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Quanto piacciono le grandi opere alla mafia

L’Espresso, venerdì 18 Novembre 2016

Quanto piacciono le grandi opere alla mafia
I clan hanno lavorato in quasi tutti i cantieri d’Italia. Piccoli e grandi. Da Sud a Nord. Expo, Tav, autostrade. E persino per le opere propedeutiche al ponte sullo Stretto. Una storia italiana che si lega all’inchiesta “Corruzione in corso” su l’Espresso in edicola da domenica

di Giovanni Tizian

 

Expo, Salerno-Reggio Calabria, Alta velocità. E persino le opere preliminari per il ponte sullo Stretto. Grandi opere, grandi affari. Per pochi, non per tutti. In questa fortunata cerchia rientrano le aziende delle cosche. E dato che le vie del riciclaggio sono infinite, seguirle conduce spesso a indirizzi che non ti aspetti.

In fondo, è ciò che ha fatto la procura antimafia di Roma: sentendo puzza di denaro sporco col timbro dei clan di ‘ndrangheta, ha illuminato quei canali ritrovandosi a un certo punto del viaggio nel bel mezzo dei cantieri delle grandi opere italiane.

La scintilla dell’ultima inchiesta “Amalgama” è proprio questa, un tremendo puzzo di quattrini lerci che ha portato gli inquirenti sulla pista di un sistema in cui i protagonisti principali della storia sono manager dei più importanti colossi delle costruzioni, ingegneri esperti di direzione lavori, imprenditori che collezionano subappalti nelle grandi opere.

Al centro di tutto c’è lei: la signora Mazzetta. Che da Tangentopoli in poi ha subito un’evoluzione costante, fino a trasformarsi in un do ut des fatto non tanto di scambi di denaro liquido, ma di favori in cambio di appalti, consulenze, incarichi. Sull’Espresso in edicola da domenica l’inchiesta “Corruzione in corso” mostra, attraverso documenti inediti, il Sistema che si arricchisce, in maniera illecita, lucrando con le infrastrtture strategiche per il Paese.

Riciclaggio mafioso, dicevamo. I clan, nel settore delle costruzioni, hanno sempre detto la loro. Difficile trovare una grande o piccola opera in cui direttamente o indirettamente le imprese dei boss non abbiano lavorato. La storia dei cantieri italiani è costellata di padrini in doppio petto e con la partita iva che si sono inseriti nel business del calcestruzzo. Talmente normale, che anche i media non ci fanno quasi più caso.

È notizia di pochissimi giorni fa, per esempio, la retata che ha portato in carcere l’estesa rete di fiancheggiatori del boss di Reggio Calabria Domenico Condello, detto “Micu u pacciu”. Un’inchiesta durata alcuni anni che, oltre ad azzoppare il livello militare, ha svelato il network di aziende della galassia Condello.

E proprio una di queste ha lavorato – agli atti c’è persino il numero di contratto stipulato – per il consorzio Eurolink, il gruppo di società composto in primis da Salini-Impregilo, Società Condotte d’Acqua e Cmc, che dovrà realizzare il ponte sullo Stretto. Eurolink ha affidato nel 2010 l’esecuzione di alcuni lavori alla cordata costituita da Teknosonda, Calabrese Pasquale e Calabrese Antonio per un valore, stimano gli investigatori, di oltre 1 milione di euro.La commessa riguarda la cosiddetta “Variante ferroviaria di Cannitello”, un lavoro propedeutico alla grande opera dello Stretto.

Non è raro che aziende sospette riescano a bucare i controlli, insinuandosi persino laddove esistono protocolli antimafia, all’apperenza molto severi, in pratica facili da aggirare. Sempre nella stessa indagine della procura antimafia di Reggio Calabria guidata da Federico Cafiero De Raho, il Ros dei carabinieri ha individuato altre imprese legata al clan Condello all’interno dei cantieri della Salerno-Reggio Calabria. In particolare nel sesto macrolotto, che arriva fino a Campo Calabro. Lo stesso pezzettino al centro delle inchiesta romana “Amalgama” sulle grandi opere. Anche in questo caso il general contractor era composto da Salini-Impregilo e Società Condotte d’Acqua.

Se lasciamo la Calabria, direzione Lombardia, Milano, la situazione non migliora. Anzi. Per l‘Expo 2015, è stato accertato come la ‘ndrangheta abbia realizzato numerosi lavori. Dai padiglioni a lavorazioni legate al maxi appalto della Piastra sulla quale poi sono stati montati i vari stand del mondo. Anche sull’Esposizione universale la magistratura ha indagato. I pm di Milano per quel che riguarda il filone delle tangenti, Reggio Calabria per le infiltrazioni mafiose.

Ancora una volta corruzione e mafia si mostrano per quello che sono: due facce della stessa medaglia in un Paese esausto e la cui crescita è bloccata da un mercato che privilegia i furbetti e non i più competenti. Persino nel cantiere militarizzato della Torino-Lione, il Tav che taglierà in due la Val di Susa, le ‘ndrine sono riuscite a infilare i propri uomini. Emerge, per esempio, dall’indagine del Ros dei carabinieri e della procura antimafia di Torino .

Mafia ad alta velocità, non esattamente una novità. Stesso copione lo ritroviamo nelle tratte Torino-Milano, Bologna-Parma, Napoli-Roma. Imprenditori delle organizzazioni che si sono occupati principalmente di lavorazioni specifiche, movimento terra in particolare ma non solo.

Dell’intreccio tra mafie e corruzioni, ne ha di recente parlato la procura nazionale antimafia. Nella sua ultima relazione ha denunciato quanto le organizzazioni mafiose siano ormai dentro i sistemi corruttivi. E che al piombo, i padrini preferiscono la mazzetta quale principale strumento di entrata nei circuiti che contano. Insomma, prima provano a comprare il dirigente, il tecnico, il manager e, in caso di rifiuto, rispolverano i vecchi arnesi del mestiere.

Ma è l’inchiesta della procura di Roma coordinata dal pm Giuseppe Cascini che rivela ancora una volta la saldatura tra i due mondi: corrotti e mafiosi sulla stessa barricata. Nelle informative dei carabinieri della Capitale c’è più di qualche indizio. Come per esempio il passaggio in cui Giampiero De Michelis, l’ingegnere dai mille incarichi, detto anche il “Mostro” dai manager dei general contractor, fa riferimento a un suo collaboratore. Tale Pasquale “Lillo” Carrozza.

Chi è “Lillo”? È un geometra, «già dipendente della Società Condotte d’Acqua con la qualifica di capo cantiere presso i lavori di costruzione della Salerno-Reggio Calabria. Tratto in arresto dall’antimafia reggina nel 2012 per associazione mafiosa, truffa, frode nelle pubbliche forniture». Ecco cosa dicono di lui De Michelis e un altro intercettato: “Lillo”, in pratica, accompagnava alcuni boss della ‘ndrangheta in Anas e agli stessi capi bastone forniva le proprie utenze telefoniche per fare chiamte riservate. Ma, stando al racconto dei due, Carrozza era considerato «l’intermediario tra la società Condotte e la ‘ndrangheta».

De Michelis è un professionista stimato. Non per niente era dentro la società di ingegneria Sintel, di Giandomenico Monorchio, figlio del più noto Andrea, ex ragioniere generale dello Stato, poi in Infrastrutture Spa e ora ingaggiato da Salini Spa come presidente del collegio sindacale. Anche di questo e dei legami tra le varie indagini e personaggi coinvolti nelle grandi opere parlerà l’Espresso in edicola da domenica.