All’ex giudice all’inizio furono contestati 74 capi d’imputazione, ora ne restano in piedi 3 per la gestione di una decina di amministrazioni giudiziarie. Il “patto corruttivo” appare quindi molto ridotto. Infondata per la Corte la vicenda della tesi di laurea del figlio dell’ex magistrato, Emanuele Caramma. L’unica condanna definitiva per l’ex prefetto Cannizzo
Sandra Figliuolo – Giornalista Palermo
20 ottobre 2023 16:20
Dopo la sentenza emessa nel tardo pomeriggio di ieri (19 ottobre) dalla sesta sezione della Cassazione, che ha cancellato quasi una ventina di capi d’imputazione, cosa resta ancora in piedi del così detto “Sistema Saguto”, ovvero di quel presunto giro di mazzette e favori legato all’affidamento delle amministrazioni giudiziarie dei beni confiscati alla mafia? Naturalmente è impossibile in questo momento – mentre mancano ancora le motivazioni della decisione della Suprema Corte – dare una risposta definitiva, ma un dato evidente c’è: dai 74 capi d’imputazione che venivano contestati inizialmente all’ormai ex magistrato ne sono rimasti in piedi sostanzialmente 3 per corruzione o concussione.
Il “patto corruttivo”
Si tratta comunque di reati gravi, per alcuni dei quali c’è già una condanna definitiva, ma per altri una nuova sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta dovrà comunque verificare la sussistenza. Il verdetto della Cassazione sembra lasciare in piedi l’ipotesi di un “patto corruttivo”, ma tra un gruppo ristretto di persone e in relazione alla gestione di una decina di amministrazioni giudiziarie. Qualcosa di molto lontano – almeno da un punto di vista giudiziario – da un “sistema” vasto e diffuso, che avrebbe coinvolto decine di professioniste e l’amministrazione di centinaia di beni confiscati, come sembrava emergere inizialmente dalle indagini. Indagini che travolsero Silvana Saguto nel 2015, quando era un simbolo concreto della lotta alla mafia, e che successivamente hanno portato alla sua radiazione dalla magistratura.
Il nuovo processo e le pene più basse
I giudici hanno disposto un nuovo processo (il quarto) per Saguto (assistita dall’avvocato Ninni Reina), così come quello che è stato il suo braccio destro per anni, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara (difeso dall’avvocato Sergio Monaco), che nel tempo ha avuto assegnate decine di amministrazioni giudiziarie, per suo marito, l’ingegnere Lorenzo Caramma, per l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, per Carmelo Provenzano, professore dell’università Kore di Enna, e per il tenente colonnello della guardia di finanza in servizio alla Dia, Rosolino Nasca. Dovrà comunque anche essere rivalutata la loro responsabilità e, in ogni caso – visto che diverse imputazioni sono già state cancellate dalla Cassazione – rideterminata la pena per ognuno di loro. Saguto (già condannata a 8 anni 10 mesi e 15 giorni), Cappellano Seminara (7 anni e 7 mesi), Caramma (6 anni e 2 mesi) e Santangelo (4 anni e 2 mesi) e Provenzano (6 anni e 8 mesi) rischiavano tutti il carcere. Le loro condanne, però, sono tutte destinate ad essere più lievi e dunque non sembra più affatto sicuro che vadano alla fine in cella (cosa che accade per le pene superiori a 4 anni), anche se una parte di esse è comunque diventata definitiva.
Nella serata di venerdì 20 ottobre, però, la Procura generale di Caltanissetta ha disposto l’esecuzione proprio di questa parte della sentenza e sono scattati gli arresti per Saguto e il marito, mentre Capellano Seminara e Provenzano si sono costituiti.
L’unica condanna definitiva per l’ex prefetto Cannizzo
L’unica condannata in via definitiva – alla pena di 3 anni – è l’ex prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo. Per lei, nel complesso dispositivo formulato dai giudici, la sentenza d’appello è stata annullata senza rinvio, ma dopo aver riqualificato l’accusa da tentata concussione a induzione indebita tentata. Nello specifico è stato accertato che l’imputata fece pressioni sull’ex giudice Saguto perché venisse assunto il nipote dell’ex prefetto di Messina Stefano Scamacca nell’amministrazione giudiziaria affidata ad Alessandro Scimeca.
L’assoluzione definitiva di Walter Virga, l’imputato da cui partì l’inchiesta
La Suprema Corte ha poi deciso di cancellare, ritenendole insussistenti, 6 accuse di falso, 5 di peculato, dopo averle riqualificate nel reato più lieve di truffa aggravata, e altri 8 capi d’imputazione, di cui uno per prescrizione. Anche questo ha determinato l’assoluzione definitiva per altri imputati che erano stati invece condannati sin dal primo grado di giudizio, a cominciare da Walter Virga (difeso dall’avvocato Enrico Sorgi), il giovane – figlio del giudice ed ex componente del Csm Tommaso Virga, da tempo assolto in uno stralcio del processo – dal quale era partita tutta l’inchiesta sul così detto “Sistema Saguto”. I pm di Caltanissetta, infatti, sulla scorta di alcune intercettazioni, ipotizzarono che potessero esserci state delle irregolarità nella gestione di una delle aziende sequestrate alla famiglia Rappa e affidata proprio a Virga, la “New Sport Car”. Gli atti furono quindi trasmessi a Palermo per competenza, ma poi – quando i magistrati del capoluogo ebbero il sospetto che potesse essere coinvolta Silvana Saguto – tornarono a Caltanissetta.