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“Reset”, «l’oligopolio» dei clan cosentini sul “gioco sporco”

Un business storico sorretto da un presunto patto tra «la Confederazione di ‘ndrangheta e alcuni gruppi imprenditoriali»

Pubblicato il: 20/12/2023 – 14:31

di Fabio Benincasa

CATANZARO E’ il capitolo del gaming, ovvero l’esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse contestato in forma associativa, uno degli ultimi elementi legati all’inchiesta “Reset” – coordinata dalla Dda di Catanzaro – cristallizzato nel corso della requisitoria dal sostituto della Distrettuale, Corrado Cubellotti. Nell’aula bunker di Catanzaro si celebra il processo con rito abbreviato, l’accusa ha quasi terminato l’analisi delle singole posizioni degli imputati e si appresta a concludere con la richiesta di pene.

L’ipotesi accusatoria

Nel corso dell’ultima udienza, dello scorso 11 dicembre, l’attenzione del pm è stata rivolta alla gestione di macchine da gioco da parte di soggetti ritenuti legati alla criminalità organizzata calabrese. In buona sostanza, l’ipotesi accusatoria muove da un rapporto tra la confederazione di ‘ndrangheta che esercita la sua pretesa egemonica sul territorio della città di Cosenza e territori limitrofi e una serie di gruppi imprenditoriali e organizzati nello svolgimento dell’attività di gaming. Cubellotti si sofferma su alcune posizioni, partendo dal profilo di Daniele Chiaradia. «La costruzione si presenta scalare perché al vertice della piramide c’è l’organigramma associativo, la sua pretesa tentacolare di controllare con metodo mafioso il territorio, condizionando le attività economiche, a livello intermedio di questa costruzione ci sono i soggetti associati, e parlo di quelli che l’Ufficio di Procura nella sua prospettiva accusatoria ritiene siano facenti parte della confederazione e cioè in particolare Ariello Salvatore. Piromallo Mario, Granata Alberico, Porcaro Roberto, che in qualche modo hanno delle cointeressenze nel settore dei giochi e del gaming».

«L’imprenditoria collusa»

Della imprenditoria definita dall’accusa «collusa» farebbe parte Daniele Chiaradia. Secondo la Dda, «gli imprenditori scendono a patti con la confederazione e acquistano nel settore una posizione di oligopolio, nel senso che oltre all’autorizzazione a valle che è necessaria per lo svolgimento di questo specifico tipo di attività (…) giunge un’altra autorizzazione che passa attraverso l’accordo con la confederazione di ‘ndrangheta». L’ufficio di Procura contesta l’esistenza «di quattro gruppi organizzati che secondo questa logica avrebbero il compito di oligopolizzare». I soggetti coinvolti nel business ricorrono ad una serie di accortezze per evitare incontri periodici che potessero destare l’attenzione degli investigatori. «Chiaradia consapevole di questo cosa fa, dice: “Evitiamo incontri periodici per la consegna del denaro di vostra spettanza, io vi propongo il versamento di 2.000 euro mensili sul ricavato dell’attività di gaming“». E’ il pentito Francesco Greco a confermare la circostanza. «So che esisteva questo rapporto tra questi soggetti e plenipotenziari dell’associazione e so che i proventi di questa attività venivano versati, cioè la quota parte di spettanza del gruppo criminale confluiva nelle casse della bacinella».

Il gaming, un business storico

In passato, secondo quanto emerso nel corso dell’inchiesta “Reset”, era il gruppo Lanzino-Ruà-Patitucci a operare nel settore. È, per i magistrati, un dato «centrale» dal punto di vista storico perché mostrerebbe «la perpetuazione da parte della federazione criminale operante, attualmente sulla città di Cosenza, di un modulo organizzativo affermatosi nella gestione del settore del “gaming” già negli anni precedenti».(f.benincasa@corrierecal.it)

fonte:https://www.corrieredellacalabria.it/2023/12/20/reset-loligopolio-dei-clan-cosentini-sul-gioco-sporco/