Cerca

Quell’antimafia del “noi” !!

La potenza di un tuono può devastare le coscienze? Qui c’è bisogno di noi

Categoria: Osservatorio Sociale24/03/2014La forza del “noi”In quel “noi” c’è anche lo Stato. Uno sguardo critico alla giornata della memoria delle vittime di mafie, immaginando prospettive nuove in cui canalizzare le energie di tutti. Se qualcosa cambierà lo decideremo noi. Quando Don Luigi Ciotti, durante la giornata della memoria, in presenza del Papa e dei parenti delle vittime della mafia ha detto che c’è bisogno di meno individualismo e di scoprire la potenza del “noi”, probabilmente si riferiva anche alla stessa immensa famiglia dell’antimafia che spesso ha accelerato il potere del crimine organizzato con la mitizzazione del fenomeno, attraverso le retoriche, gli interessi e le parole lasciate al vento. Quel “noi” sottintende il non limitarsi ai giudizi verbali ma piuttosto propendersi verso i fatti, operando attraverso il coraggio delle azioni e dei provvedimenti concreti contro i sistemi mafiosi. Facciamo tutti parte di quel noi, e questi ultimi giorni sono stati un esempio positivo di quanto il “noi” possa fare la differenza. E’ stato un tuono forte quello di Papa Francesco, di Don Ciotti, quello dei tanti parenti delle vittime e ben venga la memoria, perché l’utilizzo del ricordo ha il compito di tenere vivo il concetto fondamentale del “non deve accadere mai più”. Ora però sarebbe gradito un tuono ancora più devastante da parte del governo. La mafia si combatte in due modi, debellandone la cultura ed eliminando il capitale economico con cui guadagnano i gruppi criminali organizzati. In entrambe i casi c’è bisogno del pugno di ferro di un sistema governativo coeso e determinato che decida, finalmente, di mettere dei paletti, imponendo con vigore e con determinazione un solo comando: “Adesso basta”. Quello della mafia è un discorso talmente ingarbugliato e così pieno di ramificazioni nel tessuto sociale che rischia, con incredibile facilità, di diventare un discorso limitato alla retorica, agli anatemi da parte dei buoni. In realtà, forse, è solo una questione di impegno, di ricerca costante e motivata di una soluzione. Bisogna togliere i mezzi alla mafia e per farlo non basta l’antimafia (che spesso cede alle lusinghe degli interessi), è necessario che lo Stato blocchi con norme coraggiose tutte le possibili forme di corruzione, appropriandosi di tutti i guadagni illegali per poi investirli per i propri cittadini. La parte buona di questa nazione è la maggioranza ma in pochi lo sanno, in pochi lo riconoscono, in pochi riescono a notare che la minoranza mafiosa sembra totalitaria esclusivamente perché fa più chiasso, fa morti, beve il sangue del capitale umano, compra anime e industrie, è una minoranza vestita in giacca e cravatta che siede ai posti di comando. Fa troppo chiasso, fa ancora paura. Non è vero che lo Stato non può più di tanto, lo Stato non ha paura della mafia perché ne è parte. Ecco il piccolo ed immenso anello della catena da spezzare con un gruppo politico nuovo e combattente. Sull’onda emotiva di questi ultimi giorni va gridato con maggiore intensità un messaggio preciso e cioè che quei posti di comando mafiosi vanno sostituiti con un comando unico che prenda l’impegno di annientare ogni forma di prepotenza, ogni forma di evasione fiscale, ogni contrattazione illecita, ogni investimento milionario. Quel denaro è sporco non solo di sangue ma anche di disinteresse da parte di un sistema governativo che non può esporsi troppo perché Stato e Mafia in troppi casi sono sinonimi. La mafia non fa danni solo perché commette crimini, ma perché tende a sostituirsi allo Stato offrendo servizi sia attraverso le amministrazioni governative sia attraverso organizzazioni precise, puntuali e di sicuro meno burocratizzate di quell’organizzazione statale che ci rappresenta. La sacralità della memoria dei tanti che sono stati uccisi da chi si è sostituito allo Sato, è una delle cose che ha emozionato di più Papa Francesco che ha dichiarato: “Agli uomini e donne mafiose: per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi a fare del male. Ve lo chiedo in ginocchio: questa vita non vi darà gioia, né felicità; è vero, avete il denaro, ma fate tanti affari sporchi e commettete tanti crimini mafiosi; le mani insanguinate ed il potere insanguinato non vi condurranno che all’inferno, se continuerete su questa strada” e ancora “Che il senso di responsabilità, piano piano, vinca sulla corruzione e da lì possa risanare i comportamenti e le scelte del tessuto sociale, affinché la Giustizia guadagni spazio e prenda il posto dell’iniquità”. Questi messaggi creano una netta linea di demarcazione tra il silenzio e l’azione. La Chiesa prendendo posizioni di questo tipo crea un monito importante che deve far riflettere quel “noi” che tiene in vita questa nazione e soprattutto deve essere da apripista al più importante dei provvedimenti: l’imposizione del governo attraverso la decisione definitiva e concreta che ogni forma di crimine organizzato non sarà più tollerato dalla società civile. Mai più. Ecco, questa sarà la più alta forma di rispetto e il più dignitoso degli inchini da fare con orgoglio davanti alle centinaia di anime stroncate dalla crudeltà umana. Ai ragazzi non va inculcato il pensiero che chi combatte il crimine organizzato muore da eroe, va piuttosto spiegato che quegli eroi morti sono coloro che hanno permesso la crescita e chi combatte oggi non diventa eroe, diventa parte del noi e concretizza un pensiero semplice: partecipazione e condivisione creano uno tsunami di cambiamento. Il singolo contributo individuale unito al contributo di tanti crea un unico motore propulsore di armonia e di una cultura della responsabilità. Questi ragazzi non devono pensare che esista una casta estranea che si occupa di antimafia, devono convincersi che essi stessi sono l’antimafia e che essi stessi devono distanziarsi dalle tristezze e dai timori: il mostro ha un solo tallone di Achille che è la compartecipazione dei buoni. I buoni non sono quelli che pensano “quello è stato ucciso perché si è ribellato alla mafia” ma sono quelli che pensano “in nome di te che hai perso la tua vita io spiegherò agli altri che tutto questo schifo deve finire”. Questo pensiero, moltiplicato per sessanta milioni di persone potrebbe generare la cultura dell’indipendenza dalla mentalità mafiosa, un tuono talmente forte che dopo non potrà che esserci serenità.(Fonte foto: Rete internet)  OSSERVATORIO SOCIALE