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Quando il padrino si riprende i beni confiscati

di Marco Arnone e Elio Collovà

Il governo modifica la destinazione dei beni sottratti alle mafie. Non tornano
più alla società civile, ma sono dirottati ai ministeri e alle spese correnti,
tramite aste pubbliche. Si tratta di una norma frettolosa e incoerente sotto il
profilo giuridico. E’ inefficiente dal punto di vista economico e amplia l’area
di illegalità perché incentiva i mafiosi a cercare prestanomi in ambienti sempre
più allargati. E i ricavi per lo Stato potrebbero essere davvero minimi. La
logica sembra quella di sottrarre sequestri penali e misure di prevenzione al
controllo del giudice.

L’aggressione ai patrimoni mafiosi è sicuramente il percorso vincente per la
lotta alla criminalità organizzata. Ma colpire le organizzazioni criminali nella
loro principale ragione d’essere – i redditi e i patrimoni – suscita il loro
interesse, nel tentativo di appropriarsene nuovamente tramite i curcuiti
collusivi e di prestanomi di cui queste organizzazioni si servono.
Questa considerazione, unita all’idea di restituire le risorse alla società
civile a cui erano state tolte, ha per anni costituito la base della scelta di
destinare alla comunità i beni sottratti alle mafie. Lo stesso ministero della
Giustizia afferma: “In effetti la elevata concentrazione di beni oggetto dei
sequestri e delle confische perché nelle disponibilità di appartenenti alle
organizzazioni criminali nelle aree dell’Obiettivo 1 ha posto in evidenza come
la sicurezza, intesa come condizione ed insieme effetto dello sviluppo economico
e sociale, sia strettamente legata alla percezione sociale della effettiva
pratica della legalità. In tal senso il valore anche simbolico dell’immediato
uso sociale dei beni stessi, reso possibile dalla sistemazione dei loro elementi
identificativi, diventa elemento cruciale nella affermazione di una nuova
cultura libera da sudditanze rispetto alle ideologie criminali”. (1)
Recenti interventi dell’esecutivo, per motivi di bilancio o per togliere
giurisdizionalità al sequestro di beni in generale, hanno di fatto delegittimato
l’impianto dell’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali
faticosamente costruito.

IL FONDO UNICO GIUSTIZIA
Come si è arrivati al “Fondo unico giustizia”? E di che cosa si tratta?
Il 27.10.2005 viene costituita Equitalia spa partecipata da Agenzia delle
Entrate, cioè ministero dell’Economia, e altri. La società effettua la
riscossione a livello nazionale di ogni forma di tributo, imposta, contributo:
gestisce in regime privatistico fiumi di risorse finanziarie pubbliche. Il
28.4.2008 viene costituita Equitalia Giustizia spa, con Equitalia come socio
unico. Gestisce in regime privatistico, fra l’altro, tutte le risorse afferenti
al cosidetto “Fondo unico giustizia”: sono tutte le somme liquide o comunque
investite sotto qualsiasi forma in prodotti bancari o finanziari sui quali è
stato pronunciato un sequestro penale o per misure di prevenzione o che siano
state sottoposte a confisca nei medesimi procedimenti, e addirittura le somme
confiscate a società a seguito di provvedimenti giudiziari riguardanti le
violazioni in materia di modelli organizzativi aziendali (responsabilità penale
dell’impresa). Viene disposto che ciascun terzo delle risorse finanziarie
intestate al “Fondo unico giustizia” vengano destinate al ministero
dell’Interno, al ministero della Giustizia e all’entrata del bilancio dello
Stato. (2)

La nuova normativa impone alcune riflessioni.
In primo luogo, appare formulata in maniera assai frettolosa tenuto conto non
solo delle molte imprecisioni e improprietà nella terminologia adottata. In
particolare, si rileva un’inconcepibile confusione nell’accostamento o
accomunamento fra l’istituto del sequestro e quello della confisca. Il
provvedimento di sequestro, sia esso per misure di prevenzione o penale, ha
natura temporanea e conclude la sua vita solamente a seguito della pronuncia
definitiva dell’autorità giudiziaria competente che vi ha dato luogo. La
confisca invece, se coperta da giudicato, assume il carattere della definitività
da cui consegue il diritto dell’Erario di appropriarsi del bene.
Inoltre, il trasferimento delle disponibilità in sequestro al “Fondo unico
giustizia” in costanza di sequestro determinerebbe una considerevole incoerenza
giuridica, ancorché la norma preveda la possibilità di rimborso nel caso in cui
il sequestro debba concludersi con la sua revoca. Ciò produrrà un ingente
contenzioso con richieste di onerosi risarcimenti per il danno subito. Inoltre,
la norma appare nettamente in contrasto con l’articolo 2 ter legge 575/65:
l’amministratore giudiziario deve amministrare i beni in sequestro, ivi comprese
le somme di disponibilità finanziarie, incrementandone il patrimonio e il loro
rendimento. Tutto ciò non potrà avvenire se le disponibilità verranno sottratte
alla gestione dell’amministratore giudiziario.

La norma presenta anche profili di incostituzionalità. E infatti proprio per
effetto della confusione concettuale e terminologica tra sequestro e confisca,
al legislatore è sfuggito che, fino al provvedimento che in via definitiva
disponga la confisca, il soggetto destinatario del sequestro penale o per misura
di prevenzione, non è affatto espropriato dei beni ma solamente spossessato; è
quindi in netto contrasto con l’articolo 42 della Costituzione la norma che
azzera il diritto di proprietà al di fuori di un provvedimento giurisdizionale
avente autorità di giudicato (la confisca definitiva) senza neppure la
previsione dell’indennizzo.
L’amministratore giudiziario molto spesso utilizza le disponibilità liquide
ottenute con il sequestro e quelle derivanti dalla locazione degli immobili pure
sotto sequestro, per provvedere a opere di manutenzione o per il pagamento delle
tasse e imposte dovute, come Ici, Irpef, Imposta registro. Nel caso di
trasferimento delle somme, le imposte rimarranno non pagate e gli immobili non
vedranno crescere il loro valore patrimoniale per effetto della mancata
manutenzione.

Ancora più grave è la questione del trasferimento al “Fondo unico giustizia”
delle disponibilità finanziarie relative ad aziende in piena attività. In questo
caso, risulta di fatto impossibile mantenere in vita l’azienda, con danno per
gli occupati e per il mercato privato di una parte dell’attività economica
costituita dall’azienda in sequestro che, benché possa essere il frutto di
illeciti arricchimenti, in prospettiva, esercitate tutte le attività di bonifica
aziendale, potrà entrare di diritto nell’economia sana del territorio.
L’applicazione della normativa porterà inevitabilmente al fallimento della
società amministrata per insolvenza procurata dalla privazione delle proprie
finanze. Nel migliore dei casi, ove il valore dei beni aziendali sia sufficiente
a coprire il passivo, le aziende potranno essere poste in liquidazione. Ma sorge
sempre il dubbio che, nel corso della fase liquidatoria, il “Fondo unico
giustizia” possa pretendere che le somme rinvenienti dalla vendita dei beni e
destinate al pagamento dei debiti, vengano trasferite anch’esse. Anche in questi
casi l’eventualità che il sequestro venga revocato, cosa che si verifica non di
rado, non potrà che arrecare grave danno al legittimo titolare dell’azienda, che
nel frattempo sarà stata dichiarata fallita o avrà concluso la propria
liquidazione.

LA SOCIETÀ CIVILE PERDE TRE VOLTE
L’esecutivo ha scelto di modificare la destinazione dei beni sottratti alle
mafie, orientandoli ai ministeri e alle spese correnti, tramite aste pubbliche.
ネ chiaro che gli stessi meccanismi con cui i mafiosi si aggiudicano appalti
pubblici sono utilizzati anche in questi casi per riappropriarsi di “propri”
beni sequestrati. Emergono alcune considerazioni da questa scelta di nuova
destinazione di beni sequestrati o confiscati. In primo luogo, la comunità ha
subito tre tipi di perdite sullo stesso bene: 1. sottrazione del bene alla
economia legale, 2. costi di indagini – umani, materiali e di tempo – per
recuperarlo e mantenerlo, 3. (con l’ultima scelta dell’Esecutivo) costi di nuove
indagini per recuperare nuovamente tale bene. Quindi, abbandonare uno dei
principi che aveva guidato il ritorno alla comunità dei beni sottratti ai
mafiosi non sembra una scelta particolarmente efficiente né favorevole alla
“rule of law”. In secondo luogo, questa scelta incentiva i mafiosi a cercare
ulteriori prestanomi in ambienti (fisici o relazionali) sempre meno vicini a
quelli originari del mafioso, i cui contatti usuali sono presumibilmente già
stati individuati nelle indagini che hanno portato alla prima confisca o al
primo sequestro: si favorisce così un ampliamento dell’area di illegalità. In
terzo luogo, gli accordi illegali o gli atteggiamenti collusivi dei mafiosi con
prestanomi fanno sì che la stessa asta non porti alla massimizzazione del ricavo
per l’offerente, come è usuale nell’asta all’inglese, anzi si può facilmente
prevedere che le offerte porteranno alla minimizzazione dell’esborso per i
prestanome dei mafiosi. Ne segue che i ricavi per lo Stato potrebbero essere
davvero minimi, prossimi ai prezzi di riserva, se questi sono stati posti,
oppure a cifre quasi nulle in caso di prezzo di riserva pari a zero. Infine,
questo supplemento di operazioni a parità di risorse degli organismi di
contrasto non può che ridurne l’efficienza complessiva, a meno di un
proporzionale aumento di produttività di tutti i pezzi della macchina repressiva
alla stessa velocità con cui tali norme vengono introdotte; il che pare
improbabile visto che fautore di tale miglioramento dovrebbe essere lo stesso
esecutivo (inistero della Giustizia), che è responsabile della scadente gestione
della macchina amministrativa della giustizia.

Non è dunque comprensibile lo spirito con il quale il governo abbia affrontato
l’argomento. C’è da ipotizzare che abbia voluto porre in essere il primo
tassello per togliere giurisdizionalità ai sequestri penali o per misure di
prevenzione, sottraendoli al controllo del giudice per porli invece sotto il
controllo del governo medesimo.

NOTE:
(1) Ministero della Giustizia: http: //www. giustizia. it/ministero/struttura/sippi_bis. htm
(2) Il ministero della Giustizia ha diramato le istruzioni operative per l’applicazione della riforma e indicazioni procedurali e organizzative relative
a tutte le risorse che devono affluire al “Fondo unico giustizia”. Nelle stesse
si fa riferimento alle somme che dovranno eventualmente essere restituite agli
aventi diritto anche nel caso di revoca di sequestro: “La riforma normativa
prevede che affluiscano a tale fondo, tra l’altro, le somme di denaro
sequestrate e i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di
procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione, che saranno
gestiti e successivamente riversati agli aventi diritto o allo Stato dalla
società Equitalia Giustizia”. Dunque, nel caso in cui il provvedimento di
sequestro, dovesse concludersi nel merito con una revoca, Equitalia Giustizia
dovrà farsi carico di restituire (sic!) agli aventi diritto le somme a suo tempo
incamerate. Non è dato di sapere come e in che misura verranno restituiti anche
gli interessi che ne sarebbero derivati e di cui non si può negare il diritto a
riceverli da parte dei legittimi titolari, che tali sono in quanto affrancati da
decreto coperto da giudicato definitivo.

(tratto da www.lavoce.info)