900 pagine e nei 488 allegati”.
Scarpinato ha anche raccontato ciò che disse Carmine Iannotta al processo nei confronti di Canale: “A un maresciallo, quello che ascoltava le intercettazioni, tale Carmine Iannotta, fu chiesto perché non furono messe le intercettazioni dei politici, tra cui De Michelis (le cui intercettazioni furono inserite in un altro rapporto del novembre 1991, ndr). Il maresciallo disse che aveva ricevuto disposizioni dal vertice del Ros perché quelle intercettazioni non erano state ritenute rilevanti”.
“Cosa grave – ha ribadito poco dopo con forza – è che quando viene ucciso Lima, nel marzo 1992, noi cerchiamo di capire il perché viene ucciso. E neanche allora il Ros deposita un’intercettazione del maggio 1990 dove Lima raccomanda una delle persone che poi arrestammo: Cataldo Farinella. Questo è stato il vero insabbiamento dell’inchiesta Mafia-Appalti. Ed è stato fatto credere che la Procura di Palermo, nel febbraio 1991, aveva le intercettazioni dei politici. Le aveva il Ros quelle intercettazioni e ce le ha nascoste. E in questi anni hanno fatto credere che noi avevamo quella intercettazione e che non abbiamo voluto arrestare i politici. Questo è veramente una cosa gravissima dal punto di vista istituzionale ed è ancora grave che nel corso degli anni, ogni volta che si arriva in coincidenza con appuntamenti processuali importanti, questa storia venga ripresa dalla stampa”.
La vicenda Lipera
Scarpinato ha anche spiegato come si arrivò all’archiviazione del luglio 1992. “Noi – ha poi aggiunto l’ex Procuratore generale – iniziammo a scrivere quella richiesta di archiviazione verso giugno. E c’erano tra questi soggetti alcuni nomi, come Claudio De Eccher e Domenico Favro, nei cui confronti, a quella data, non avevamo sufficienti elementi. Colui che avrebbe dovuto fornirci questi elementi, Lipera, si era completamente chiuso e aveva rifiutato di fornire qualsiasi elemento accusatorio. Mentre scrivevamo non sapevamo che nel frattempo Lipera, a cominciare dal giugno, aveva iniziato a collaborare con il dottor Felice Lima, dicendo a lui quello che non aveva detto a noi ed affermando il falso, cioè che noi non lo avevamo voluto sentire. Una circostanza del tutto falsa. In carcere lo sentimmo per cinque ore alla presenza del capitano De Donno spingendolo a rendere dichiarazioni. Lipera non aveva reso nessuna dichiarazione accusatoria, affermava che la mafia non c’entrava nulla negli appalti in Sicilia e che Siino, uomo chiave degli appalti, era un piccolo imprenditore che si rapportava soltanto con politici. Poi, nell’ottobre 1992, scoprimmo con un’informativa che giungeva da Catania, che Lipera a Lima aveva detto altro. Resta il dato che sulla base di queste dichiarazioni e su quelle di altri collaboratori di giustizia, poi arrestammo nel maggio 1993 De Eccher, Favro, i vertici Sirap, assieme ai boss. Quindi scoprimmo che Lipera non aveva parlato con noi perché minacciato da mafiosi. Lo disse lui stesso. Disse anche di aver ricevuto dal suo capo un’offerta di 150 milioni di vecchie lire affinché si addossasse tutta la responsabilità e non lo accusasse. E poi un avvocato, che scoprimmo in seguito essere un uomo vicino ai Graviano, arrestato due vuole come riciclatore e poi traffico di stupefacenti, gli disse di non parlare con magistrati di Palermo perché aveva saputo che i magistrati di Palermo avevano dato il rapporto ai mafiosi”.
Gli incontri con Borsellino
Altro argomento sviluppato durante l’esame è quello degli incontri avuti con Paolo Borsellino prima della strage di Via d’Amelio. “Ebbi due interlocuzioni su mafia-appalti. Una specifica ed una accidentale. Io e Borsellino avevamo frequenti incontri e parlavamo di tutti i processi di Palermo. In uno di questi incontri il discorso cadde anche sul processo mafia-appalti. Siamo alla fine del maggio 1992, da poco c’era stato il rinvio a giudizio.
Lui il processo lo conosceva perché nel luglio del 1991 l’informativa fu inviata a più Procure, tra cui quella di Marsala, in relazione ad un appalto di Pantelleria, di cui Borsellino ed Ingroia avevano rivendicato la competenza. Mi chiese a che punto eravamo con il processo. Io feci una sintesi di quanto era successo e ricostruii l’architettura accusatoria senza entrare nel merito di ogni singola posizione. Per quelli che restavano fuori dallo stralcio Sirap dissi che probabilmente avremmo fatto archiviazione, salvo poi che da indagini successive non fosse poi emerso altro. Cosa che poi avvenne”.
Successivamente vi fu un secondo incontro. “In questa occasione mi chiese particolare riservatezza – ha affermato Scarpinato – Era arrivato il famoso esposto ‘Corvo bis’, esposto indirizzato a una trentina di autorità istituzionali, al Presidente della Repubblica, ai direttori di giornali ed anche a Paolo Borsellino. Lui era stato particolarmente colpito dal contenuto dell’esposto che, come lui disse, era stato scritto da una mente raffinatissima. In quell’esposto si dava una spiegazione dell’omicidio Lima e della strage di Capaci. Un argomento a cui Borsellino era interessatissimo”. Dopo aver indicato i punti che venivano affrontati nel cosiddetto Corvo bis (si parlava di incontri tra l’ex ministro Mannino e il boss Totò Riina e del presunto patto stretto tra loro: i voti della mafia alla corrente di Mannino in cambio di appalti a imprese mafiose e benefici carcerari ai boss, nonché si davano indicazioni su alcune indagini da fare e si suggeriva di rivedere mafia-appalti, ndr).
Scarpinato ha ricordato ciò che gli disse Borsellino: “Ragionavamo su chi potesse aver scritto l’esposto anonimo e mi disse: ‘Mi hanno detto che un possibile autore di questo esposto anonimo è un ufficiale del Ros’. E poi aggiunse che avrebbe avuto o che aveva avuto, non lo ricordo, un appuntamento con delle persone per cercare di capire chi era l’autore dell’esposto. E aggiunse: ‘Questa notizia tienitela per te’. Tanto è che il 27 luglio 1992, quando il Csm sentii tutti magistrati della Procura di Palermo a seguito della mia iniziativa, cioè la preparazione di un documento preparato da me e sottoscritto da altri sette magistrati con cui sostanzialmente chiedevamo l’allontanamento del Procuratore Giammanco, io dissi al Csm che avevo avuto degli incontri riservati con Paolo Borsellino nei quali lui mi vincolò al segreto. Successivamente ho letto quanto dichiarato dal tenente Canale, che Borsellino si recò alla Caserma Carini di Palermo per chiarire proprio sul Corvo bis”.
La riunione in Procura del 14 luglio
Scarpinato poco ha potuto dire sulla riunione in Procura del 14 luglio 1992. Quella in cui, secondo alcune testimonianze, Borsellino chiese conto delle indagini su mafia-appalti. “Io non c’ero per motivi familiari. Ne parlai con la mia ex moglie, Teresa Principato e mi pare con De Luca. Uno dei due mi disse che Borsellino chiese qualcosa sull’indagine di Pantelleria e che Lo Forte gli disse che ne aveva parlato con Ingroia”.
La nota dell’agosto 1990
Uno dei documenti che spesso viene portato in alto dai carabinieri del Ros per dimostrare che la presenza di politici di rilievo fosse a conoscenza della Procura di Palermo sono alcune note presentate negli anni Novanta all’attenzione di Giovanni Falcone e Guido Lo Forte in cui si chiedevano autorizzazioni ad intercettazioni o ancora dove si dava atto di “ulteriori complessi accertamenti tesi a l’identificazione di personaggi legati al mondo economico, politico, nazionale che in base agli incarichi svolti, valenti sull’intero territorio dello Stato, forniscono valido e insostituibile aiuto al raggiungimento degli scopi illegali dell’organizzazione mafiosa”.
“Nell’informativa del 1991 c’erano tante intercettazioni in cui si parla anche di soggetti politici come l’onorevole Alessi e l’onorevole Coco, ma senza rilievo penale. Ritenemmo che fossero questi gli importanti personaggi politici di cui si anticipava, ma che non fosse poi emerso nulla. Non potevamo pensare che c’erano Lima, Mannino o Nicolosi”. E poi ancora: “Che c’erano lo appresi nel settembre 1992, con una certa irritazione. Perché la stampa in precedenza parlava di specifiche intercettazioni che noi fino a quella data non avevamo avuto. Almeno io pensai che tutto ciò che era stato accertato della Sirap fosse nell’informativa del 1991. Così non è stato”. Ed all’appunto del pm che ha ricordato alcune note in cui si fanno dei riferimenti, seppur generici, Scarpinato ha risposto: “Ed anche se nelle note si può accennare a qualcosa e si parla della Sirap, allora perché non le inserisci nel febbraio 1991? Perché non le metti? Se non le metti deve esserci un motivo, ma lo devi spiegare. Perché quando la stampa parlava delle intercettazioni non sono intervenuti dicendo che quelle intercettazioni effettivamente c’erano e che non erano state inserite perché ci stavano lavorando? Avremmo chiarito subito. E invece non è stato così”.
Falcone e la questione Gladio
Durante il controesame del pm Stefano Luciani, in riferimento a Giovanni Falcone ed alcuni riferimenti nei diari su mafia-appalti, Scarpinato ha evidenziato che quel dato “è un errore”. “I diari di Falcone al 70% riguardano l’inchiesta Gladio. E in quell’accenno in cui si fa riferimento ad un finanziamento della Regione Siciliana non c’entrava niente con mafia-appalti. Era un’indagine della dottoressa Sabatino. E sia la dottoressa Sabatino che De Donno hanno chiarito che non è una vicenda legata a mafia-appalti”. Inoltre l’ex procuratore generale ha confermato che Falcone aveva un interesse molto forte per l’indagine su Gladio.
“Con Falcone ci vedevamo spesso. Mi disse che Mutolo stava per collaborare e che avrebbe fatto rivelazioni importanti. Mi chiese di fare domanda per la Procura nazionale antimafia perché insieme avremmo potuto fare delle indagini su fatti importanti e si riferiva in particolare a Gladio. Come riferii al Csm tutti e due avemmo un duro scontro con Giammanco. Per Falcone si doveva partire da lì per ricostruire i delitti politici, mentre Giammanco era contrario. Quando andò a Roma non mi chiese nulla su mafia-appalti invece mi chiese di altre cose importanti perché lui era sicuro di diventare Procuratore nazionale antimafia”.
Lo Forte: “Decisione unanime su mafia-appalti”
Successivamente a salire sul pretorio è stato Guido Lo Forte che dell’inchiesta Mafia appalti si è occupato in tutte le sue fasi, sin dai tempi in cui indagava assieme a Giovanni Falcone. Rispetto alla richiesta di archiviazione ha ribadito: “Tutto il pool antimafia, compreso Paolo Borsellino, sapeva della richiesta di archiviazione. Spiegammo che era una scelta obbligata perché per le posizioni per cui volevamo chiedere l’archiviazione non avevamo prove e tutto ciò fu condiviso all’unanimità, senza rilievi. Questo lo dico perché ho letto giornali in cui si afferma una circostanza falsa. Cioè quella per cui io in una riunione in Procura del 14 luglio 1992 avrei taciuto e nascosto a Borsellino il fatto di aver firmato la richiesta di archiviazione. Punto primo. Non si trattava di una richiesta di archiviazione dell’inchiesta ma di una parte residuale priva di contenuti probatori. E poi c’era la parte più importante dell’inchiesta che era vivissima e che diede importantissimi sviluppi”.
Parlando della riunione del 14 luglio 1992 ha poi aggiunto: “Io allora riferii delle decisioni adottate in Dda, dissi che c’era una parte che si era deciso di archiviare. E nessuno fece rilievi. Unica cosa che Borsellino mi chiese riguardava una vicenda di un appalto di Pantelleria di cui già avevamo parlato precedentemente. La vicenda è la seguente. Nell’informativa del febbraio 1991 ci accorgiamo che vi erano delle intercettazioni in cui si fa riferimento a questo appalto. E poiché il Comune ricade nella giurisdizione di Marsala io e Pignatone informammo Borsellino e rappresentammo l’esistenza di queste intercettazioni e lui ci disse che già a Marsala c’era un’inchiesta nata in maniera autonoma da altra fonte. E ci disse di raccordarci con Ingroia. Noi parlammo con Ingroia e venne deciso di seguirlo in maniera autonoma. Noi nel luglio 1991 trasmettemmo le carte alla Procura di Marsala. Nel luglio 1992 Borsellino mi chiese se l’indagine riguardava questa vicenda. Confermai e poi mi chiese cosa avessimo fatto di quelle carte e dissi che con Ingroia siamo rimasti che le carte sarebbero state trasmesse per competenza a Marsala. E il discorso finì lì”. Lo Forte ha confermato che i carabinieri del Ros comunicarono solo nel 1992 l’esistenza di intercettazioni del 1990 che avrebbero potuto evitare la richiesta di archiviazione e soprattutto che avrebbero potuto portare molto prima a indagini su politici e pezzi dell’imprenditoria italiana che poi la Procura comunque portò avanti nel tempo. “Si trattò di una anomalia grave – ha aggiunto – Come anomalo fu il fatto che solo tempo dopo fummo avvertiti delle dichiarazioni di un testimone, il geometra Lipera, sull’imprenditore De Eccher che poi noi incriminammo”.
Nel corso della testimonianza Lo Forte ha anche spiegato i motivi per cui in un primo momento non furono utilizzate le dichiarazioni di Messina. “Noi sapemmo subito delle dichiarazioni di Messina – ha detto – Alla fine di giugno 1992 lui inizia a collaborare con la Procura di Caltanissetta. Dal 30 giugno venne sentito anche da Paolo Borsellino. Nella prima fase lo interrogano i procuratori aggiunti Borsellino ed Aliquò. Successivamente, fino al 17 luglio, gli interrogatori proseguono con Borsellino e Principato. Messina già negli interrogatori del 30 giugno e del 1 luglio 1992 parla di Angelo Siino e della manipolazione di un appalto nella provincia di Caltanissetta. Gli atti erano secretati e non si potevano utilizzare se non con il consenso della Procura nissena. E poi c’era il fatto che eravamo dentro i primi 15 giorni di collaborazione. C’erano ancora tutti i riscontri da fare. Comunque le dichiarazioni di Leonardo Messina poi le utilizzammo, una volta riscontrate verso la fine del ’92 e inizio ’93, per la richiesta cautelare del maggio 1993 in cui si affrontò il tema della manipolazione mafiosa degli appalti nell’inchiesta nota Riina Salvatore +24”.
Prima di Lo Forte e Scarpinato ad essere sentito dal Tribunale è stato l’ex capo della Procura della Repubblica di Roma, oggi in pensione, Giuseppe Pignatone che, all’epoca dei fatti, era in servizio alla Procura della Repubblica di Palermo.
Questi ha raccontato di numerose riunioni in Dda in cui si parlava dell’inchiesta mafia-appalti. “A giugno-luglio – ha ricordato – dopo la strage di Capaci le riunioni della Direzione distrettuale antimafia di Palermo erano continue. A queste partecipava anche Paolo Borsellino. In una occasione – il 14 luglio 1992 – di fronte a continue fughe di notizie e accuse di insabbiamento contro la stessa procura di Palermo, il procuratore Giammanco convocò una riunione aperta a tutto l’ufficio. Non ci furono contestazioni da parte di Borsellino su mafia e appalti in particolare. Ci fu richiesta di chiarimento per una fase precedente. Ma non ricordo prese di posizione particolari da parte di Paolo Borsellino“.
A fine udienza sono state già chieste le testimonianze di altri magistrati che parteciparono alla famosa riunione del 14 luglio 1992 e che furono auditi davanti al Csm in quell’anno. Il Tribunale scioglierà la riserva sul punto alla prossima udienza, il 15 dicembre, quando saranno sentiti gli avvocati Ingroia, Foresta, Falzone e Maris.
(Prima pubblicazione: 28 Novembre 2021)
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