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Rocco Chinnici, Tescaroli: ”Tra i primi a comprendere unitarietà della mafia”

AMDuemila 30 Luglio 2023

“Il consigliere Rocco Chinnici fu tra i primi a comprendere l’unitarietà del fenomeno mafioso. Egli stava conducendo le indagini, sulle quali lavorò instancabilmente sino a pochi giorni prima di morire, relative al procedimento originato dal famoso rapporto giudiziario congiunto, redatto dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Nucleo Operativo dei carabinieri della stessa città, nato dall’emergenza della c.d. seconda guerra di mafia (depositato il 13 luglio 1982), nei confronti di 162 persone, fra i quali personaggi del calibro di Michele Greco, sino ad allora particolarmente rispettato negli ambienti della “Palermo bene”, di Salvatore Riina, di Bernardo Provenzano, di Giuseppe Calò, di Raffaele Ganci e di molti altri rimasti sino ad allora sconosciuti”.
Così il procuratore aggiunto di Firenze 
Luca Tescaroli, in  un articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”, ha ricordato il giudice istruttore Rocco Chinnici, padre del ‘pool’ antimafia di Palermo e mentore di Giovanni Falcone Paolo Borsellino.
L’inchiesta di Chinnici sfociò “nel mandato di cattura a carico di 14 personaggi, ai quali venivano contestati omicidi strategici per la vita dell’organizzazione, fra i quali, quello ai danni del boss 
Alfio Ferlitto e dei tre carabinieri di scorta, del prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, il tentato omicidio nei confronti di Salvatore Contorno. È proprio attorno a tali inchieste che prese spunto il primo maxi-processo alla mafia siciliana, che portò il 30 gennaio 1992 alla prima grande sconfitta giurisdizionale di Cosa Nostra, con il passaggio in giudicato di numerose condanne, il riconoscimento della sua esistenza quale struttura unitaria e gerarchizzata e delle sue regole. Sin dai primi anni Ottanta, Chinnici aveva percepito la pericolosità e lo spessore criminale degli allora insospettabili cugini Salvo e aveva compreso che la mafia andava contrastata non solo con la repressione, ma diffondendo tra la gente e nelle scuole la cultura della legalità, ritenendo che ciò facesse parte dei doveri di un giudice”.
L’attentato, ricordiamo, avvenne il 29 luglio 1983 in via Pipitone Federico. Un’autobomba telecomandata esplose uccidendo il magistrato e i carabinieri di scorta, il maresciallo 
Mario Trapassi e l’appuntato Edoardo Bartolotta, in attesa sul marciapiede che il giudice entrasse nella vettura blindata per dirigersi al palazzo di giustizia, e il portinaio inerme Stefano Lisacchi. L’abitacolo dell’Alfetta corazzata protesse l’autista Giovanni Paparcuri, che si salvò e divenne uno dei più stretti collaboratori di Falcone e Borsellino.
“L’attentato – ha scritto Tescaroli – era stato preannunciato al capo della Criminalpol del tempo,
 Antonino De Luca, da un libanese legato a vari servizi segreti: Bou Chebel Ghassan. Le ambigue verità di Ghassan portarono alla celebrazione di sette processi e il 19 giugno 1990 giunse la definitiva assoluzione della Cassazione. Si dovette attendere il 7 giugno 1996 perché una nuova luce venisse irradiata sulla verità e oggi il delitto ha dei perché e i responsabili hanno un volto grazie al fondamentale apporto di quattro collaboratori di giustizia. Nel corso di una serata, al termine di un’udienza del processo per la strage di Capaci, Calogero Ganci mi manifestò la volontà di collaborare. Lo raggiunsi di lì a poco nel carcere di Caltanissetta, e si accusò, tra l’altro, di aver partecipato all’uccisione di Rocco Chinnici. Seguirono, poi, le confessioni di Giovan Battista Ferrante, di Francesco Paolo Anzelmo e di Giovanni Brusca. E fu proprio Brusca ad assemblare il congegno per azionare la potente carica esplosiva. Antonino Madonia pigiò il telecomando”.
Le condanne dei responsabili sono state confermate dalla Corte di Cassazione il 21 novembre 2003.
Le sentenze in questione rivestono un’importanza storica in quanto non si limitarono solo a condannare i ‘soliti’ mafiosi, ma per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana colpirono anche i ‘mandanti esterni’.
Per Tescaroli, l’uccisione di Chinnici era stata dettata da “finalità preventive che incisero in modo ancor più determinante nella decisione di eliminarlo. Era stato compreso il grave pericolo derivante dalle fondamentali intuizioni e dal lavoro svolto dal magistrato, orientato all’individuazione dei veri capi mafia e ai loro rapporti con esponenti del mondo finanziario e politico – fra i quali i cugini Salvo, i baroni del sistema privatizzato di riscossione delle imposte – anche attraverso l’adozione di tecniche investigative di tipo bancario e patrimoniale, per l’epoca innovative, mirate a verificare i collegamenti tra i vari esponenti mafiosi”.

tratto da: ilfattoquotidiano.it

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fonte:https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/96768-rocco-chinnici-tescaroli-tra-i-primi-a-comprendere-unitarieta-della-mafia.html