Roberto Scarpinato: ”Sulle scarcerazioni errori del Dap e dei giudici”
“Pagata la mancata programmazione. Ora i decreti portano un rimedio”
di AMDuemila
14 Maggio 2020
“I decreti legge del 30 aprile e del 10 maggio 2020 contenenti misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario ed emanati dopo le polemiche seguite ai provvedimenti che hanno concesso la detenzione domiciliare a numerosi esponenti della criminalità mafiosa, hanno effettuato un semplice resettaggio del sistema, rendendo cogenti e meglio specificando procedure che in buona misura avrebbero potuto essere attuate anche in precedenza, minimizzando così problemi che si sono verificati a causa più di deficit gestionali che di carenze di legge”. Inizia così un articolo, pubblicato oggi da Il Fatto Quotidiano, a firma del Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, in cui affronta il problema delle carceri e il tema di quest’ultimo mese: lo scandalo delle scarcerazioni di boss mafiosi detenuti in regime di alta sicurezza e 41 bis che ci sono state in questi mesi. Nell’articolo il magistrato evidenzia l’importanza degli ultimi decreti che vanno a porre un rimedio alla falla che si era creata approfittando dello stato di emergenza sanitaria del coronavirus.
Infatti, dà atto che “l’art. 2 del decreto legge del 10 maggio dispone che il Dap deve monitorare in modo costante la disponibilità di strutture penitenziarie e di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato può proseguire la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute, fornendo così all’Autorità giudiziaria informazioni indispensabili per decidere sulle istanze di ammissione alla detenzione domiciliare, da disporsi solo nei casi nei quali viene comunicata l’indisponibilità di tali strutture”. Al tempo stesso però sottolinea come “in realtà tale monitoraggio poteva e doveva essere attuato anche prima”.
Anche perché già la legge dell’ordinamento penitenziario (art.11) disponeva che “nel caso di diagnosi anche sospetta di malattia contagiosa sono messi in atto tutti gli interventi di controllo per evitare insorgenza di casi secondari, compreso l’isolamento”.
Secondo Scarpinato, dunque, “nel momento dell’insorgenza della pandemia da Covid-19, la Direzione del Dap avrebbe dovuto effettuare una ricognizione in campo nazionale di tutte le strutture penitenziarie e dei reparti di medicina protetta nei quali – anche mediante trasferimenti e riallocazioni – era possibile assicurare la prosecuzione della detenzione in condizione di sicurezza per i soggetti che, essendo affetti da particolari patologie, erano più esposti a gravi complicanze in caso di contagio”.
L’errore del Dap
Soltanto dopo questo importantissimo passaggio il Dap “avrebbe potuto segnalare all’Autorità giudiziaria i casi che non erano gestibili con le risorse disponibili e per i quali, dunque, si profilava la necessità di soluzioni alternative quali il ricovero in strutture sanitarie esterne o la detenzione domiciliare da attuarsi con tutte le cautele necessarie in considerazione delle peculiarità criminologiche dei soggetti interessati”.
Anche il Procuratore generale palermitano ha evidenziato come la direttiva del 21 marzo 2020, abbia in qualche modo favorito la fuoriuscita dei detenuti ultra settantenni e con particolari patologie che ne aumentavano il rischio contagio. “Così, senza alcuna pianificazione e senza alcun preavviso preventivo, da un giorno all’altro, l’Autorità giudiziaria è stata subissata di segnalazioni di tale tipo da parte dei direttori degli istituti penitenziari, di cui non si comprendeva l’origine e lo scopo. Come dovevano intendersi quelle segnalazioni? Come implicite e generalizzate richieste di differimento dell’esecuzione della pena e di ammissione al regime di detenzione domiciliare per l’accertata e documentata indisponibilità in sede locale e nazionale di reparti di medicina protetta e di strutture penitenziarie dove garantire l’isolamento?”.
Scarpinato racconta anche che su quella circolare furono “chieste spiegazioni” e si apprese “con stupore che in realtà non era stato effettuato alcun monitoraggio preventivo di tali risorse interne, e che, dunque, i nominativi venivano segnalati sic e simpliciter con una sorta di partita di giro che scaricava interamente sull’Autorità giudiziaria compiti che il Dap non aveva assolto prima e che in taluni casi eclatanti – come la vicenda che ha portato alla ammissione alla detenzione domiciliare del boss Pasquale Zagaria – non ha assolto neppure dopo, quando a fronte di reiterate e urgenti richieste di informazioni da parte della magistratura di sorveglianza, è rimasto inerte rispondendo in ritardo e fuori tempo massimo”.
Altro aspetto negativo il fatto che quella direttiva del Dap non fu comunicata alla Procura nazionale antimafia, fino al 21 aprile 2020. Un vulnus che non ha permesso di monitorare le istanze e di “canalizzare sull’Autorità giudiziaria informazioni indispensabili per decidere con piena cognizione sulle istanze presentate, avendo riguardo all’attualità dei collegamenti con il crimine organizzato e alle specifiche misure da adottare per limitare, pur nella detenzione domiciliare, i rapporti con l’esterno”.
Da questo punto di vista è stato accolto con favore il decreto legge del 30 aprile che ha reso obbligatorio il parere preventivo delle Dda e della Procura nazionale antimafia.
Le responsabilità dei giudici
Scarpinato non ha mancato di evidenziare anche “i deficit” della magistratura di sorveglianza competente per i condannati e l’autorità giudiziaria competente per gli imputati in specifici casi dove “sono stati invece assunti provvedimenti sbrigativi che senza essere preceduti da una adeguata istruttoria mediante la preventiva acquisizione di informazioni presso il Dap e presso la magistratura antimafia, hanno disposto l’ammissione alla detenzione domiciliare di pericolosi esponenti della criminalità organizzata nei territori di provenienza ove avevano spadroneggiato, pressoché esclusivamente sul presupposto della inconciliabilità del regime detentivo in carcere con il pericolo del contagio da coronavirus”.
Scarpinato ha dunque preso in esame il caso clamoroso di Francesco Bonura, ex detenuto al 41 bis, rispedito a Palermo e persino “autorizzato ad uscire dal domicilio per accompagnare i propri familiari dal dentista o in altre visite mediche, e a recarsi fuori Palermo per partecipare a matrimoni, battesimi, funerali, nonché ai festeggiamenti del ’25 e 26 dicembre, della domenica di Pasqua e lunedì dell’Angelo’. In sostanza un brusco passaggio da un rigoroso regime di isolamento determinato dalla diagnosi di pericolosità per l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata a una vita di piena socialità, che non ha alcuna connessione con l’esigenza di tutela della salute e che mette gratuitamente a rischio la sicurezza della collettività e la fiducia nello Stato”.
Secondo il Procuratore generale l’emergenza sanitaria ha colto impreparati tutti, al punto che non è mancata “qualche caduta e sbandamento”. Tuttavia, con i nuovi provvedimenti si può dire che “la situazione è stata ripresa in tempo e appare sotto controllo”.
La questione carceraria
Quanto avvenuto deve comunque portare ad una riflessione e secondo Scarpinato si deve guardare al passato ma con una proiezione che vada verso il futuro, in quanto i problemi in seno alle carceri sono diversi e si è in presenza di numeri della popolazione carceraria che, di fatto, è la stessa degli inizi del Novecento. “Come attestano le statistiche del Dap – conclude Scarpinato – sulla composizione sociale della popolazione carceraria, oggi come ieri come l’altroieri, in carcere a espiare la pena finisce quasi esclusivamente chi occupa i piani più bassi della piramide sociale. Il numero dei colletti bianchi è talmente esiguo da non essere neppure statisticamente quotato. Forse questo è uno dei motivi dell’eterna irresolubilità della questione carcere, che si trascina da più di un secolo di emergenza in emergenza, da amnistia ad amnistia, da indulto a indulto, da uno svuotacarceri a un altro, lasciando inalterate le condizioni di invivibilità e di sovraffollamento di sempre, riservate solo ai piani bassi e specchio fedele delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali fuori dal carcere”.