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Roma e Lazio con la corda al collo.Mafie a go go.

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03/03/2016 06:11

MAFIA E TERRORISMO

Intimidazioni e paura Roma come Palermo 

Clan, omicidi, droga. Gli affari dei boss 

MILITARI

La «pax mafiosa romana». Il tipico linguaggio criminale – «minacce, intimidazioni e aggressione fisica» – soprattutto di ‘ndrangheta e camorra resta relegato nelle regioni d’origine. Nella Capitale la parola d’ordine è «riciclaggio» e «impresa». In sostanza, il «business».

Questa una delle analisi che fa la Direzione nazionale antimafia nella relazione annuale sui fenomeni in Italia. Il capitolo dedicato al Lazio snocciola le numerose indagini della Procura della Repubblica di Roma, al comando del procuratore Giuseppe Pignatone, che hanno svelato la penetrazione mafiosa nel tessuto «economico-imprenditoriale» romano. Una varietà di organizzazioni criminali cui è stato sferrato un duro colpo nell’anno passato, con il sequestro di beni per 360 milioni di euro. Un inquinamento, dunque, che trova terreno fertile anche nella gestione dei mercati agroalimentari, finiti sotto il controllo delle consorterie. Così, per esempio, si scopre che ‘ndrangheta e camorra hanno interessi nei «due poli costituiti dal Mof di Fondi e dal Car di Guidonia». Ma non solo. Perché «Roma e il Lazio rappresentano “scelte di elezione” per tutte le organizzazioni mafiose che vi inviano propri rappresentanti per curare importanti investimenti». Una vera e propria «migrazione» nella Capitale d’Italia che si basa anche su una rete di intermediari finanziari e professionisti che si piegano alle attività di riciclaggio dei clan. Un «equilibrio» mafioso che s’è formato dopo la “caduta” della Banda della Magliana. Lo dicono gli stessi magistrati della Dna, coordinata dal procuratore Franco Roberti, secondo cui «dopo la Banda della Magliana nessuna aggregazione criminale ha mai assunto un atteggiamento egemone sulle altre». A Roma, dunque, non c’è un capo. Ma si sovrappone e si mischia il business e il reinvestimento delle storiche consorterie mafiose. A questi vasti interessi è esclusa la «malavita romana», la quale resta «impegnata nelle attività di usura, gioco d’azzardo e commercio di stupefacenti». Un tessuto criminale che, quindi, non «appare radicato e strutturato» e che «non ha mai manifestato una specifica inclinazione alle attività di reinvestimento», come nel caso dei Casamonica che «non hanno a carico sentenze di condanna per mafia» ma che appaiono «operanti in varie zone della Capitale e del Lazio». Fatta eccezione per il clan Fasciani. Nell’atto si legge che la forza di intimidazione della consorteria criminale, capeggiata da Carmine Fasciani, emerge «dall’assenza di denunce e dal tenore delle dichiarazioni rese a seguito degli atti intimidatori posti in essere». Attorno al gruppo, radicato a Ostia, si attesta «un generalizzato e diffuso clima di paura, che investe pesantemente e coinvolge la società civile, e denota come l’associazione del Fasciani ha già realizzato un profondo inquinamento del territorio, assoggettandolo al suo dominio criminale e devastandolo nella sua legalità».

Il sostituto procuratore antimafia Diana De Martino, relatrice della Dna per Roma, fa una analisi anche del fenomeno corruttivo, altra grave piaga capitolina. Il magistrato afferma che «l’ampia risonanza dell’inchiesta Mafia Capitale non inciso in modo significativo nel fondamentale settore degli appalti e degli affidamenti pubblici, e non ha costituito un deterrente per il ricorso alla corruzione». Al di là del grave coinvolgimento di esponenti politici e di funzionari del Comune capitolino, la Dna ricorda anche la pericolosa organizzazione criminale che si era formata negli uffici romani dell’Anas. Un gruppo capeggiato da Antonella Accroglianò, soprannominata la “dama nera”. Un dirigente che sarebbe stato, tra l’altro, in stretto contatto con la ‘ndrangheta, la quale mirava alle ricche commesse dell’azienda pubblica.