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Riprende l’attacco alla Giustizia

Intercettazioni, il Pd contro il blitz

Riparte in Commissione giustizia, alla Camera, l’esame del disegno di legge governativo. I democratici sono sulle barricate contro la formula di autorizzazione che subordina l’autorizzazione agli ascolti ai “gravi indizi di colpevolezza”, prefigurando una strozzatura. Spunta anche una norma che rende più facile la rimozione dei pm dalle indagini

Dopo l’ennesima sospensione, la settimana scorsa, dell’esame del disegno di legge sulle intercettazioni in Commissione giustizia alla Camera (di fronte alla spaccatura della maggioranza l’opposizione aveva richiesto la presenza del governo), oggi si è ripreso. L’esecutivo c’era, con il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Partito democratico e Italia dei valori (mai così vicini come su questo tema) hanno dato battaglia da subito, consapevoli che il passaggio dalla dicitura “gravi indizi di reato” a quella “gravi indizi di colpevolezza” per autorizzare l’uso delle intercettazioni telefoniche costituirebbe, di fatto, una strozzatura della possibilità, per i pubblici ministeri, di avvalersi dello strumento. Ma nel disegno di legge governativo si prevede proprio questo.

I dieci deputati democratici membri della Commissione hanno, a poche ore dall’inizio dell’esame del ddl, diffuso una nota comune in cui sintetizzano i motivi del disaccordo. Si legge nel testo: “Il Partito democratico è fortemente contrario al ddl intercettazioni che giudica un provvedimento ‘ammazza indagini’, che mina il sistema investigativo, mette a repentaglio la sicurezza dei cittadini, compromette l’esercizio del diritto di cronaca e non risolve il problema della tutela della privacy”. Per questo il Pd ha presentato “un pacchetto di emendamenti volto che modifica radicalmente l’impianto di un testo che ‘lega le mani’ alla polizia giudiziaria e alla magistratura inquirente”.

L’introduzione dei “gravi indizi di colpevolezza”, dicono i deputati del Pd, “è un’ipotesi gravissima che rivela come il governo e la maggioranza siano disposti a sacrificare uno strumento importantissimo per la ricerca della prova. Questo sull’altare di un astratto concetto di riservatezza perché non introduce una effettiva responsabilizzazione per coloro che hanno accesso alle intercettazioni e non realizza un filtro efficace per evitare che le intercettazioni irrilevanti per le indagini e quelle relative a soggetti estranei alle indagini rimangano segrete e siano distrutte”. In poche parole, la maggioranza si batte per la privacy eliminando direttamente la materia che potrebbe essere divulgata. Incurante del fatto che costituisce un fondamentale strumento di indagine.

Non solo. Scrivono i democratici che il ddl intercettazioni è anche “un attacco al diritto di cronaca e un bavaglio all’informazione: il diritto ad informare e a essere informati viene calpestato perché il governo ha deciso di impedire la cronaca giudiziaria, vietando la pubblicazione (‘anche parziale, o per riassunto o nel contenuto’, e ‘anche se non sussiste più il segreto’) degli atti di indagine fino al termine dell’udienza preliminare”.

Al dissenso generale si è aggiunta nel pomeriggio la critica a un’ulteriore modifica introdotta, tramite emendamento, dall’esecutivo. Secondo il nuovo schema partorito nelle stanze del ministero della Giustizia, se un pm viene indagato per violazione del segreto, il Procuratore della Repubblica ne deve dare notizia all’organo titolare del potere disciplinare, il Consiglio superiore della magistratura. Se questo, nei trenta giorni successivi all’iscrizione nel registro degli indagati, verifica la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità “dispone la sospensione cautelare del magistrato dal servizio o dall’esercizio della professione fino a tre mesi”. Come per i “gravi indizi di colpevolezza”, è bastato cambiare una parola per ottenere un effetto dirompente. Secondo la normativa attuale, infatti, il Csm “può disporre” la sospensione del pm. Con la modifica sarebbe obbligato, teoricamente anche senza il rinvio a giudizio del pm.

Il ministro ombra Lanfranco Tenaglia ha attaccato: “E’ un’impostazione che ci vede completamente contrari perché mina il principio di pre – costituzione del giudice ed è ispirato dalla sfiducia e delegittimazione dell’operato della magistratura”. Per questo, ha aggiunto Tenaglia, “avevamo presentato un emendamento soppressivo di tale norma che, invece, è stato respinto. Così, per limitare i danni stiamo insistendo affinché almeno la sottrazione al pm del procedimento, se indagato per violazione del segreto d’ufficio, non sia automatica, ma subordinata al rinvio a giudizio”.

La maggioranza, nel frattempo, ricompone a poco a poco le proprie fratture. E’ stato accolto un emendamento di uno dei tre dissidenti del Popolo della libertà, Manlio Contento: adesso ci sarà la possibilità di utilizzare “cimici” all’interno di luoghi privati nel caso di indagini relative a reati di mafia e terrorismo e anche se non si è in presenza di una azione criminosa. L’approvazione dell’emendamento introduce dunque una eccezione al testo del ddl che prevede, in tutti le altre indagini, la possibilità di intercettazioni ambientali in un determinato luogo solo nel caso in cui vi sia la certezza che vi si stia compiendo un reato.

Accolta la maggiore tutela per gli estranei al procedimento con l’indicazione del deputato Lo Presti di vietare in ogni caso la trascrizione delle conversazioni su fatti, circostanze e persone che con le indagini non c’entrano. Passa anche l’indicazione, su impulso del Pd, di lasciare sempre il segreto istruttorio sul contenuto delle intercettazioni prese “strascico nella rete” e irrilevanti per il procedimento. Si dovrebbe applicare anche all’archivio Genchi, e comprenderà anche i dati di contorno alle intercettazioni, come i numeri di telefono e gli intestatari.

Tutela per il diritto alla difesa con due proposte dell’opposizione che non consentono l’ascolto e l’acquisizione di dati che riguardano comunicazioni degli avvocati, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, né quelle fra costoro e gli assistiti. Disco verde pure alla proposta che anche il difensore possa chiedere, nel corso delle indagini preliminari, direttamente al fornitore, i dati delle utenze intestate al proprio assistito. Si al tetto di spesa per le intercettazioni come chiesto dall’Udc.

L’esame riprende domani (mercoledì). Ma la capogruppo democratica in commissione Donatella Ferranti ha già chiuso la porta a ogni possibilità di intesa: “Non ci faremo coinvolgere dalla maggioranza nell’approvazione di un provvedimento che affossa le inchieste, che attacca l’autonomia dei pubblici ministeri, che provocherà un oscuramento totale dell’informazione pubblica sui fatti di rilievo penale e che non investe un euro nell’individuazione di strutture e mezzi per garantire la tutela della privacy”.

(tratto da www.aprileonline.info)