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Record dei Comuni sciolti per mafia, 20 gli enti commissariati quest’anno. L’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO  GIA’ 5 ANNI FA ESPOSE A D’UVA,CAPOGRUPPO ALLA CAMERA  DEL M5S.L’UNICO SOGGETTO POLITICO CHE RISPOSE ALLA SUA RICHIIESTA DI INCONTRO,LA NECESSITA’ DI PREVEDERE NELLA NORMATIVA DELLO SCIOGLIMENTO DEGLI ENTI PER MAFIA   IL LICENZIAMENTO DEI DIRIGENTI E DEI FUNZIONARI COLLUSI.

Il Corriere della Sera, 5 settembre 2018

Record dei Comuni sciolti per mafia, 20 gli enti commissariati quest’anno

Con l’ultimo caso di Siderno (Reggio Calabria) il 2018 in 8 mesi ha già eguagliato l’intero 2017. La piaga anche al Nord, dal Piemonte alla Liguria passando per la Lombardia. Ma la scioglimento non è la soluzione ideale, dice Avviso Pubblico

di Fausta Chiesa

La mafia si sta infiltrando sempre di più nei piccoli Comuni italiani. Con l’ultimo caso di Siderno (RC) l’8 agosto scorso, sono 20 quest’anno le amministrazioni finite sotto commissariamento da parte del governo. Una tendenza in aumento: secondo i dati di Avviso pubblico, l’associazione di enti locali per la formazione civile contro le mafie, nell’intero 2017 erano state sciolte ventuno amministrazioni locali. Dal 1991 – anno in cui è stato introdotto lo scioglimento delle amministrazioni locali dovuto a infiltrazioni mafiose, che è ora disciplinato dal testo unico degli enti locali – sono stati emanati 316 decreti di scioglimento (di cui 25 annullati) e 168 di proroga di provvedimenti precedenti. Il 92 per cento si concentra nel Sud, tra Campania, Calabria e Sicilia, ma il Centro e Nord non sono rimasti immuni dalla criminalità organizzata: il primo caso è stato, nel 1995, Bardonecchia in provincia di Torino. Dal 2011 si sono aggiunti anche altri enti locali tra Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e Lazio, con Lavagna (Genova), Sedriano (Milano) e – sempre della provincia di Torino – Rivarolo Canavese e Leini.

L’infiltrazione mafiosa è un cancro che si sta ramificando sempre di più, come ha scritto la Commissione parlamentare antimafia nella relazione conclusiva della XVII legislatura presentata al Parlamento il 21 febbraio scorso. «Il fenomeno ha assunto un andamento molto preoccupante, a conferma del fortissimo interesse da parte dei gruppi criminali per le risorse gestite dagli enti locali e di una strategia volta a condizionare dall’interno le singole amministrazioni, a partire da quelle dei Comuni di dimensioni più limitate, al fine di indirizzarne le decisioni di spesa». Come è avvenuta l’espansione verso Nord della criminalità organizzata? «Le indagini ci dicono che inizialmente la ‘ndrangheta si è inserita nel tessuto economico prestando soldi agli imprenditori in difficoltà che non trovavano accesso ai circuiti legali», spiega Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico. «Poi ha investito denaro anche in aziende non in crisi, ma che grazie alla mafia hanno potuto avere accesso a un mercato falsato da una concorrenza sleale, perché le imprese mafiose sfruttando il lavoro possono praticare prezzi più bassi rispetto alle aziende che rispettano le leggi e vincere gli appalti. Dall’economia alla politica locale il passo è stato breve: i mafiosi votano e fanno votare. E l’interesse oggi è più verso un sindaco o un assessore piuttosto che un parlamentare, perché gli enti comunali sono diventati importanti centri di spesa».

Ma azzerare interamente un’amministrazione collusa o infiltrata potrebbe non essere la soluzione migliore per contrastare il fenomeno. Infatti, da qualche tempo si parla di riformare la legge, che, se permette di sciogliere il Consiglio comunale (e di mandare a casa tutti gli amministratori, anche quelli che non hanno fatto niente di male), lascia però intatta la struttura amministrativa. «La vera gestione degli appalti – dice Pierpaolo Romani – non la fanno i politici, ma i burocrati. Dal 2009 è possibile sospendere, trasferire o licenziare un funzionario colluso, al termine di un procedimento disciplinare, ma soltanto nel caso di un Comune che sia stato sciolto». Inoltre, la procedura di scioglimento rischia di essere troppo drastica perché crea un trauma operativo per l’ente che lo subisce. Anche per la Commissione parlamentare antimafia servono misure intermedie.

È la cosiddetta «terza via», che auspica una alternativa tra le uniche due soluzioni possibili oggi, cioè lo scioglimento o l’archiviazione, la misura «dissolutoria» e quella «assolutoria». «Non sono disciplinati in modo soddisfacente i problemi connessi al mancato scioglimento di un ente che presenti segnali di compromissione irrisolti, come potrebbero essere i casi di appalti in cui siano state turbate le procedure di gara in favore di soggetti o imprese riconducibili all’associazione mafiosa o le situazioni in cui una determinata percentuale di dipendenti o di dirigenti sia sospettata di collegamenti con soggetti o imprese – conclude – riconducibili all’associazione mafiosa. Nelle situazioni borderline si potrebbe ipotizzare la nomina di una “commissione di affiancamento” che accompagni l’ente nel suo percorso di risanamento».