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Rocco Gatto: il mugnaio rosso che non aveva paura della ‘ndrangheta

Rocco Gatto: il mugnaio rosso che non aveva paura della ‘ndrangheta

Non si era piegato al potente clan degli Ursini. Che alla sua denuncia rispose con tre colpi il 12 marzo di 45 anni fa, trasformandolo in un simbolo di riscatto. Gioiosa Jonica fu il primo Comune d’Italia a costituirsi parte civile contro la mafia. Ma l’accusa di omicidio cadde per insufficienza di prove

Vincenzo Imperitura

11 Marzo 2022

«È venuto uno e mi ha chiesto la mazzetta, i soldi. E io non glieli ho dati. Qualcuno invece paga e non dice niente: non c’è unità nella lotta a questa gente. Io, da parte mia, li lotto sempre, fino alla morte». Quando Rocco Gatto racconta allo sbigottito inviato Rai come ci si oppone alla mafia nella Gioiosa del 1976, le coppole storte agli ordini di Vincenzo Ursini gli hanno già bruciato il mulino e la casetta sulle colline di Cessarè. Gli hanno fatto sparire gli orologi che amava riparare nei ritagli di tempo. Gli hanno fatto sentire quanto pesi, nella Calabria di quei tempi, mettersi di traverso agli ordini di una mafia che ha già fatto il grande salto verso i traffici di droga e i sequestri di persona.

È un periodo duro quello a metà degli anni ’70 in questo pezzo di Calabria: la prima guerra di ‘ndrangheta è ancora in pieno svolgimento. Gli equilibri cambiano, i morti ammazzati si contano a decine in tutto il reggino. A Gioiosa il bastone del comando lo ha preso il clan degli Ursini: feroci e famelici, agli ordini del capobastone Vincenzo, i picciotti puntano le terre migliori del paese, quelle di Cessarè. Vogliono quei terreni, li pretendono. Iniziano uno stillicidio di richieste e intimidazioni. I campi coltivati sono devastati dalle mandrie di vacche sacre lasciate libere dagli uomini del clan. Una situazione asfissiante.

Gioiosa e il sindaco Modafferi

Ma quelli sono anche mesi di grandi fermenti politici e culturali. E Gioiosa ne è attraversata in pieno. Sindaco della cittadina jonica è Ciccio Modafferi, intellettuale arguto e dirigente del Pci: incurante delle minacce subite, Modafferi si mette alla testa dei cittadini che reclamano giustizia e insieme a sindacati, parrocchie, alleati e avversari politici proclama lo sciopero generaleNel dicembre del 1975, per la prima volta nella storia, un paese calabrese si ferma per protestare contro la ‘ndrangheta.

Rocco Gatto è in prima fila in quel giorno di presa di coscienza collettiva. E lo sarà nei mesi a seguire, quando continuerà a scacciare dal suo mulino gli sgherri del clan che pretendono il pizzo dal suo lavoro e quando, decretando così la sua condanna a morte, denuncerà ai magistrati i mafiosi che volevano chiudere la città per il lutto del loro capo.

Rocco Gatto e il clan Ursini

Rocco Gatto ha poco più di cinquant’anni, è il primo dei dieci figli di Pasquale, classe 1907, contadino e stalinista. Dal padre ha ereditato la passione per la politica e il rigore sul lavoro e nella vita. Entra da giovanissimo come tuttofare in un mulino di Mammola e piano piano riesce a mettere da parte i soldi per mettersi in proprio. Attivista politico e antimafioso coriaceo, è convinto che non bisogna mai abbassare la testa alle prepotenze della ‘ndrangheta. Idee pericolose che il mugnaio comunista mette in pratica contrastando e denunciando gli uomini del clan – figli della sua stessa Gioiosa – che strozzano il paese.

Nonostante la manifestazione, infatti, gli Ursini continuano a taglieggiare i commercianti e ad accumulare potere e ricchezze. Quando, nel novembre del 1976, Vincenzo Ursini viene ammazzato in uno scontro a fuoco con i carabinieri del capitano Niglio, il clan decide di rispondere nel più eclatante dei modi all’attacco dello Stato.

Chiuso per lutto

È la notte tra il 6 e il 7 di novembre. Tra poche ore gli ambulanti di mezza provincia converranno a Gioiosa per il tradizionale mercato della domenica. Non ci arriveranno mai. Gli Ursini hanno presidiato tutte le vie d’accesso in città, obbligando con le minacce i malcapitati ambulanti ad una frettolosa marcia indietro. Quel giorno il paese deve considerarsi chiuso per lutto, in onore del mammasantissima ammazzato dai carabinieri. Un ordine perentorio che, con una deriva inarrestabile, si muove dalla periferia fino al centro: anche i negozi del paese devono tenere le serrande abbassate.

Gli uomini degli Ursini non sono gli unici però a muoversi in quelle ore. Anche Rocco Gatto sta facendo i soliti giri mattutini legati alla raccolta del grano e si accorge di quei movimenti strani sulle vie d’accesso a Gioiosa: riconosce gli sgherri del clan che impongono la chiusura ai negozianti e non ci pensa due volte. Telefona ai vigili urbani, avvisa i carabinieri che intervengono per fare riaprire almeno i negozi cittadini, non si nasconde, in pubblico dice «li spezzo».

Rocco Gatto deve morire

Tutti in paese sanno chi è stato a denunciare. Anche gli Ursini lo sanno. Passano le settimane, le minacce di fanno ancora più insistenti, ma Gatto non demorde e pur consapevole di cosa lo aspetti, nel febbraio del 1977 firma davanti ai magistrati di Locri, la denuncia contro i setti picciotti che è riuscito a riconoscere. Nessun altro lo farà.
Ormai è solo questione di tempo prima che il clan faccia la sua mossa, anche Rocco lo sa. Da qualche giorno ha preso a portarsi dietro il suo fucile da caccia con il colpo in canna, nei suoi giri per le campagne della Locride. La mattina del 12 marzo del 1977 – 45 anni fa – due uomini aspettano il suo furgoncino carico di sacchi di grano dietro una curva della vecchia provinciale che porta verso Roccella. Lo colpiscono tre volte: per il mugnaio che si era opposto alla ‘ndrangheta non c’è scampo.

La riscossa: il primo Comune parte civile contro i clan

L’omicidio di Rocco Gatto lascia ferite profonde in quelli che avevano creduto nel cambiamento. Ma non ferma quel sentimento di rivalsa contro le prepotenze della mafia che era maturato negli anni precedenti. A tenere alta la guardia della società civile ci pensa Pasquale, l’anziano padre di Rocco che da quel giorno e fino alla sua morte, combatterà la sua personale battaglia contro il crimine organizzato: «A uno lo possono sparare, a cento no» dirà davanti alle telecamere di Piero Marrazzo. Le denunce per il raid al mercato intanto sono andate avanti, le indagini dei carabinieri sono state meticolose e si arriva così a processo dove, con un mandato forte dell’unanimità del Consiglio comunale, il sindaco Modafferi, per la prima volta in Italia, si costituisce parte civile contro la mafia in nome del comune di Gioiosa Jonica.

Il quarto stato dell’antimafia

Una svolta epocale che contribuirà a tenere alta l’attenzione degli italiani – anche grazie all’opera del partito e della Cgil – su quel paesino a sud della Calabria che aveva saputo trovare una spinta di innovazione da tutta quella violenza. Quando, esattamente un anno dopo l’omicidio, la Corte d’assise di Locri firmò la condanna per i sette picciotti che volevano chiudere il paese, le vie di Gioiosa accolsero un’altra grande manifestazione. Migliaia di persone da tutta Italia, nella primavera del ’78, arrivarono nella Locride per marciare in ricordo di quel mugnaio coraggioso. In ricordo di quel giorno sulla piazza che la mafia voleva chiusa campeggia il murale del quarto stato dell’antimafia.

Pertini e la medaglia al padre di Rocco Gatto

Anche il processo per l’omicidio di Gatto arriva in tribunale. Alla sbarra ci sono Luigi Ursini e un suo sodale. A sostenere l’accusa non bastano però la forza e la dignità del vecchio Pasquale che racconta in aula di come fosse maturato l’omicidio, indicandone i colpevoli. I due imputati vengono condannati per le violenze subite dal mugnaio, ma l’accusa d’omicidio cade per insufficienza di prove. Nessuno pagherà per la morte di Rocco Gatto. Sarà lo stesso Pasquale a ricordarlo al Presidente Sandro Pertini che, durante la cerimonia ufficiale di consegna della medaglia d’oro alla memoria, mandò al diavolo il cerimoniale per abbracciare quel vecchio ostinato che non si era stancato di combattere.

Fonte:https://icalabresi.it/fatti/rocco-gatto-mugnaio-comunista-non-aveva-paura-ndrangheta/