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Questione morale: siamo tutti responsabili

Pd e questione morale: un nulla fatto di vuoti

La stragrande maggioranza degli attuali dirigenti del Pd non sono corrotti o concussi. Ma questo non basta ad assolverli. Non è la loro estraneità ai fatti a renderli innocenti, è la loro complicità o il disinteresse calcolato per quel “modo di far politica” a condannarli. Gli anni “rivoluzionari” di tangentopoli produssero più danni di quanti ne avrebbero dovuto sanare. Oggi il paese è devastato dai poteri criminali, da una classe politico-amministrativa arrogante e inefficiente, da un ceto industriale incapace e provinciale, da un’informazione assuefatta e servile

Il 25 novembre scorso, la Fondazione Nevol Querci è stata invitata alla prima di Hammamet. Novità teatrale su Bettino Craxi, atto unico scritto e diretto dal giovane e bravo regista Massimiliano Perrotta. Due i protagonisti: una voce narrante, l’opinione pubblica, e nel suo studio della villa di Hammamet lui: un Bettino Craxi invecchiato, stanco, malato e deluso, a volte sdegnato, a volte risentito, “esiliato” o “latitante” poco importa, che affida ad una registratore le parole di quello che dovrebbe essere “un bilancio obiettivo… della politica, di tutto”. Sullo sfondo, in passo di danza, i giorni dell’ira, la malinconia, il giudizio della storia.
L’atmosfera è quella che è stata. L’urlar furor di popolo, da una parte, i silenzi amari di un uomo che una “volta fu potente, adulato e rispettato”, dall’altra. Craxi, nei suoi ultimi giorni, prova a dire a tutti gli italiani, ciò che fino a quel momento non è riuscito ad esprimere. Non è la solitudine, i tradimenti, le ignominie a pesare sul cuore, ma l’impossibilità di spiegare e l’impotenza di chi ha capito che gli italiani non hanno capito.
E’ un qualcosa che “non ha nome, o ne ha troppi”.
Nel testamento morale di Bettino Craxi, in parte conosciuto, in parte solo immaginato, come scrive Perrotta nella presentazione, troviamo il bilancio, non so quanto obiettivo, di cinquant’anni di storia italiana. Il saldo è, purtroppo, negativo.
Hammamet è una piece teatrale su cui tutti dovrebbero riflettere. E ci proverò anche io.

Appartengo a quella generazione che ha visto con i propri occhi la fine del Psi, ma era troppo giovane per averne una qualche responsabilità. Non eravamo classe dirigente né del Psi, né di altri partiti della prima Repubblica. Ma eravamo già “abbastanza grandi” per comprendere che qualcosa non quadrava, che quella presunta “rivoluzione”, vista con un certo distacco, aveva molto di “opportunismo” e molto poco di “etico” e che, il “nuovo che avanzava”, nella felice espressione di Michele Serra, più che emozionarci, ci travolgeva e ci stordiva. Sarà, forse, una delle poche soddisfazioni che ci prenderemo nella nostra vita, ma oggi possiamo affermarlo senza ombra di dubbio: avevamo ragione a dubitare.
A differenza di altri, non abbiamo affatto gioito al tintinnare delle manette, allo sventolare dei cappi in Montecitorio, al lancio di monetine. Però, abbiamo taciuto. Ce ne duole.

Ho sempre pensato, e credo con me lo abbiano pensato in molti, che i partiti, massima espressione dell’azione democratica, abbiano il compito di farci sentire dentro una grande casa comune, in cui tutti siano votati alla stessa causa. Dal secondo dopoguerra era stato sempre così: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista erano questo, ma anche il Partito Socialista, quello Repubblicano o il Liberale e i Radicali, formazioni minori in termini di voti, ma indubbiamente portatori di una cultura e di una tradizione nobile e antica. La visione del mondo, in questi termini, appariva anche più rassicurante. Le battaglie, quelle vere, erano tutte ideologiche e, per quanto potessero apparire ambigue e fumose, davano un senso di grande rispetto alle Istituzioni e a quanti le rappresentavano: Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Ugo La Malfa, Marco Pannella, lo stesso Bettino Craxi era appezzato per quella politica moderna e spregiudicata.
E poi si leggeva Sturzo, Einaudi, Croce, Nenni e Togliatti, Gramsci. Si ricorreva ai classici: Diderot, Voltaire, Pareto, Luxemburg, Weber e Marx. Si apprezzavano Kennedy e Schmidt, De Gaulle e Che Guevara.

In un patchwork culturale un po’ caotico e molto anarchico, che comprendeva tutto e il contrario di tutto, si cresceva, si contestava i padri, si ascoltava, si partecipava, si esprimeva un voto. Si era orgogliosi di esserci. La storia siamo noi. Certo non era tutto un fiorire di rose. Stragi, terrorismo, mafia, scandali, la P2, la guerra fredda, ma la democrazia, tra colpi di tosse e improvvisi stati febbrili, comunque riusciva a venirne fuori. Si poteva continuare a sperare in un futuro migliore. Tutto resse, bene o male, fino a quel fatidico biennio 1992-1994, quando il giocattolo si ruppe definitivamente, e ai più non rimase che correre ai ripari.
La politica dai blasoni passò al volgo e divenne sinonimo di amoralità. Assursero a fustigatori quanti, fino al giorno prima, avevano fatto accordi sottobanco. Una classe imprenditoriale corrotta e bancarottiera indossò le vesti delle vergini violate, giornalisti compiacenti salutarono i nuovi padroni, magistrati senza macchia e senza paura salirono agli onori della cronaca e, in alcuni casi, cominciarono a pregustare il sapore di una brillante carriera politica.

Il popolo, da sempre “rivoluzionario” a parole, ma “reazionario” nei fatti, ripose la propria fiducia in quel misto di strafottenza, menefreghimo e ignoranza rappresentato dai nuovi partiti. Quegli stessi partiti che, a destra come a sinistra, avevano già provveduto a riciclare nelle proprie file quanto di peggio c’era stato nella prima Repubblica. L’italico gattopardismo del tutto cambi perché tutto resti immutato trionfò in tutti i suoi aspetti. Alla fine pagarono “in pochi le colpe che erano di tanti”. La classe politica, ritornò ad essere lo specchio del Paese. Uno specchio ormai “ridotto in frantumi” e quei frantumi eravamo, e siamo ancora oggi, noi.

Dopo quindici anni, proprio in questi giorni, nel Pd, si è aperta una nuova questione morale. Lo spettro del malaffare sorvola le giunte di centrosinistra, Abruzzo, Campania, Calabria, Firenze, Napoli, Pescara. Qualcuno s’indigna, qualcuno piange, qualcuno s’incatena, qualcuno se la ride. Nessuno che si chieda se l’errore non sia stato compiuto proprio quindici anni fa. Nel gioco del tanto peggio, tanto meglio, anche la sinistra infatti si adeguò, accettando accordi compromissori, invece di combattere un sistema marcio e rinnovare la propria classe dirigente, rincorse la pancia di una società civile (?) incarognita e forcaiola. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da nessuna parte, si riesce a riconoscere un amministrazione di destra, da una di sinistra. Cioni è uguale a Gentilini, Penati alla Moratti. E’ qui il vero scandalo, non in altro.

Sono convinta che la stragrande maggioranza degli attuali dirigenti del Pd non siano corrotti o concussi. Ma questo non basta ad assolverli. Non è la loro estraneità ai fatti a renderli innocenti, è la loro complicità o il disinteresse calcolato per quel “modo di far politica” a condannarli.

Massimiliano Perrotta nelle proprie riflessioni, conclude affermando che quegli anni “rivoluzionari” produssero in Italia più danni di quanti ne avrebbero dovuto sanare. Concordo. L’Italia, oggi, è un Paese devastato dai poteri criminali, da una classe politico-amministrativa arrogante e inefficiente, da un ceto industriale incapace e provinciale, da un’informazione assuefatta e servile. La classe politica, sempre uguale a se stessa, è quella che meritiamo. Paghiamo i nostri “mali nazionali”. Nessuno può esimersi e nessuno può pensare di fare la morale agli altri. Tutti vantiamo degli encomiabili curriculum vitae.
“Berlinguer era una brava persona, ma Craxi aveva ragione”. Dovevamo avere il coraggio di dirlo quindici anni fa. Non staremmo qui ad avvitarci su noi stessi un vortice di “forse”, di “ma anche”, di “non so”, di “vedremo”, apparendo esattamente quello che siamo: un nulla fatto di vuoti.

Bianca La Rocca, pubblicato su “Ragioni Socialiste”, dicembre 2008

(tratto da www.aprileonline.info)