di Cristiana Mastronicola
Il mare da una parte, dall’altra il potere, la ricchezza e le mafie. Regione cerniera fra il sud e il nord da conquistare, il Lazio è da trent’anni terra di investimenti privilegiati per le organizzazioni criminali, che qui hanno trovato terreno fertile per crescere e prosperare. Dagli anni ‘70 ad oggi sono 92 i clan che operano nella regione. A censirli l’ “Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio” che ogni anno fornisce una mappatura degli insediamenti criminali e mafiosi nella regione. Circa dieci anni fa erano venti in meno.
Il Rapporto rileva l’ingresso e la graduale stabilizzazione di oltre 30 cosche di ‘Ndrangheta, 15 clan della Camorra e una decina di famiglie di Cosa nostra. Non solo: il report registra anche l’attività costante di clan autoctoni e di gruppi criminali stranieri cui spesso viene contestato l’uso del metodo mafioso, altri clan di origine straniera e una organizzazione criminale collegata alla Sacra Corona Unita.
La maggior parte di queste formazioni criminali sono di origine mafiosa, 32 gruppi operano nelle province di Latina, Frosinone, Viterbo, circa 76 anche nella provincia di Roma, 23 sono clan di narcotrafficanti. Locali o meno, i gruppi si presentano come profondi conoscitori del territorio che abitano, sfruttano, piegano ai loro interessi.
A testimoniarlo gli incendi, le intimidazioni e le gambizzazioni. Come si legge nel Rapporto “Mafie nel Lazio” (2016) la regione è la quinta per numero di attentati, addirittura prima della Calabria; è terza, invece, davanti alla Puglia, per numero di incendi dolosi. “Fenomeni di particolare valenza criminale”, secondo la Direzione investigativa antimafia.
Numerosi i procedimenti in corso in questi ultimi anni per contrastare l’avanzata silenziosa delle cosche nella regione. Nel 2015 quelli avviati per 416 bis sono stati 22, quelli per traffico di droga 215, 16 quelli connessi ai reati ambientali e 75 i reati aggravati dall’articolo 7, il cosiddetto metodo mafioso. La regione è inoltre attraversata da un narcotraffico di portata internazionale di cui è difficile dar conto nel reale volume d’affari prodotto. Secondo la Direzione centrale antidroga nel 2015 la regione Lazio, “con un totale di 4.095 soggetti coinvolti nel traffico di stupefacenti, emerge come valore assoluto rispetto alle altre, seguita dalla Lombardia (3.974), dalla Campania (2.779), dalla Sicilia e dalla Puglia (2.125)”. Sono state ben 2.940 le operazioni antidroga eseguite per un totale di kg 3.764,20 di sostanze stupefacenti sequestrate.
Ma sono la ristorazione, il settore del commercio e dell’edilizia, gli ambiti che continuano a destare maggiore preoccupazione. Secondo i dati forniti all’Osservatorio della Regione Lazio dai gruppi interforze istituti presso le prefetture del Lazio, dal 1 gennaio 2013 al 30 aprile 2016, sono state effettuate 17 procedure di acceso ai cantieri. Nel triennio preso in esame il personale della Dia e delle forze dell’ordine ha identificato 970 persone fisiche, passato al setaccio 238 imprese e 455 rispettivi mezzi di lavoro. Nel 2016 sono state 36 le persone identificate nei 3 accessi ai cantieri effettuati a Roma, 21 i mezzi controllati e 20 le imprese rilevate.
Nella classifica delle illegalità ambientali redatta dall’Osservatorio di Legambiente, per quel che riguarda il ciclo del cemento, il Lazio nel 2016 è la quarta regione in cui si sono registrate illegalità (375 infrazioni accertate, 462 denunce, 126 sequestri) con un leggero calo rispetto al 2015. Il Lazio si colloca invece al terzo posto nell’ambito delle illegalità del ciclo dei rifiuti, dopo Campania e Puglia, con 533 reati 564 denunce, 19 arresti e 180 sequestri.
Per comprendere ancora meglio la dimensione del fenomeno mafioso nel Lazio basta guardare, altri numeri, quelli dei beni sequestrati e confiscati ai boss nella regione. Secondo il portale promosso dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie, OpenRegio.it, nel Lazio sono 1110 i beni immobili confiscati attualmente in gestione all’Agenzia nazionale, 473 quelli destinati, mentre sono 470 le aziende confiscate in gestione e 109 quelle da destinare. Non ultime, le cifre dell’aggressione al sistema democratico della regione. Da un lato quelle degli amministratori minacciati nel Lazio – secondo i dati forniti da Avviso Pubblico – 21 casi in 17 comuni del Lazio e dall’altro quelle delle aggressioni agli operatori del mondo dell’informazione. Ben 82 minacce, intimidazioni, querele temerarie sono state infatti registrate nei primi mesi del 2017 dall’Osservatorio “Ossigeno”, ai danni di giornalisti del Lazio. Nel 2016 il gruppo di lavoro promosso dall’Ordine dei giornalisti e dalla federazione Nazionale della stampa aveva censito ben 103 episodi complessivi.
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Tutte le mafie del Lazio
di ATTILIO BOLZONI e NORMA FERRARA
Ce ne sono tante, tutte uguali e tutte diverse. Ogni provincia ha le sue. Vecchie e nuove, rumorose o silenziose, autoctone e “trapiantate”. Dalla Calabria, dalla Campania, in tempi meno recenti anche dalla Sicilia. A volte si ignorano e a volte si mischiano, sembrano lontane una dall’altra, sparse, indipendenti. Ma non è affatto così. Per usare un’immagine di Andrea Palladino – giornalista che chiuderà con una sapiente sintesi questa serie del nostro blog – le mafie della Lazio Connection non sono «isole infelici» o «zone stagne» ma «seguono corridoi» che arrivano nella capitale. Tutte mafie che portano a Roma.
Raccontiamo di singoli boss e di “famiglie”, clan con tre e quattro quarti di nobiltà ‘ndranghetistica come i Tripodo o camorristica come i Bardellino. E anche di pericolose bande di rom come i Di Silvio, imparentati con i più famosi Casamonica, quelli dei funerali in stile “Padrino” con cavalli e Rolls-Royce fuori da una chiesa al Tuscolano.
Parliamo di latitanze “tranquille” nell’estremo sud della regione, di grandi affari legati ai rifiuti e al cemento a Latina, del racket del mercato ortofrutticolo di Fondi, del riciclaggio di Aprilia e di caporalato e schiavitù nell’Agro Pontino. Infinite e invisibili le “vie della droga”, traffici che passano per il porto di Civitavecchia e l’aeroporto di Fiumicino.
Poi ci sono le zone di confino e di confine, irrequiete come la provincia di Frosinone e apparentemente tranquille come quella di Viterbo e ancora di più quella di Rieti. «Nessun territorio è esente da possibili infiltrazioni di gruppi mafiosi», scrive il colonnello Francesco Gosciu, il capo centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Roma che apre con un suo articolo la raccolta sulle mafie in questa zona d’Italia.
I dati dell’Osservatorio “per la Sicurezza e la Legalità” della Regione Lazio rivelano che, negli ultimi cinquant’anni, sono state 92 le organizzazioni criminali di tipo mafioso che hanno conquistato piccoli e grandi «spazi» in cinque province che contano tutte insieme cinque milioni di abitanti. Fino al 2005, di quelle organizzazioni ce n’erano venti in meno.
Da qualche parte spremono con le estorsioni e commerciano in stupefacenti, da qualche altra parte preferiscono “lavare” denaro, un grande laboratorio criminale dove tutto si confonde, dove si sperimentano alleanze e spartizioni. Così il Lazio è diventato un “modello” interessante per i tutto il mondo mafioso.
Sul blog pubblichiamo anche un’analisi del centro ricerca “Transcrime” dell’Università Cattolica di Milano sull’infiltrazione nell’economia legale di questa regione. Troverete una riflessione del sociologo Vittorio Martone e preziose corrispondenze di alcuni giornalisti che quotidianamente scrivono di cose di mafie, cronisti sul campo. Nella selezione dei contributi sulla Lazio Connection ci hanno aiutato alcune amiche e amici, Graziella Di Mambro per Latina, Angela Nicoletti e Daniele Camilli per Frosinone e Viterbo.
Una sequenza di interventi che fa affiorare una realtà molto pericolosa intorno a Roma e che spinge verso Roma. Dove, come è noto, la mafia c’è e non c’è.