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Raccolta rifiuti in Sicilia e Calabria, così le mafie entrano nelle società chiedendo assunzioni

L’Espresso

Raccolta rifiuti in Sicilia e Calabria, così le mafie entrano nelle società chiedendo assunzioni

I casi delle amministrazioni giudiziarie chieste dalle procure di Reggio Calabria e Catania per provare a ripulire due grandi aziende del settore: Avr e Tech servizi. Un dirigente diceva: “Se c’è il posto di lavoro si prendono quello, una volta ti venivano a cercare per soldi”

di Antonio Fraschilla

21 APRILE 2021


Non chiedono più il pizzo o di entrare in società. Ma vogliono assunzioni e, se è possibile, subappalti. Ma preferibilmente assunzioni, perché nelle terre più povere d’Europa il lavoro, e relativo stipendio, vale come oro. In cambio aiutano le imprese a vincere gli appalti e garantiscono la “sicurezza”. Le mafie entrano così ormai nella gestione di uno dei pochi business legali, almeno sulla carta, rimasti a Sud di Roma: i rifiuti, la raccolta l’immondizia che solo tra Calabria e Sicilia muove ogni anno 1,5 miliardi di euro di soldi pubblici, pagati tutti con la Tari. Come dimostrano due operazioni della procura di Catania e della procura di Reggio Calabria che hanno messo in amministrazione giudiziaria, evitando al momento sequestri e poi confische, due grandi aziende nel settore dei rifiuti e degli appalti collegati: la Tech servizi in Sicilia e la Avr, colosso romano del settore che da anni si occupa della manutenzione strade e della raccolta porta a porta a Reggio Calabria e dintorni. Due aziende che fatturano insieme quasi 250 milioni di euro e danno lavoro a oltre duemila persone.

L’azienda siciliana regina degli appalti

La storia della Tech servizi è emblematica perché a cercare l’appoggio del mafioso competente per territorio, dai clan siciliani fino a quelli della ‘ndrangheta, sono per primi gli imprenditori. La procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro, con un provvedimento del pubblico ministero Fabio Regolo, ha incrociato i dati derivanti da decine di indagini che avevano sfiorato la società e così ha chiesto e ottenuto all’amministrazione giudiziaria di questa azienda in grande ascesa nell’Isola. La Tech servizi, della famiglia La Bianca di Siracusa, che dal 2008 ad oggi ha visto passare il suo fatturato da 6 milioni di euro a 40 milioni, diventando una delle principali società nel settore rifiuti in Sicilia. Ha iniziato con alcuni sub appalti a Siracusa e a Palermo, dove era incappata nella storia dei cestini “spagnoli”, un’operazione fatta dalla vecchia azienda municipalizzata Amia che aveva affittato i cestini pagando canoni d’oro. Poi la Tech è cresciuta e con appalti e affidamenti diretti ha avuto incarichi in mezza Sicilia, da Bagheria a Vittoria, da Fiumefreddo a diversi Comuni del Siracusano. Secondo i i magistrati questa ascesa è stata «sostenuta» dalla mafia, che in cambio ha ottenuto assunzioni.

Tra il 2019 e il 2020, secondo la procura di Catania e il provvedimento firmato dal pm Regolo, la società amministrata da Christian La Bella ha «intrattenuto rapporti di natura economica con diversi esponenti delle consorterie criminali attive in diverse aree della Sicilia e della Calabria». Una reciproca «convenienza che ha consentito alla Tech servizi di aumentare in maniera assai significativa il suo volume di affari e alle cosche di ottenere assunzioni e l’impiego dei propri mezzi».

Sebastiano Mortellaro, già procuratore della Tech servizi, intercettato dalla Dda di Catania diceva: «Cercano di prendersi il lavoro, bello chiaro! Se c’è il posto di lavoro si prendono quello, una volta ti venivano a cercare 500 euro al mese, ora dice “c’è mio figlio senza lavoro, fallo lavorare”…perché sanno che c’è solo carcere…poi l’andazzo dei pentiti vedi che li ha ammazzati a tutti»

La Bella ha contatti con i mafiosi referenti nelle varie province. A Catania ha «contatti reiterati e finalizzati alla conclusione di affari economici, in particolare di gare di appalto in diverse aree dea Sicilia Orientale, con la criminalità organizzata e, in particolare, con Giuseppe Guglielmino del clan Cappello-Bonaccorsi». Per ripulire alcune società finite sotto la lente di ingrandimento della procura, Guglielmino grazie a La Bella crea una Ati d’impresa con la Tech servizi e altre due società ripulite, ma una delle quali sempre nelle sue mani con prestanome: la Clean up e la Eco Business. A raccontare come sono andate le cose è lo stesso Guglielmino intercettato con la moglie dopo una cena per festeggiare l’accordo con La Bella e altri soci: «Ha portato 100 mila euro, li ha messi nell’atto, a giorni lo scrivono». Questa Ati inizia così ad aggiudicarsi diversi appalti di raccolta rifiuti nel Catanese «dove l’egemonia del clan Cappello-Bonaccorsi si manifesta in modo pieno finanche a confrontarsi con le ulteriori realtà che esistono», scrive il pm Regolo. Così in poco tempo l’Ati inizia a ricevere affidamenti diretti e ad aggiudicarsi appalti a Fiumefreddo, Giarre, San Gregorio. Ed erano i mafiosi ad andare al Comune quando l’ente non pagava in tempo, come fa Carmelo Ferlito a Mascalucia.

 A Ragusa La Bella ha contatti con Franco Giudice, sodale del clan Mormina: nella Tech Servizi vengono assunti un figlio di Giudice e la sua convivente. Il gruppo vince una gara a Scicli. E intercettato Guglielmino dice: «C’è Christian, c’è il napoletano. Io gli do i mezzi e gli operai, lui fa la fattura, prende i soldi e mi gira il 50 per cento. Meglio di così?». A Vittoria, come sciolto per mafia, nel 2019  la Tech servizi di La Bella ottiene un affidamento per somma urgenza. Scrive il magistrato Regolo: «I contatti del La Bella con i membri dell’amministrazione comunale di Vittoria sono iniziati già nel 2015 quando tramite Carmelo Mancuso che, già assunto alla Tech, favoriva un incontro tra il La Bella e l’allora sindaco pro tempore di Vittoria». La Tech ha poi ottenuto affidamenti a Bagheria dall’amministrazione 5 stelle dopo il fallimento dell’azienda Coime, poi chiusa perché infiltrata dalla mafia, e puntava a crescere in Sicilia Occidentale, a Palermo e Marsala.

La Bella vuole crescere anche oltre la Sicilia e punta ad espandersi con la sua azienda in Calabria. E qui, tramite il suo procuratore Mortillaro, allaccia rapporti con Francesco Barreca, uno dei vertici della cosca De Stefano. Intercettato La Bella dice: «Sono persone che valgono oro, cento, valgono cento….minchia dove arrivano arrivano».

Alla luce di tutto questo il pm Regolo ha chiesto e ottenuto l’amministrazione giudiziaria per la Tech con l’obiettivo di ripulire la società dalle infiltrazioni ed evitare quindi sequestri e poi confische dell’azienda. Un provvedimento innovativo, che punta a restituire la società ai proprietari una volta ripulita dalle infiltrazioni. Facendola quindi rimane sul mercato, almeno provandoci per il momento.

Il grande gruppo romano sceso in Calabria

La procura di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, in una operazione coordinata  dall’aggiunto Gaetano Paci ha condotto una lunga inchiesta sulla Avr: azienda molto nota con base a Roma, 200 milioni di fatturato e 1.700 dipendenti. La Avr si occupava da tempo della manutenzione strade in provincia di Reggio Calabria e due anni fa ha vinto l’appalto per la raccolta dei rifiuti. Lo scorso anno è stata messa in amministrazione giudiziaria per sei mesi, da poco rinnovati per altri sei. L’indagine, condotta dai carabinieri, nasce dalle dichiarazioni del collaboratori di giustizia Vincenzo Cristiano, che indica un dipendente della Avr quale referente delle cosche. E interrogato dai pm Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Alessandro Moffa, afferma: «Sì, perché Angelo Benestare…mi ha detto che voleva lavorare, ma quindi io siccome conosco Andrea Maviglia (dipendente della società), gli ho detto vediamo, se non all’Avr, l’altra società dell’Avr che è l’Ase». Un altro collaboratore di giustizia riferiva ai magistrati che «Maviglia si era allontanato dai clan De Stefano e su suo consiglio era stato “sostituito” da Giglio Genovese (dipendente Avr) quale referente della cosca all’interno della società». In un caso, scrivono i pm, lo stesso Cristiano si era rivolto all’Avr tramite Maviglia: «Gli ho chiesto la cortesia per far assumere un ragazzo a Villa temporaneamente e l’ha fatto. Su Campo Calabro, pure, in tutti i Comini, su Scilla, tutti tutti …quello dove andava, poi il sindaco o l’assessore di turno, gli indicava un nome».

Il collegio che ha dato il via libera all’amministrazione giudiziaria conclude così: «Dalle complessive risultanze emerge chiaramente la permeabilità delle società Avr e della controllata Ase rispetto ad infiltrazioni della criminalità organizzata, nonché la agevolazione effettuata dalle imprese proposte con il favore di più soggetti legati alle locali cosche di ‘ndrangheta. Ciò risulta dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Lucibello, Aiello e Cristiano, i quali hanno espressamente riferito dell’infiltrazione dell’azienda da parte delle cosche reggine, in particolare della cosca De Stefano, notoriamente egemone nella città di Reggio Calabria attraverso i suoi esponenti di vertice Paolo Caponera e Paolo Rosario De Stefano». E poi prosegue: «La predetta infiltrazione mafiosa, attraverso il consueto strumento del subappalto, risulta altresì dai rapporti contrattuali intrattenuti con numerosi soggetti appartenente alla ‘ndrangheta, in particolare i citati Francesco Maduli e il figlio Giuseppe (vicini alla cosca Pesce/Cacciola), Domenico Pelle (appartenente alla costa di San Luca), Leonardo Capogreco (henero di Giuseppe Commisso , capo della cosca omonima) e Domenico Laurenti (attualmente detenuto per partecipazione alla cosca Alvaro a cui appartiene il citato Cosimo Alvaro, in diretti rapporti con il dipendente Avr Purrone) nella consapevolezza in capo ai dirigenti apicali Avr della caratura criminale dei citati personaggi».