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RITRATTI DI SANGUE | Mancuso: affari, massoneria, bombe e sangue

Numerosi pentiti sono concordi: nel Vibonese non si muoverebbe una foglia senza l’approvazione dello storico clan. Che tratta da pari a pari coi cartelli colombiani e le più potenti ‘ndrine storiche calabresi. Intrattiene rapporti con la massoneria deviata. Ma non disdegna di mostrare il suo volto più cruento

Claudio Cordova

11 Aprile 2023

Una cosca che appartiene, a tutti gli effetti, al gotha della ‘ndrangheta. Hanno agganci ovunque i Mancuso, capaci di sfruttare quel volto “dolce” della ‘ndrangheta per blandire e colludere utilizzando la massoneria deviata come camera di compensazione. Ma, all’occorrenza, in grado di mostrare il volto più cruento. Sul loro territorio di appartenenza, la provincia di Vibo Valentia, non è inusuale anche l’utilizzo di esplosivi per gesti eclatanti. La prova è data, tra gli altri eventi, l’autobomba che uccide Matteo Vinci.

Come tutte le importanti cosche della ‘ndrangheta, anche i Mancuso hanno costruito molta della propria forza economica grazie al business del traffico di droga. Dialogano da pari a pari con i narcos colombiani e, in generale, con tutto il mondo criminale del Sud America. Già quindici anni fa, nel 2008, una relazione della DIA afferma: «I Mancuso operano nel florido settore del traffico di cocaina, dove sono riusciti ad acquisire un notevole peso, assicurandosi un canale privilegiato con i cartelli colombiani, con i narcotrafficanti spagnoli, spingendosi sino in territorio australiano».

I Mancuso e le altre cosche

Un’inchiesta della Procura di Catanzaro, denominata Black Money, mostra la forza della cosca Mancuso di Limbadi, nel Vibonese, , a pieno titolo tra le più potenti famiglie della ‘ndrangheta di tutte le province calabresi. Nel Vibonese, non si muoverebbe foglia senza il placet dei Mancuso. Esplicativa, in tal senso, la sentenza che sancisce l’esistenza della cosca Fiarè di San Gregorio d’Ippona: «Tutte le cosche insediate sul territorio della provincia vibonese fanno capo all’associazione per così dire maggiore dei Mancuso la quale, nel riconoscere alle varie ‘ndrine minori la dignità di organizzazioni autonome e indipendenti, conferisce loro la legittimazione ad operare».

La potenza economica e militare della cosca Mancuso emerge, inoltre, in alcuni procedimenti penali degli anni ’70 e ’80 che attestano i forti e diretti collegamenti con molte tra le altre cosche di ‘ndrangheta di maggior tradizione mafiosa dell’intera regione. In primo luogo, quelle storiche del reggino, specie della Piana di Gioia Tauro. Ma anche le cosche di più antico potere storicamente radicate nelle altre province. Fortissimi e stabili gli intrecci con le cosche della provincia di Reggio Calabria. In particolare, quelli con Piromalli, i Mammoliti, i Pesce, i Mazzaferro e i Rugolo.
La cosca Mancuso, in una regione all’ultimo posto in Italia nella graduatoria di reddito ed al primo in quella per tasso di disoccupazione, controlla i cantieri, muove gli autocarri, costruisce alberghi, apre negozi ed assume manodopera.

Ciccio Mancuso vince le elezioni

La storia criminale dei Mancuso ha inizio proprio con il loro coinvolgimento nella faida di San Gregorio d’Ippona, con il supporto ai Fiarè contro i Pardea. Siamo nel 1977.
Ma sono gli anni ’80 a consacrare la forza del casato di Limbadi all’interno dello scacchiere ‘ndranghetista. È, infatti, il 
1983 quando viene sciolto il comune di Limbadiprimo centro a subire questo provvedimento, sebbene ancora non vi sia una legge specifica per contrastare le infiltrazioni delle consorterie criminali nelle istituzioni locali.
Lì, a Limbadi, l’allora capobastone 
Ciccio Mancuso risultò (da latitante) il primo degli eletti, spingendo il presidente della Repubblica dell’epoca, Sandro Pertini, a intervenire.

Nel nuovo millennio, numerose le inchieste giudiziarie che mettono sotto la lente d’ingrandimento la cosca di Limbadi. Dall’indagine Dinasty, che tratteggiò le divisioni all’interno del clan, all’inchiesta Decollo, che invece ricostruì l’asse con i Pesce di Rosarno per il traffico internazionale di droga.
Da ultima, ovviamente, l’inchiesta Rinascita-Scott”, con cui la Dda di Catanzaro sta ricostruendo i legami della cosca con il mondo istituzionale e con quello della massoneria deviata. Da qui, tra gli altri, il coinvolgimento dell’avvocato ed ex parlamentare, Giancarlo Pittelli.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

A tratteggiare il ruolo rivestito all’interno della ‘ndrangheta unitaria dalla cosca Mancuso sono numerosi collaboratori di giustizia. I pentiti parlano del ruolo rivestito dalla famiglia originaria di Limbadi fin dagli anni ’70 e ’80. Gli anni, cioè, della prima e della seconda guerra di ‘ndrangheta, che cambiano il volto della associazione criminale calabrese.

Tra gli altri, Francesco Onorato: «Dopo la morte di Paolo De Stefano, furono i Piromalli, in particolare Peppe Piromalli e anche Luigi Mancuso, i referenti di Cosa Nostra in Calabria. Quando dico referenti intendo dire che facevano parte di Cosa Nostra, come Nuvoletta, Zaza e Bardellino in Campania. Ciò mi fu spiegato da Salvatore Biondino. “Fare parte” significava che ci si consultava, ci si scambiava favori, anche omicidi. Per quanto riguarda gli omicidi Cosa Nostra, quando chiedeva un favore ai referenti calabresi o campani, partecipava in prima persona con propri uomini all’esecuzione dei delitti».

Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, uno dei più importanti di quelli di ultima generazione nel Vibonese, afferma che diversi membri della famiglia Mancuso avrebbero il grado di Medaglione”, uno dei più alti all’interno della struttura ‘ndranghetista. E diversi pentiti parlano del ruolo apicale che avrebbe rivestito Luigi Mancuso nel mandamento tirrenico, fungendo da anello di congiunzione tra le cosche del Reggino e quelle della provincia di Catanzaro.

La riunione di Nicotera

Non è un caso e, anzi, è indicativo del ruolo fondamentale rivestito dai Mancuso, il fatto che, nel progettare la strategia della tensione di metà anni ’90, la ‘ndrangheta, nel muoversi come si stava già muovendo Cosa Nostra, abbia scelto, per una delle riunioni più importanti (come sancito dal processo ‘Ndrangheta stragista) proprio il territorio dei Mancuso. È la riunione tra cosche di Nicotera Marina, svolta all’interno del villaggio turistico Sayonara, controllato dalla famiglia Mancuso di Limbadi, legatissima a quella dei Piromalli, come provano diverse sentenze definitive quali Piano verdePorto e Tirreno. Sulla riconducibilità del villaggio turistico ai clan vibonesi riferiscono diversi collaboratori di giustizia. Notoria l’infiltrazione delle cosche vibonesi nelle strutture ricettive di quell’area. Allora, come oggi.

Ragionevole, quindi, che si sia scelto il loro regno per  avere garanzie sul ruolo dell’importante riunione. L’assise criminale in questione ha avuto un altissimo valore strategico essendo, il suo oggetto, proprio la questione stragista. E non a caso, a Nicotera, per interloquire con Cosa Nostra su questa delicatissima questione, vennero chiamati a partecipare tutti i capi della ‘ndrangheta, da Cosenza a Reggio Calabria. Il che, peraltro, rappresenta una ulteriore prova storica della unitarietà della ‘Ndrangheta, ovvero del suo atteggiarsi a forza mafiosa che verso l’esterno si presentava unita e compatta.

I Mancuso e la massoneria

Le intercettazioni svolte hanno evidenziato l’interesse della famiglia Mancuso ad “avvicinare” politici, giudici, esponenti delle Forze dell’Ordine, al fine di ottenere vantaggi, soprattutto di carattere giudiziario o economico. Protagonista è Pantaleone Mancuso, uno degli esponenti più rilevanti della cosca, per la sua peculiare capacità di infiltrarsi, tramite terze persone, in qualificati ambiti sociali, professionali ed istituzionali. Grazie a tali capacità, la cosca ha accresciuto il proprio potere di controllo del territorio e la propria forza di intimidazione nei confronti della popolazione, conscia di essere soggiogata da un’organizzazione mafiosa non solo temibile militarmente, ma anche sorretta da trasversali appoggi esterni.

Vetrinetta”, così viene appellato il boss, mostra di conoscere bene le dinamiche della ‘ndrangheta e, soprattutto, cosa sia diventata. Forse anche in virtù della sua stessa appartenenza alla massoneria: «La ‘ndrangheta non esiste più! Una volta a Limbadi, a Nicotera, a Rosarno, c’era la ‘ndrangheta! La ‘ndrangheta fa parte della massoneria! […] diciamo… è sotto della massoneria, però hanno le stesse regole e le stesse cose […] ora cosa c’è di più? Ora è rimasta la massoneria e quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta! Una volta era dei benestanti la ‘ndrangheta, dopo gliel’hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori… e hanno fatto la massoneria! Le regole quelle sonocome ce l’ha la massoneria, ce l’ha quella! Perché la vera ‘ndrangheta non è quella che dicono loroperché lo ‘ndranghetista non è che va a fare quello che dicono loro […] adesso sono tutti giovanotti che vanno a ruota libera, sono drogati!». Si tratta di affermazioni intercettate di grande valenza, non solo per il contenuto ma, soprattutto, per la caratura del personaggio che le pronuncia, Pantaleone Mancuso: «Ancora con la ‘ndrangheta sono rimasti! È finita! Bisogna fare come… per dire… c’era la “Democrazia”… è caduta la “Democrazia” e hanno fatto un altro partito… Forza Italia, “Forza Cose”… bisogna modernizzarsi, non stare con le vecchie regole! Il mondo cambia e e bisogna cambiare tutte le cose. Oggi la chiamiamo “massoneria”, domani la chiamiamo P4, P6, P9».

Limbadi esplode

Come detto, non è inusuale che, sul territorio della cosca, possano avvenire attentati eclatanti. Il 9 aprile 2018 viene ucciso in contrada Cervolaro a Limbadi Matteo Vinci con una bomba esplosa nella sua Ford Fiesta. Da sempre, sulla morte aleggia l’ombra della ‘ndrangheta e, in particolare, della cosca Mancuso che, secondo l’accusa, sarebbe stata interessata al terreno dei Vinci. Una nebbia mai diradata fino in fondo.

Per l’attentato, infatti, sono stati fin qui condannati in primo grado, come mandanti, Rosaria Mancuso e il genero Vito BarbaraDieci anni sono stati comminati nei confronti di Domenico Di Grillo, 73 anni, marito di Rosaria Mancuso, accusato di tentato omicidio per il pestaggio di Francesco Vinci avvenuto pochi mesi prima rispetto all’esplosione. Ma, in un altro procedimento, è arrivata l’assoluzione per i presunti esecutori materiali dell’omicidio.

Una cosca monolitica, o quasi

Oggi, quindi, i Mancuso sono una delle cosche più importanti della ‘ndrangheta, con un ruolo crescente su mercati lontani dalla Calabria, come la Lombardia o, come documentato dall’inchiesta su Mafia Capitale, su Roma. Potente perché quasi indistruttibile, con il fenomeno del pentitismo che non la scalfisce. O quasi.

Come Tita Buccafusca, moglie di Pantaleone Mancuso, detto “Luni Scarpuni”, che aveva deciso di cambiare vita, di sganciarsi dalla cosca, da quell’uomo di cui si era invaghita, ma che adesso era diventato un cappio. Non sottoscrisse mai i verbali della sua prima e unica notte da donna libera. Tornò a casa, dal marito che, nel frattempo, aveva appreso di questa crepa nella vita di Tita. Morì un mese dopo, per ingestione di acido muriatico. Suicidio, secondo lo stesso Pantaleone Mancuso, che informò i carabinieri del fatto. Fu anche indagato per istigazione al suicidio. Punito per vari reati, si trova oggi al 41bis. Non per quello, però.
Chi, invece, i verbali li ha sottoscritti è Emanuele Mancuso, il primo pentito con il cognome Mancuso della storia. Ha raccontato e sta raccontando le cose del clan che, come nelle tradizioni della ‘ndrangheta più alta, sono cose di soldi e di sangue.

Fonte:https://icalabresi.it/rubriche/cosca-mancuso-affari-massoneria-bombe-e-sangue/