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RITRATTI DI SANGUE | Pasquale Condello, il “Supremo” della ‘ndrangheta

Fedelissimo dei De Stefano, poi loro acerrimo nemico in una guerra che ha provocato oltre 700 morti. Una carriera costellata da omicidi e iniziata quando era ancora minorenne, fino a diventare uno dei capi più carismatici della criminalità calabrese

Claudio Cordova

25 Febbraio 2023

Una volta, in aula, in un procedimento pubblico, un collaboratore di giustizia ammonì il pubblico ministero che lo interrogava: «Dottore, Pasquale Condello non è chiamato “Il Supremo” a caso» disse, in maniera più o meno letterale. No, nella ‘ndrangheta i soprannomi non sono mai casuali. Ed è la storia criminale a parlare per Condello, uno dei capi più carismatici che la ‘ndrangheta abbia mai avuto.

Pasquale Condello e l’omicidio di don ‘Ntoni Macrì

C’era anche lui nel gennaio del 1975, quando finisce la vita terrena e il comando mafioso del boss sidernese, don ‘Ntoni Macrì, esponente della vecchia ‘ndrangheta, che sarà spazzata via, nel corso della prima guerra tra cosche degli anni ’70. È il pentito Giacomo Lauro, nel proprio memoriale a ricostruire gli eventi di quel 20 gennaio 1975: «Macrì aveva appena terminato una partita di bocce presso il campo di Siderno e si accingeva in compagnia di Francesco Commisso inteso “u quagghia“, a far rientro presso la sua abitazione, quando nell’atto di salire sulla vettura di quest’ultimo, una Renault 5, venne affrontato, a viso scoperto, da Pasquale Condello e Giovanni Saraceno, i quali esplosero al suo indirizzo più colpi di pistola, uccidendo Macrì e ferendo gravemente il suo braccio destro, Francesco Commisso».

Sul posto vennero rinvenuti e repertati 32 bossoli di arma da fuoco corta di vario calibro, appartenenti verosimilmente a quattro armi. Stando al racconto di Lauro, i killer sarebbero giunti sul posto a bordo di un’Alfa Romeo Giulia, rubata a Reggio Calabria, nella zona del tribunale e custodita a Locri dal clan Cataldo. Il gruppo dei killer dopo l’omicidio avrebbe proseguito il proprio viaggio verso Gioiosa Marina trovando rifugio presso il clan Mazzaferro, alleato dei De Stefano.

La riunione del “Fungo”

Dettagli che, a dire di Lauro, avrebbe appreso dallo stesso Pasquale Condello durante la comune detenzione presso il carcere di Reggio Calabria: «Condello si abbandonò a questa e ad altre confessioni in quanto indignato per l’ingratitudine della famiglia De Stefano, che gli aveva scatenato contro una guerra nonostante la fedeltà da lui dimostratagli in circostanze significative quali quella dell’omicidio Macrì».

Sì, perché per anni Pasquale Condello è stato uno degli uomini più vicini a Paolo De Stefano. C’era anche lui, nell’aprile del 1975, circa tre mesi dopo l’omicidio Macrì, all’ormai celeberrima riunione romana presso il ristorante Il Fungo”, del quartiere EUR. Lì ci sono pezzi della banda della Magliana, come Giuseppe Nardi e Gianfranco Urbani, detto “Er Pantera”. Ma anche soggetti di primissimo livello (seppur giovanissimi) all’interno della ‘ndrangheta. Da Paolo De Stefano a Giuseppe Piromalli. E poi lui, Pasquale Condello, che in quel periodo non è ancora “Il Supremo”.

Le forze dell’ordine si appostano per arrestare il latitante Saverio Mammoliti, che avrebbe dovuto partecipare ad una riunione mafiosa. De Stefano, Piromalli, Condello e Nardi erano giunti su un’autovettura Mercedes e sia Condello che Piromalli si erano allontanati dal luogo di soggiorno obbligato rendendosi irreperibili. Il secondo era in possesso di una banconota da 50.000 lire proveniente dal sequestro di Paul Getty.

L’alleanza si rompe

Un rapporto duraturo, che, di fatto, si incrina nei mesi antecedenti a quella che sarà la sanguinosissima seconda guerra di ‘ndrangheta, che lascerà sull’asfalto oltre 700 vittime tra il 1985 e il 1991. In quel periodo, infatti, si celebra il matrimonio fra Giuseppina Condello ed Antonino Imerti. La prima è la sorella di Pasquale Condello, il secondo è il boss di Fiumara di Muro. Ciò determina la nascita di un’alleanza tra queste due famiglie delle quali, in special modo, quella di Imerti era estranea al territorio reggino poiché esercitava la propria egemonia esclusivamente a Villa San Giovanni e dintorni.

Paolo De Stefano avverte subito il pericolo di una simile unione matrimoniale che determina nuove alleanze mafiose e la conseguente crescita del gruppo Condello, il cui capo Pasquale già da tempo rivendicava una maggiore autonomia sui “locali” di Mercatello e di Archi Carmine.

La seconda guerra di ‘ndrangheta

Il matrimonio che avvicina le famiglie Condello e Imerti segna uno spartiacque fondamentale. Da quel giorno, il malumore di don Paolino De Stefano cresce in maniera veloce e inesorabile. Il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro racconta che De Stefano affermava che «dopo il matrimonio contratto da Nino Imerti con Giuseppina Condello, i medesimi erano diventati arroganti ed irriguardosi nei suoi confronti». Da quel giorno, infatti, Nino Imerti manifesta un’evidente insofferenza rispetto all’autorità di quello che, fino al momento, è stato il capo incontrastato della ‘ndrangheta reggina, Paolo De Stefano, cominciando a gestire autonomamente taluni affari nel territorio di Villa San Giovanni.

La famiglia De Stefano risponde a stretto giro con un altro matrimonio” di prestigio”: Orazio De Stefano, fratello di Paolo, sposa Antonietta Benestare, nipote di Giovanni, Giuseppe e Pasquale Tegano. Le alleanze si fanno a suon di matrimoni, come in una realtà arcaica: e quella con i Tegano non è un’alleanza da poco. La frattura tra i due clan, i De Stefano e gli Imerti, con il passare dei giorni si acuisce, senza possibilità di ricongiungimento. D’altra parte, se la famiglia De Stefano, comandata da don Paolino, è una potenza assoluta, quella degli Imerti non è da meno.

La guerra è quindi alle porte. A contrapporsi, lo schieramento che faceva capo ai De Stefano-Tegano, da un lato e i Condello-Imerti, dall’altro. Sono proprio quelli gli anni in cui Pasquale Condello si guadagna l’appellativo di “Supremo”. A ciò, evidentemente, contribuisce il fatto che, per decenni, rimane uno dei boss liberi e latitanti. Tutto questo crea attorno a lui un’aura di mistero e di invincibilità anche negli anni della pax mafiosa.

Pasquale Condello, il “Supremo” della ‘ndrangheta

In quegli anni, Condello diventa il “Supremo”. Ordina omicidi, anche omicidi “eccellenti” e rocamboleschi. Su tutti, quello del figlio naturale di don Mico Libri, Pasquale, alleato dei De Stefano. Il 19 settembre 1988, Pasquale Libri viene ucciso con un colpo di fucile di precisione all’interno del carcere di Reggio Calabria. I sicari si appostano sul terrazzo di uno stabile in costruzione, in un luogo che si affaccia sul cortile del penitenziario. La vittima viene raggiunta in pieno viso, esattamente all’altezza della narice sinistra, da un proiettile, non appena discesi i gradini d’ingresso al cortile esterno.

Le indagini riconducono immediatamente la causale dell’omicidio alla guerra di mafia all’epoca in corso tra le cosche reggine. Autore del delitto, su ordine proprio del “Supremo”, sarebbe stato Giuseppe Lombardo (poi divenuto collaboratore di giustizia), detto “Cavallino” per l’attitudine sinistra di inseguire e finire le proprie vittime. O quello dell’ex presidente delle Ferrovie, il politico democristiano Lodovico Ligato, da sempre ritenuto vicino alla cosca De Stefano, freddato sull’ingresso della propria residenza estiva a Bocale, località balneare alle porte di Reggio Calabria. Al termine di un complesso iter giudiziario verranno condannati Pasquale Condello, “il Supremo”, Santo Araniti e Paolo Serraino come mandanti, mentre Giuseppe Lombardo, “Cavallino”, verrà ritenuto uno degli esecutori materiali dell’agguato.

L’incontro con Totò Riina

La guerra di ‘ndrangheta termina nel 1991, dopo l’omicidio del sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Antonino Scopelliti, che avrebbe dovuto sostenere l’accusa nell’atto finale del maxiprocesso a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone. Un omicidio che avrebbe commissionato la mafia in combutta con la ‘ndrangheta, offrendo in cambio il ruolo di garante per la pax mafiosa dopo anni di morti e violenze per le strade di Reggio Calabria e della sua provincia.

E appartiene al mito il presunto incontro che Totò Riina avrebbe avuto con i boss calabresi, tra cui, appunto, “Il Supremo”. Per decidere l’esecuzione del giudice Scopelliti si sarebbero scomodati personaggi di livello criminale immenso. Totò Riina, che peraltro in Calabria era già stato, ad Africo, ospite del “Tiradritto” Giuseppe Morabito, avrebbe raggiunto in motoscafo il boss Pasquale Condello per affrontare l’argomento dell’eliminazione del magistrato

La cattura di Pasquale Condello, “il Supremo”

Tra leggenda e realtà, è lunga l’epopea criminale di Pasquale Condello. Una carriera di sangue nata praticamente da minorenne, che si conclude il 18 febbraio del 2008, allorquando il Ros dei Carabinieri lo scova in un appartamento nella zona di Pellaro, periferia sud di Reggio Calabria. Non un dettaglio di poco conto, dato che, dopo la pax mafiosa, vi sarà sempre maggiore avvicinamento di cosche in precedenza storicamente contrapposte e ad una fattiva alleanza tra di esse. Proprio grazie alle nuove regole sancite dalla pace tra cosche.

Non è un caso, che il “Supremo” venga scovato nel territorio di Pellaro, storicamente sottoposto al controllo mafioso dello schieramento opposto destefaniano. Sarebbe stato Mico Libri, potente boss oggi defunto, a dettare le regole propedeutiche alla pace, che richiedono una previa approvazione di ogni possibile azione delittuosa eclatante.  In nome degli affari. Perché, abbandonate (solo metaforicamente) le armi, Condello ha nei decenni di latitanza allacciato rapporti inconfessabili, con il mondo dell’imprenditoria e della politica.

Fonte:https://icalabresi.it/rubriche/pasquale-condello-il-supremo-della-ndrangheta-ritratto-del-boss/