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Roma mafie a go go ed il Prefetto non ha visto niente

E’ ARRIVATA L’ORA DELLA VERITA’…………
ORA BASTA CON
LE INADEMPIENZE,
LE INOSSERVANZE,
LE DISTRAZIONI,
LE OMISSIONI,
LA DISINFORMAZIONE ……………..

Stiamo per iniziare una martellante  campagna  di
informazione che tende a far comprendere al Paese
quali sono i nodi reali che hanno impedito finora  ed
impediscono una reale,efficace,risolutiva  lotta alle
mafie.
Diciamo subito,anche per tranquillizzare
quanti,compresa qualche nostra amica,che noi non ce
l’abbiamo con le Istituzioni che riteniamo queste ,in
quanto tali,assolutamente non responsabili di ciò che
andiamo  denunciando ,ma con coloro,fatta qualche
eccezione,che le rappresentano,talune volte
indegnamente, sui territori ,i quali   sono i
rappresentanti di un “potere” centrale – gli
esecutori,cioè,-che non vuole che si combatta una
guerra “altra” ed “alta” contro le organizzazioni
criminali mafiose..
Ce l’abbiamo con le persone e non con le
Istituzioni,sia ben inteso.
Con quelle persone che,interpreti acritiche di una
volontà che mira  a non colpire la mafia,non fanno
quello che loro impone la legge.

I Prefetti.
Quei Prefetti che dispongono di un potere enorme per
intervenire  A MONTE  ,con gli strumenti di vigilanza
e di prevenzione che la legge mette a loro
disposizione,e che non lo fanno affatto o lo fanno in
minima parte.
I Prefetti hanno il DOVERE  di esercitare le funzioni
di PREVENZIONE   al fine di  accertare,fra  l’altro, se
le imprese che partecipano a gare di appalti e
subappalti pubblici,abbiano le carte in regola e non
siano sfiorate dal dubbio che esse possano essere
organiche o contigue alla criminalità.
Essi,cioè,hanno il potere,in quanto rappresentanti del
governo centrale e presidenti dei Comitati provinciali
per la sicurezza e l’ordine pubblico, di imporre alle
forze dell’ordine territoriali di svolgere accertamenti
su ogni impresa che si candidi ad effettuare lavori o a
fornire servizi e quant’altro a Comuni,ASL,Regioni e
così via
Dal Prefetto dipende,quindi,se le forze dell’ordine
locali siano o meno attive o sonnolenti in una
provincia sul versante della lotta alle mafie.
Egli,infatti,sulla base di una semplice informativa
pervenutagli dalle forze dell’ordine,senza
aspettare,quindi,la sentenza della Magistratura, può
(DEVE) emettere le cosiddette ” interdittive antimafia
” e,con queste,impedire che un’impresa mafiosa si
aggiudichi lavori pubblici di ogni genere,piccoli o
grandi,anche quelli, cui si ricorre spesso per bypassare

le norme, di “somma urgenza” e dello
“spezzettamento”.
Ma per ottenere le informative,é necessario che egli
attivi il Questore ed i Comandanti provinciali della
Guardia di Finanza e dei Carabinieri fornendo ad essi
gli elenchi delle ditte sulle quali é necessario indagare.
Nessuno lo fa e chi eventualmente dovesse azzardarsi
a farlo,probabilmente,visto il clima esistente in
Italia,difficilmente riscuoterebbe le lodi del potere
centrale.
Ecco,questo é un punto nodale che va sciolto e sul
quale associazioni antimafia serie e gruppi
parlamentari altrettanto seri debbono prendere in
esame e tentare di sciogliere cercando di svincolare i
Prefetti dal “potere” con la costituzione di un loro
organo di autogoverno,così come ce l’hanno i
Magistrati con il CSM.
Se i Prefetti,tutti e non solo qualche “pecora
nera”,applicassero la legge e facessero quello che
questa impone loro,la mafia finirebbe di accaparrarsi
tutto distruggendo l’economia legale e sana e
soppiantandola con quella criminale.
Non avremmo più quegli scandali che abbiamo visto e
stiamo vedendo tutti i giorni  a Venezia con il Mose,a
Milano con l’Expo,a Roma con Mafia Capitale dove
centinaia e centinaia di imprese in odor di mafia si
sono aggiudicati  e si aggiudicano lavori per milioni e
milioni di euro.

E chissà quante altre imprese del genere ci sono in
tutta Italia,dai comuni più grandi a quelli più
piccoli,compresi quelli in cui ognuno di noi risiede.
Ordunque,va detto che se ormai in ogni angolo d’Italia
troviamo mafiosi padroni anche dell’aria che
respiriamo,le responsabilità sono,oltre che di gran
parte della  gente che é disinformata,ignorante e
vile,dei Prefetti che sono l’espressione di quel “potere”
che vuole che le cose vadano così come vanno.
Sono pochi quelli che escono dal coro e per questo
pagano prezzi salati.
Per giudicare se un Prefetto faccia o non faccia il
proprio dovere la prima domanda da fargli  é ,quindi,
la seguente:
“QUANTE INTERDITTIVE ANTIMAFIA HA
EMESSE IN  UN ANNO ???????????”.
Dal numero che ti dice capisci subito se è un Prefetto
che fa parte o meno del sistema.
Cominciamo da oggi una martellante campagna di
controinformazione  rendendo note le operazioni che
sono state fatte contro le mafie regione per regione in
modo da togliere ogni alibi a chicchessia in ordine
all’efficienza o meno degli apparati locali.
Cominciamo dalla Capitale.

MAFIE NELLA CAPITALE.

ED IL PREFETTO DICEVA CHE ……….” ROMA E’
LA CITTA’ PIU’  SICURA D’ITALIA”!!!!!!!!!!!!!!…..
RIMUOVETE SUBITO QUEL PREFETTO

ARTICOLI.Mafie nella e della Capitale. Autoctone,con diffusi e forti agganci con la politica e le
istituzioni,potenti,padrone di immensi patrimoni,sempre ignorate e non perseguite fino a qualche
anno fa,hanno avuto modo di impadronirsi di quasi tutto.Ora dopo l’arrivo nella Capitale del
Procuratore Pignatone é stato alzato il coperchio della pentola e sta venendo fuori la monnezza

Dopo Mafia capitale e i clan di Ostia, ecco la camorra autoctona riunita intorno a Domenico
Pagnozzi detto «Mimì ‘o professore» considerato il capo dei «napoletani di Roma» che
gestiscono il malaffare lungo la via Tuscolana e una vasta area a sud della città
Corriere della Sera, mercoledì 11 febbraio 2015
Sessantuno ordini d’arresto per smantellare «un sistema organizzato di criminalità importato
dall’interno delle viscere dell’ hinterland camorristico», scrive il giudice delle indagini preliminari.
È la conclusione di un’operazione condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri per una lunga
teoria di reati: traffico di droga, estorsioni, rapine, usura, riciclaggio, intestazione fittizia di beni. E
associazione mafiosa; la terza svelata a Roma nel giro di due mesi, tra retate e condanne di primo
grado. Dopo Mafia capitale e i clan di Ostia, ecco la camorra autoctona riunita intorno a Domenico
Pagnozzi detto «Mimì ‘o professore» o «Occhi di ghiaccio», già legato al gruppo di Michele
Senese, (da pochi giorni costretto al carcere duro), considerato il capo dei «napoletani di Roma» che
gestiscono il malaffare lungo la via Tuscolana e una vasta area a sud della città.
All’improvviso, tra un blitz e una sentenza, la capitale d’Italia sembra divenuta capitale anche del
crimine di stampo mafioso, quasi più di Palermo o Reggio Calabria. «Ma qui non c’è un’unica
mafia – spiega il procuratore Giuseppe Pignatone, che proprio in quelle due città del Sud ha speso
un’intera carriera prima di approdare a Roma —, a differenza di quanto accade con Cosa nostra e la
‘ndrangheta, né un’organizzazione egemone come in Campania. Questa città è molto grande,
complessa, con una ricchezza notevole, e offre possibilità di grandi investimenti. Anche illegali. Per
questo è un terreno fertile per organizzazioni criminali diverse fra loro che, scopriamo attraverso le
indagini, hanno le caratteristiche dell’associazione mafiosa disegnata dal codice penale».
L’ultimo gruppo sgominato – quello guidato da Pagnozzi con la collaborazione di un manipolo di
fedelissimi di origine campana come lui e un ex estremista nero romano, particolare che di questi
tempi ricorre spesso – comprava e vendeva stupefacenti, praticava l’usura e gestiva le slot machines
in molti locali «avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo», indirizzata «verso i
terzi e nei confronti degli stessi associati», nonché «della condizione di assoggettamento e di
omertà». Napoletani trapiantati a Roma, eredi dell’antica faida tra cutoliani e Nuova famiglia,
sbarcati a Roma con l’obbligo di soggiorno trasformato in occasione di affari, capaci di adattarsi

alle caratteristiche della metropoli.
«Qui non pagano»
Viaggiando in macchina dalle parti della Tuscolana, uno degli organizzatori specializzato nel
«recupero crediti» (leggi estorsioni, secondo l’accusa), spiegava a un amico: «Tutta roba nostra
qua… Ma tengono una brutta usanza… certa gente… Non pagano i magazzini… non vonno pagà». La
frase intercettata dalla microspia significa, nell’interpretazione dei magistrati, che a Roma il
«pizzo» non funziona, a differenza che a Napoli dove i commercianti sono abituati alla tassa
imposta dalla camorra. A Roma no, quindi meglio dedicarsi all’usura. Svelata, fra l’altro, dal
titolare di un night club estromesso dalla gestione del locale dopo che il «creditore» si era rivolto
agli uomini del clan per rientrare dei soldi prestati «a strozzo». Il night è stato sequestrato dai
carabinieri insieme a beni mobili e immobili per un valore complessivo di dieci milioni di euro.
Lo stesso personaggio che si rammaricava dell’assenza del racket, a proposito del rientro dei prestiti
usurai diceva in un’altra intercettazione: «Devono posare i soldi, che oggi non li sconta nessuno…
La mattina stanno dormendo e io vado a prenderli alle sei di mattina da dentro al letto». Nonostante
ciò, riferiscono gli investigatori, Pagnozzi rimproverare ai suoi uomini atteggiamenti troppo deboli
con i debitori: «Li state facendo diventare viziosi. Questo non ve li ha dati… e non sapete neanche
quando ve li dà (i soldi, ndr )… Subito… tra due ore… due ore di tempo si devono togliere il
pensiero… Non si può pazziare sopra ‘ste cose».
Mafie diverse tra loro
Il sistema mafioso sarebbe dimostrato da diversi «dati sintomatici», tra i quali «l’esistenza di una
struttura gerarchica con evidente differenziazione dei ruoli e compiti; la disponibilità di mezzi e
locali, alcuni idonei a custodire la sostanza stupefacente; l’utilizzo di un predefinito linguaggio
convenzionale; l’esistenza di più maglie telefoniche per le conversazioni riservate; l’assistenza
economica e legale a favore dei sodali tratti in arresto e dei loro familiari». Al punto che un giorno
Pagnozzi esplose: «Co’ tutte ‘ste mogli di ‘sti carcerati non ce la faccio più… Cose da pazzi…».
Come spiega il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, anche lui con lunghi trascorsi in
Sicilia e Calabria, questa nuova associazione camorristica «è radicata in una zona di Roma e ha
rapporti con altri gruppi criminali, mafiosi e non. Per il traffico di droga e altre attività». La
differenza con la mafia di Ostia è «che lì c’è un legame più stretto con il territorio, dove si esercita
un controllo quasi totale, secondo i canoni tradizionali». L’organizzazione chiamata Mafia capitale
invece, «non ha un territorio di riferimento, e ha costruito il proprio potere attraverso le relazioni
allacciate nel mondo criminale, imprenditoriale e politico. O si fa quello che dice il capo, oppure ci
possono essere conseguenze, attraverso la violenza o l’estromissione dagli affari». Sono strutture
diverse, chiarisce il magistrato, ma tutte con la medesima caratteristica del «condizionamento,
dell’assoggettamento e dell’intimidazione che deriva dal vincolo associativo». Sono le mafie di
Roma.