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RITRATTI DI SANGUE | Faide, affari e finti pentimenti: storia di Nicolino Grande Aracri

Amicizie impensabili. Soldi e sangue a fiumi. Lo chiamano “Il Professore” o “Mano di gomma”. E ha trasformato l’Emilia Romagna in una provincia di Crotone

Claudio Cordova

7 Febbraio 2023

«In Emilia Romagna le mafie sono figlie adottive». Così, appena pochi giorni, fa, il procuratore generale di Bologna, Lucia Musti, definiva la presenza della criminalità organizzata in quella regione. Terra di affari l’Emilia Romagna. Ma anche terra di omicidi e di faide.

Nicolino Grande Aracri: da Cutro all’Emilia Romagna

Se oggi si può parlare di presenza della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, molte delle responsabilità sono in capo a Nicolino Grande Aracri. Il boss venuto da Cutro, in quei luoghi, avrebbe ricreato nell’economia, ma anche nella politica, le medesime dinamiche della casa madre. Lo chiamano Il Professore” o Mano di gomma”.

Quando, nel gennaio 2015, i carabinieri lo arrestano, nel corso di una perquisizione domiciliare rinvengono anche una spada simbolo dei Cavalieri di Malta. È la maxi-inchiesta Aemilia” a mostrare e dimostrare, in tutta la sua ampiezza, la capacità della ‘ndrangheta non solo di penetrare tutti i territori, ma anche di entrare in stanze apparentemente inaccessibili. Da Cutro, paese in provincia di Crotone, Grande Aracri infatti avrebbe costruito un impero in Emilia Romagna, ma si sarebbe mosso in ambienti impensabili, se non si considera la ‘ndrangheta come l’organizzazione criminale più potente d’Italia e tra le più potenti in Europa e al mondo.

Le ingerenze di Grande Aracri, infatti, sono da registrare negli ambienti massonici, ma anche in Vaticano e fino alla Corte di Cassazione. Un’inchiesta mastodontica, quella che svela gli affari della ‘ndrangheta crotonese in Emilia Romagna, con cui gli inquirenti scoprono lucrose operazioni finanziarie e bancarie che alcuni soggetti avrebbero messo in atto per conto di Grande Aracri, ponendosi come intermediari tra questi e altri soggetti estranei all’associazione al fine di consentire l’avvicinamento a settori istituzionali anche per il tramite di ordini massonici e cavalierati.
Ancora una volta la ‘ndrangheta si mostra per quella che è: non solo una banda armata, ma un’organizzazione che ha come proprio principale scopo quello di 
tessere relazioni sociali e istituzionali al fine di arricchirsi e condizionare i territori su cui opera.

Grande Aracri e la massoneria

Come emerge dalle intercettazioni agli atti dell’inchiesta Kyterion”, Nicolino Grande Aracri sarebbe stato molto ben inserito in ambienti massonici, ottenendo anche l’investitura a “Cavaliere”. È lo stesso boss originario di Cutro a confermarlo in una conversazione captata: «Io ho avuto la fortuna di capire certe cose…sia dei Templari…sia dei Cavalieri Crociati…di Malta…la Massoneria di Genova…».
Sono gli stessi soggetti intercettati nell’inchiesta a dar peso al legame tra massoneria e criminalità organizzata: «E lì ci sono proprio sia ad alti livelli istituzionali e sia ad alti livelli di ‘ndrangheta pure».

Il meccanismo è quello che nasce con la Santa”. Grazie alla massoneria, alcuni soggetti, pur se non affiliati alla ‘ndrangheta, sono in grado di assicurare al sodalizio entrature nelle sedi istituzionali più disparate come quelle della Chiesa e della magistratura, per garantire – è scritto negli atti processuali – “pressioni e capacità di intervento circa le vicende processuali degli affiliati”.

Le amicizie romane di Grande Aracri

Grande Aracri avrebbe cercato di aggiustare un processo a Roma per far annullare la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva confermato l’arresto del cognato. Quella sentenza fu effettivamente annullata con rinvio dalla Cassazione, ma gli inquirenti non riusciranno ad accertare il coinvolgimento di un magistrato.

Sempre per aiutare il cognato, Nicolino Grande Aracri avrebbe speso (senza successo, tuttavia) anche le proprie amicizie in Vaticano. L’obiettivo è spostare il parente detenuto dal carcere di Sulmona a quello di Siano, a Catanzaro, in modo tale che fosse più vicino ai familiari: la provincia crotonese, infatti, non dista molti chilometri dal capoluogo di regione. Tramite un’amica giornalista, Grande Aracri prova a intervenire in Vaticano.

La donna, infatti, è in stretto contatto con un monsignore, nunzio apostolico e, nel 1995, “cappellano di sua Santità”. Un prelato che sarebbe capace di smuovere cardinali e non solo. «Il nostro piccolo Giovanni tra una settimana starà vicino casa sua», dice la donna dopo l’incontro, avvenuto in Vaticano. Il monsignore manda anche i saluti alla moglie del detenuto: «Ha detto che è stata generosa e splendida. Gli ha lasciato 500 euro che lui ha preso volentieri per i suoi poveri».

In Emilia Romagna si spara

Non solo affari. Anche sangue. E a fiumi. Nonostante il negazionismo della classe dirigente, in Emilia Romagna la ‘ndrangheta è presente e influente almeno dagli anni ’80Ma è negli anni ’90 che l’Emilia Romagna si trasforma, sostanzialmente, nella provincia di Crotone. Non solo per la presenza delle cosche che, secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia, sarebbe organizzata in cerchi, con un ruolo predominante da parte di Nicolino Sarcone. Ma anche perché, nei primi anni ’90, in Emilia Romagna si spara. Proprio come se ci si trovasse nell’entroterra calabrese.

È il 1992 quando vengono uccisi Nicola Vasapollo e Giuseppe “Pino” Ruggiero. Non a Cutro. Il primo (a settembre) a Pieve Modolena. Il secondo (a ottobre) a Brescello. Proprio sui luoghi di don Camillo e Peppone.
E i 
mandanti sarebbero proprio due tra i boss più carismatici della ‘ndrangheta in Emilia Romagna: Nicolino Grande Aracri e Nicolino Sarcone, che delle cosche di Cutro sarebbe l’avamposto a Reggio Emilia.

Per Grande Aracri la svolta arriva con la carcerazione di Antonio e Raffaele Dragone, i boss crotonesi a cui era inizialmente legato. La scissione con il clan Dragone comincia a maturare proprio in quegli anni fino a sfociare in una vera e propria faida che raggiunge il culmine quando, nel 1999, viene assassinato a Cutro Raffaele Dragone, figlio dell’anziano capobastone. Seguirà una lunga scia di sangue. Tra il 1999 e il 2004 in provincia di Reggio Emilia cadono uccise dodici persone.
Eppure, dovranno passare diversi lustri, con l’inchiesta “Aemilia” prima, curata dal pm Beatrice Ronchi, e con l’inchiesta Grimilde” poi, per poter parlare, con voci negazioniste più blande, di ‘ndrangheta in Emilia Romagna.

Il 19 luglio 2018 la Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha condannato Nicolino Grande Aracri ed il fratello Ernesto, entrambi all’ergastolo. Sentenza divenuta definitiva nel giugno del 2019, per l’omicidio del vecchio capobastone di Cutro, Antonio Dragone, avvenuto nel 2004 nelle campagne del Crotonese, del quale Nicolino Grande Aracri era stato il braccio destro.

Gli affari di Nicola Femia

Nicolino Grande Aracri e Nicolino Sarcone sono forse i due boss maggiormente carismatici della ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Ma non gli unici.
Un nome importante è quello di 
Nicola Femia. Per anni fa girare diversi soldi in quei luoghi, poi lo arrestano e diventa collaboratore di giustizia.
Femia, da ex uomo forte della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, decide di collaborare dopo essere stato pesantemente 
condannato in primo grado per i propri affari illeciti al nord, fatti soprattutto di gioco d’azzardo. L’impero delle slot machine, soprattutto.

Femia ricorda gli anni calabresi e racconta del ruolo avuto da poliziotti, 007 e mediatori nella stagione dei sequestri che ha terrorizzato l’Italia. I protagonisti hanno tanti nomi. Molti, soprattutto se di rango istituzionale, occulti. Altri noti. Come quello del boss Vincenzo Mazzaferro, di cui Femia si definisce uomo riservato”.
Questo ruolo, gli avrebbe consentito di conoscere la 
trattativa che le Istituzioni avrebbero imbastito con la ‘ndrangheta, in particolare per la liberazione di Roberta Ghidini, sequestrata il 15 novembre 1991 a Centenaro di Lonato, in provincia di Brescia, e liberata in Calabria dopo 29 giorni.


Un sequestro per il quale è stato condannato il boss Vittorio Jerinò: quella liberazione sarebbe costata 500 milioni di lire, in una valigetta che avrebbe fatto il giro della Locride tra le mani proprio di Mazzaferro, appositamente fatto uscire dal carcere di Regina Coeli – in base all’oscuro “accordo” – per assolvere tale ruolo. Una delle stagioni più oscure della storia d’Italia, di cui, al momento, si conoscono solo pochi flash, come quelli, inquietanti, spiegati da Femia: «I Servizi ci mangiavano con i sequestri. Se arrivavano cinque miliardi, due miliardi se li prendevano i servizi».

Il finto pentimento di Nicolino Grande Aracri

Anche i protagonisti della ‘ndrangheta emiliana si muovono sempre in ambienti torbidi e occulti. E, stando a quanto sostenuto dagli inquirenti, utilizzano anche i metodi più subdoli della ‘ndrangheta d’élite. Nell’aprile 2021, infatti, è dirompente la notizia del pentimento di Grande Aracri. In tanti sperano che la ‘ndrangheta possa aver trovato il suo Tommaso Buscetta. Un boss di altissimo rango in grado di aprire le porte più inaccessibili sulla struttura della ‘ndrangheta unitaria, ma anche sui suoi riferimenti istituzionali.

L’illusione durerà solo pochi mesi. La collaborazione di Grande Aracri viene gestita dalla Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri, che impiegherà pochi mesi per bollare come inattendibile la scelta e fantasiose le rivelazioni di Grande Aracri e a smascherare la manovra, rispedendolo al 41bis.
Una manovra per incolpare qualche nemico storico, per sminuire i suoi crimini, ma, soprattutto, per salvare la famiglia. La moglie e la figlia, soprattutto. In una relazione depositata, i pm antimafia parleranno anche del sospetto peraltro che l’intento collaborativo celasse un vero e proprio disegno criminoso”.

FONTE:https://icalabresi.it/rubriche/nicolino-grande-aracri-emilia-come-cutro-faide-affari-e-pentimenti/